A meno di un mese dal voto, i referendum dell’8 e 9 giugno non sono argomento di informazione: non c’è alcun approfondimento sui media!
Un blackout che non è casuale. Pensiamo fortemente che sia voluto, un vero e proprio ordine politico. La stampa, le televisioni sono diventati, tutti o quasi tutti, portavoce di una sola parte: quella che vuole che i cittadini restino a casa e stiano zitti. E se qualcuno avesse ancora dei dubbi, ci ha pensato il Presidente del Senato, la seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, a chiarire tutto, suggerendoci di restare a casa e di non andare a votare. Un presidente del Senato che invita a disertare le urne è come un pompiere che appicca incendi, un giudice che suggerisce l’omertà. O peggio: come un nostalgico del Ventennio che non ha ancora capito che siamo nel 2025.
Parole indegne per il suo ruolo, che ci confermano ancora una volta che la destra al governo ha paura della partecipazione, ha paura del Referendum popolare, ha paura del voto, perché non tollera che i cittadini e le cittadine decidano liberamente, senza deleghe, né intermediari. È paura vera quella dei politici al governo, perché sanno benissimo che se la gente vota e vota Sì, le loro bugie si sgonfiano.
Invitare all’astensionismo è anche un grosso errore, quasi un autogol per questo governo e per tutta la classe politica, perché i quesiti – sia quelli sui temi del lavoro che sulla cittadinanza – parlano ai bisogni e alle concezioni della società più trasversali di quanto si possa immaginare. Un errore, perché quando una forza politica alimenta l’astensionismo contribuisce a segare il ramo su cui è seduta.
Votare oggi più che mai significa esercitare un diritto democratico, costituzionale, è un atto di libertà. Il loro disprezzo per la democrazia è il nostro miglior motivo per praticarla.
Ecco allora le ragioni di merito che devono vivere in questo ultimo, decisivo mese di campagna referendaria. Andremo strada per strada, casa per casa, luogo di lavoro per luogo di lavoro, per rimettere al centro le persone e i loro bisogni, un’altra idea di sviluppo e di crescita, perché… non giriamoci intorno: un lavoro povero, un lavoro precario, un lavoro insicuro, la negazione di ogni diritto, non solo genera bassi salari e povertà diffusa, ma anche una cultura chiusa e poco propensa all’innovazione, una scarsa voglia di investire su sé stessi, sui propri saperi, sulla propria crescita.
La vittoria dei Sì non risolverà tutti i problemi, ma traccerà una rotta nella direzione più giusta. Renderà più forti qualche milione di lavoratori e lavoratrici; più dignitosa la vita di cittadini e cittadine di fatto, ma senza il riconoscimento della cittadinanza; più coeso e giusto il Paese, generando un clima di maggiore fiducia verso il futuro.
Anche solo per questo abbiamo la grande responsabilità di andare tutti e tutte a votare l’8 e il 9 giugno prossimo. Il cambiamento è nelle nostre mani con il voto.