Il nuovo report di Oxfam, organizzazione impegnata nella lotta alle disuguaglianze, pubblicato in occasione dell’apertura del World Economic Forum di Davos ci racconta che “La disuguaglianza non conosce crisi”.
Editoriali
Ci sono degli uomini, i super-maxi-ricchi che gli anglosassoni chiamano Uhnwi (Ultra high net worth individuals), che vivono in una “loro bolla” fatta di yacht e attici di lusso che li separa dal resto del mondo, sebbene essa non gli impedisce di interferire negli affari politici, finanziari e soprattutto fiscali sempre, ovviamente, a difesa del loro status sociale.
La comunità in cui viviamo sta cambiando di dimensione, essa non è più la nazione ma il mondo intero; in consequenza potremo definire la globalizzazione come uno stato di connettività complessa della società che ha degli effetti sociali molto profondi sull’intera comunità mondiale. L’esplosione delle disuguaglianze è uno di questi effetti sociali causati dalla globalizzazione economica.
A cento anni dal colpo di Stato di Mussolini con cui si abbatteva lo Stato liberale, il governo Meloni dopo aver ridisegnato alcuni ministeri in nome del “merito” approva nel suo primo cdm una norma penale contro i rave party che pare più una restrizione del diritto di manifestare.
Nelle prossime settimane toccherà ai percettori del reddito di cittadinanza ed ai migranti, poi sarà la volta dei territori con l’autonomia differenziata, delle donne con il diritto all’aborto o dei lavoratori malpagati a cui sarà negato il salario minimo.
È così che le disuguaglianze vengono create, occultate dapprima e poi accettate dai più.
Ma per esistere le disuguaglianze hanno bisogno di “miti fondativi e giustificativi”.
Questi miti poggiano su processi psico-sociali che fanno apparire come giuste le disparità in quanto legittime asimmetrie e sperequazioni legate allo status dei singoli o dei gruppi sociali.
È in particolare nei momenti di crisi economica che si verifica un aumento della conflittualità sociale con aumento di processi di emarginazione, discriminazione nei confronti degli svantaggiati. L’antisemitismo fu la reazione alla crisi economica che colpì la repubblica di Weimar, come oggi lo è il pregiudizio etnico fra coloro che attribuiscono la crisi agli immigrati o la prevenzione nei confronti degli asiatici dell’estremo oriente, avvertiti come una minaccia economica.
Ma quali sono le ragioni psicologiche e psico-sociali che finiscono per legittimare le disuguaglianze anche da parte di chi le subisce?
In genere il potere e i privilegi dei gruppi sociali elevati sono presentati come necessari ad un ordine sociale di cui godono anche i meno favoriti, i quali accettano il ruolo ritagliato per loro sia perché beneficiari dell’assistenza sia per evitare di essere marchiati come ingrati.
Naturalmente gli stereotipi ed i pregiudizi fanno la loro parte: i poveri sono sfaticati, i ricchi hanno meritato i loro averi, gli uomini comandano perché razionali e forti a differenza delle donne emotive e deboli di natura ecc. In questo contesto la “credenza del merito” quale ascensore sociale dà legittimità al sistema.
In un periodo in cui si afferma la fine delle ideologie, avremo bisogno che alla credenza del merito si sostituisse una “ideologia della giustizia sociale” che ricrei legami fra gli svantaggiati ed eviti la stupida guerra fra gli ultimi ed i penultimi della nostra società.
Abbiamo necessità di risaldare i legami sociali, valorizzare i beni comuni, riscoprire il valore della condivisione; insomma, abbiamo bisogno di una prospettiva inclusiva e riparativa delle disuguaglianze.
Tuttavia, dalle sue prime mosse, non sembra che il nuovo governo intenda perseguire tali finalità ed anzi, invocando il merito, pare rincorrere quei miti giustificativi delle disparità che fanno divampare le diseguaglianze.
L’auspicio è che non si imbocchi la strada della democratura ma prevalga la politica dell’inclusione sociale.
