Oggi ho parlato con un amico, ha quarant’anni ed è ancora precario.
A un certo punto ha detto una frase che mi è rimasta impressa: “È lo Stato che deve vergognarsi, non io!”
La schiavitù non è finita, chiariamolo una volta per tutte. La parola ci spaventa ma dobbiamo dirlo che la schiavitù non è un capitolo chiuso nei libri di storia. È viva, attuale.
Oggi la schiavitù si è aggiornata: meno catene, più contratti. Meno fruste, più ricatti. Nella antichità lo schiavo aveva la possibilità di riscattarsi. Oggi i nuovi schiavi sono i precari, inter- mittenti, le partite IVA obbligate che non hanno nemmeno quella speranza.
E i sindacati? Ricattati.
Protesti? Chiudiamo.
Scioperi? Delocalizziamo.
Siamo più schiavi di prima solo che ci illudiamo di essere liberi. Ma è una libertà che ci sta rubando tutto: dignità, sicurezza, futuro. Schiavi col badge, schiavi col mutuo e col curriculum sempre aggiornato.
La mia è rabbia e dispiacere per la mia generazione che vive nella fatwa del lavoro flessibile, malpagato e senza futuro.
Il lavoro o è dignitoso o è schiavitù.
E la schiavitù va riconosciuta e distrutta. Spero sempre in una sollevazione. Perché questa rabbia merita di diventare forza comune.
