IMPRENDITORI O PADRONI?

di Pino D'ERMINIO

Tra i referendum sui quali gli italiani sono chiamati ad esprimersi l’8 ed il 9 giugno il più rilevante, negli effetti pratici, politici e morali, è quello che rivendica il ripristino del diritto al reintegro del lavoratore illegittimamente licenziato per giusta causa o giustificato motivo (come attenuato dalla legge Fornero 92/2012), nelle unità produttive private con più di 15 dipendenti, abrogando le norme con cui il Governo Renzi ha smantellato quasi del tutto la reintegra. Con la controriforma Renzi (decreto legislativo 23/2015) la reintegra è sopravvissuta solo nei casi di licenziamenti “discriminatori” (ad esempio perché si professa una certa religione), vietati per legge, intimati a voce, per inesistente disabilità fisica o psichica del lavoratore ed in cui in giudizio si accerta che il grave inadempimento del lavoratore è materialmente insussistente. In tutti gli altri casi di licenziamento illegittimo, al lavoratore è riconosciuta una indennità risarcitoria.

Con la controriforma Renzi si è realizzato un ribaltamento di paradigma: mentre prima la reintegra era la tutela ordinaria ed eccezionale quella risarcitoria, dopo vale l’esatto contrario. Tale ribaltamento ha un significato profondo: il lavoratore, da soggetto sociale ed umano, verso il quale l’impresa ha delle responsabilità, è declassato a merce, a mera “forza lavoro” o “risorsa umana” – come si dice con espressioni disgraziate e diffuse – è appiattito alla dimensione economica, come una materia prima, una macchina od una qualunque fornitura. L’ideologia sottostante è che chi detiene la proprietà dell’impresa, per ciò stesso, è nel suo ambito padrone assoluto di tutto e di tutti, di cui può disporre a piacimento, pagando si capisce il relativo prezzo.

Si tratta di un’ideologia organica al neoliberismo – dilagato in Occidente a partire dagli anni ’80 del XX secolo – che ha modificato gli assetti organizzativi ed il clima delle imprese. Sono finiti in soffitta i principi che annoveravano tra i fattori chiave di successo delle imprese la partecipazione dei dipendenti, il loro senso di appartenenza ad una comunità, la loro fidelizzazione e crescita professionale. È prevalsa invece la precarizzazione del lavoro, ché anche gli assunti a tempo indeterminato sono precari, in quanto licenziabili ad nutum, mettendogli in mano quattro soldi di risarcimento. La precarizzazione implica un grave indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori e, di conseguenza, il peggioramento delle loro condizioni economiche e normative, che è l’obiettivo (raggiunto) dei padroni. Nelle imprese medie e grandi si è realizzato uno stacco netto tra l’alta direzione ed il resto dei dipendenti. Il vertice dell’impresa è l’unico organo ritenuto pensante e volitivo, colmato di soldi, benefit e tutele. Così è normale che Carlos Tavares nel 2024 abbia guadagnato 35 milioni di euro, di cui 23 milioni di stipendio e 12 di buonuscita, benché non abbia capito niente della direzione che stava prendendo il mercato dell’auto, causando a Stellantis un danno enorme, che stanno scontando i lavoratori del gruppo.

La precarizzazione e riduzione a merce dei lavoratori è anche un danno all’economia in generale, perché sottoutilizza e disincentiva la stragrande maggioranza dei lavoratori; ma questo ai padroni non cale: per loro quello che conta è detenere nell’impresa il potere assoluto, che gli permette di spremere i dipendenti. Il regime assolutistico nelle imprese non è un problema solo delle imprese, ma riguarda l’esercizio materiale della democrazia nell’intera società. Un lavoratore perennemente sotto la spada di Damocle del licenziamento, ancorché illegittimo, è un cittadino meno libero. Così anche la società è meno libera se lo è la larga maggioranza dei cittadini.

Nel panorama italiano non tutti gli imprenditori si sono mutati in padroni. Benché minoritari, esistono imprenditori modello, che non a caso sono anche leader nei loro settori. Sarebbe utile ed opportuno che nella circostanza dei referendum anch’essi facessero sentire la loro voce. Inquietante è infine il silenzio di tanti politici sedicenti di centro o addirittura di sinistra, mentre quelli apertamente di destra, incluso il Presidente del Senato, invitano senza remore a boicottare i referendum.

  • Giuseppe (Pino) D’Erminio è nato a Termoli il 26 aprile 1950; dal 1981 al 2004 ha vissuto tra Bologna, Pavia e Pescara; nel 2005 è tornato ad abitare a Termoli. È laureato in Economia e commercio. Ha lavorato nel marketing assicurativo: dal 1974 al 1995 presso direzioni di compagnie, successivamente e fino al 2016 come formatore e consulente libero professionista. Conclusa la carriera lavorativa, collabora con gruppi civici locali. Gestisce il blog “antennatermoli.blogspot.com”, dove scrive di questioni locali; su argomenti più generali pubblica sul periodico L’Eguaglianza.

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