Le dipendenze patologiche aumentano sempre più e, a quelle da sostanze, si sono affiancate le dipendenze comportamentali, come il gioco d’azzardo, così classificato nel DSM-5, i disturbi dell’alimentazione, la dipendenza patologica da Internet – in particolare quella legata all’abuso dei social – e l’isolamento sociale degli adolescenti, identificato come sindrome di Hikikomori.
Sulle dipendenze patologiche da sostanze la situazione rimane molto preoccupante, anzi per molti versi si aggrava. Accanto alle tradizionali droghe, come l’eroina e la cocaina, che sono sempre più letali a causa del potenziamento dei loro principi attivi psicotropi, ci sono il crack, che sta devastando e colpendo duramente qualsiasi fascia d’età e condizione sociale, come pure l’abuso di psicofarmaci e antidolorifici, in particolare il potentissimo e distruttivo fentanyl.
Attenzione, le droghe sintetiche sono oramai senza controllo: di pasticche diversamente denominate con i termini più bizzarri ne esistono di tutti i tipi e ne sono state classificate centinaia!
Negli ultimi anni, la scelta dei consumatori si è orientata fra 930 tipi diversi di sostanze stupefacenti, tra cui 245 appartengono a diversi tipi di cannabinoidi. Dal 2009 a oggi si contano anche 74 nuovi oppioidi, con una nuova sostanza notificata nel 2022, 6 nel 2021 e 10 nel 2020. La relazione europea sulla droga fotografa ogni anno la quantità di sostanze sequestrate in tutta Europa e identifica i prodotti mai censiti. Già nel 2021 l’ammontare del sequestrato fra le nuovissime sostanze è stato di 8,5 tonnellate.
La condizione attuale è drammatica e complessa perché nei vari incontri promossi dalle più accreditate Società Scientifiche si riscontrano le seguenti peculiarità:
1) dilagano i cosiddetti poliassuntori, che passano dall’uso smodato di una droga all’altra nel giro di poche ore o nell’arco della stessa giornata. Spesso, come è ampiamente risaputo, droghe e alcolici o superalcolici camminano insieme, con una moltiplicazione degli effetti rovinosa.
2) abbiamo di fronte tanti ammalati per abuso di sostanze con “doppia diagnosi” o “multidiagnosi”, perché alle patologie delle dipendenze si accoppiano quelle psichiatriche e altre patologie neurologiche e psicologiche.
3) i principi attivi della componente tossica delle tradizionali piante sono stati potenziati di molto: per esempio, il THC dei cannabinoidi è ormai così elevato da rendere impossibile che si parli di droghe leggere, come si fa di solito con riferimento ad hascisch e marijuana. I danni neurologici, come gli studi avanzati delle neuroscienze hanno ampiamente dimostrato, sono estremamente gravi e irreversibili, soprattutto nel caso degli adolescenti, come gli ultimi dati ci confermano.
Sul versante dell’offerta, le mafie e le narcomafie agiscono ormai nel mercato globale e sono capaci di articolare e controllare il mercato come non mai, tanto da accumulare ampie risorse finanziarie, che le rendono potenti e in grado di alzare al massimo il livello di collusione con l’economia legale, la politica e gli apparati istituzionali.
Cosa fare? Dovremmo rinunciare a reagire o scatenare guerre ideologiche, che sarebbero perdenti in partenza?
La prima cosa da fare è liberarci dalle tentazioni messianiche del ricorso all’approccio repressivo o a quello opposto della legalizzazione tout court.
Il metodo principalmente repressivo è molto reclamizzato e usato in tanti Paesi, ma i risultati sono piuttosto fallimentari e scadenti, oltre che discutibili sul piano morale. Bisogna accettare il fatto che i tossicodipendenti sono persone ammalate e vanno curate, non discriminate, ghettizzate e punite. Le carceri non risolvono niente, semmai aggravano la condizione di dipendenza con costi sociali, etici ed economici insopportabili.
La soluzione della legalizzazione non va demonizzata sul piano morale o sociale, ma va criticata e problematizzata nel merito, visto innanzitutto il grado di tossicità raggiunto da qualsiasi sostanza, con conseguenti ricadute molto pesanti e compromettenti sullo stato di salute di chi ne fa uso e abuso. È allora legittimo porsi la domanda: può il servizio pubblico produrre legalmente sostanze psicotrope con i livelli di tossicità che il mercato dei consumatori purtroppo sempre più richiede? Si può rincorrere la moltiplicazione infinita dell’offerta alimentata ad arte dal narcotraffico? Da questo punto di vista, si dovrebbe procedere su scala globale e si dovrebbero trovare accordi particolari a livello internazionale, cosa che è quasi impossibile da realizzare almeno a breve.