In Iran le ragazze si tagliano i capelli in segno di protesta, si ribellano e marciano per le strade, nelle piazze e in ogni luogo del loro paese, senza velo (il russarì) e lo sventolano come simbolo della loro apartheid di genere e della loro prigionia.
Sempre sorridente, mite ma radicale nelle idee, un’intelligenza lucida ed acuta, una cultura enorme ma mai ostentata; questa era Lorenza Carlassare giurista, costituzionalista e accademico italiano.
Si rompe il tabù del voto d’autunno che tanti governi balneari ci aveva regalato nella prima repubblica.
Il Presidente della Repubblica pochi giorni fa ha sciolto le camere, verificato il venir meno del sostegno parlamentare al Governo e l’assenza di prospettive per dar vita a una nuova maggioranza, ed ha fissato la data del 25 Settembre per lo svolgimento delle elezioni.
Alla compattezza dello schieramento di centrodestra sembra di veder contrapposta una disgregazione delle forze di centrosinistra, incapaci di serrare i ranghi, vittime come sono di rancori e reciprochi veti.
Il vero problema del quadro che si va delineando è che i prossimi mesi ed anni vedranno un abbassamento generale della qualità della vita dei cittadini, per cui un governo progressista meglio garantirebbe quella redistribuzione di ricchezza necessaria ad attenuare gli effetti negativi della crisi in atto.
L’aggravarsi della guerra in Ucraina, la ripartenza del Covid in autunno, una tassazione piatta e non progressiva, l’abolizione del reddito di cittadinanza, il mancato finanziamento dei superbonus per imprese e famiglie, politiche migratorie pessime e discriminatorie determineranno inevitabilmente un aumento delle diseguaglianze.
Un governo di centrodestra a guida Fratelli d’Italia, quando non ne sarà causa, farà solo da acceleratore per la deflagrazione di tutte queste problematiche che adesso covano sotto la cenere.
L’auspicio è che il passare dei giorni porti ad uno stemperamento delle posizioni prese successivamente alla caduta del governo Draghi con il PD che, lucido e lungimirante, sia capace di ricondurre ad unità il quadro politico a sinistra; in mancanza lo scontro fra i contendenti sarà impari per via del meccanismo elettorale generato dal rosatellum bis. Se mancherà la ricomposizione, la dirigenza democratica avrà dimostrato tutta la sua inconsistenza tattica e politica.
In tal caso non resterà che appellarsi al buon senso degli italiani, nella speranza che il popolo sia più avanti dei suoi rappresentanti.
Il primo maggio è il giorno che dedichiamo ai lavoratori e al lavoro.
Quel lavoro che è valore primario nella nostra collettività perché è fonte di dignità del singolo, fondamento del vivere civile e, quindi, cardine della società.
Il lavoro inteso come affermazione dei diritti e come stabilità, sicurezza e prosperità degli individui; il contrario della guerra che è negazione dei diritti e delle libertà ed è fonte solo di instabilità, incertezza e distruzione.
Il giorno del Primo Maggio sia quest’anno momento di riflessione affinché tutti si impegnino per l’affermazione della pace.
Vivere in pace è un diritto irrinunciabile di ogni persona del pianeta.
La ragione deve prevalere sull’odio e sugli interessi di bottega, tutti i Paesi del mondo sono chiamati ad uno sforzo corale per porre fine alla guerra in Ucraina.
Bisogna porre fine a tutte le guerre, anche quelle dimenticate della Terra.
Buon primo Maggio di pace e di prosperità!
L’idea di meritocrazia è iniqua, utile a giustificare la crescente disuguaglianza economica e sociale secondo il ragionamento che chi è in alto nella piramide sociale se lo è meritato con l’impegno ed il duro lavoro, chi sta in basso deve biasimare soltanto sé stesso per non fatto altrettanto.
I dati sulle disuguaglianze nel mondo sono terribili, non solo per la loro misura, ma perchè indicano un trend in costante crescita.
L’esplosione delle diseguaglianze non è un semplice dato ma un problema reale dell’umanità.