Queste osservazioni non escludono forme di sperimentazione controllate e mirate, soprattutto al fine di evitare le derive patologiche per i consumatori e lo strapotere delle mafie nel controllo totale dell’offerta.
È interessante prendere in considerazione il modello utilizzato in Portogallo. È necessario premettere che Lisbona non ha legalizzato ma ha intelligentemente rimosso le sanzioni penali per le quantità di possesso di droga fino ad alcuni limiti prestabiliti per tipo di consumo. Il Portogallo ha cioè creato un sistema che spinge le persone che fanno abuso di sostanze a cercare aiuto nei servizi. Del resto, come ha spiegato l’ideatore del modello, il presidente dell’istituto per le dipendenze lusitano João Goulão, «la depenalizzazione di per sé non significa nulla se non hai nient’altro da offrire».
Anche l’esperto di droga dell’ONU, Martin Raithelhuber, ha ribadito più volte che «la depenalizzazione deve andare di pari passo con sufficienti offerte psicosociali e mediche come la consulenza e il trattamento delle dipendenze». Il modello messo in atto da anni in Portogallo è stato analizzato di recente da un’esperta e autorevole italiana, Anna Paola Lacatena, nel suo saggio “La polvere sotto al tappeto. Il discorso pubblico sulle droghe tra evidenze scientifiche e ipocrisie”, che vale la pena leggere per quanti sono alla ricerca di soluzioni alternative alla semplificazione ideologica.
Le soluzioni sia sul versante della lotta alle mafie, sia sul versante del consumo patologico vanno ricercate pertanto in approcci multidimensionali, di alta integrazione.
Facciamo qualche esempio nella lotta alle narcomafie:
1) Bisogna creare un contesto di prevenzione e repressione globale. A livello dei singoli Paesi si può fare poco e spesso si rischia di fare male. L’Europa dovrebbe dare l’esempio, creando una vera Procura Antimafia, sull’esempio di Eurojust, e una polizia specializzata europea, come l’Europol.
2) L’ONU deve disporre di poteri reali per mettere sotto controllo le fabbriche (attraverso i codici a barre e i rilevamenti satellitari) che producono i reagenti e i precursori chimici, che trasformano le piante di papavero da oppio e le foglie di coca in sostanze altamente tossiche e dannose. Vanno posti sotto monitoraggio anche il mercato digitale e il grande riciclaggio, dando alle Unità Finanziarie (FIU) risorse finanziarie adeguate, autonomia operativa e uno status di libertà pari almeno a quella che godono i funzionari ONU.
3) Con l’utilizzo dei sistemi satellitari, si può inoltre avere una mappatura dettagliata e in tempo reale delle produzioni di sostanze tossiche, che possono così essere controllate ed eliminate, oppure convertite in parte a produzione per la legittima componente terapeutica e in parte a colture biologiche ad alta redditività agricola e ricreative.
Ma concentriamoci di più sul versante della domanda, tenuto conto che il sistema italiano ha enormi potenzialità di capacità di intervento. Nel nostro Paese, abbiamo gettato anni fa le basi dell’approccio ad alta integrazione, sia per la prevenzione e cura sia per la fase della riabilitazione e del rinserimento. Il problema sta nell’aver fatto procedere a scartamento ridotto il sistema integrato dei servizi dei Serd pubblici e quello dei servizi del privato sociale delle Comunità Terapeutiche e dei Servizi di Prossimità, sino a fargli perdere consistenza operativa e risorse professionali e finanziarie.
Alla luce di questo approccio, da cui risulta evidente la necessità di un aggiornamento della Legge 309/1990 che riguarda la disciplina dei servizi integrati, alcune proposte sono mature per essere realizzate:
• Affrontare la nuova e drammatica ondata delle dipendenze con approcci integrati: più percorsi di prevenzione, più linee terapeutiche, più strategie di inserimento e accompagnamento educativo e sociale. Non esiste in sostanza la soluzione “messianica” di contrasto delle dipendenze, ma occorre sempre più personalizzare l’intervento.
• Investire sui “servizi a rete” dei Serd ed immettere nuove professionalità per metterli nelle migliori condizioni di affrontare le nuove sfide di prevenzione, cura e riabilitazione in modo da garantire l’alta integrazione con le Comunità Terapeutiche e i Servizi di Prossimità. A diversi anni dalla Legge quadro sulle tossicodipendenze n. 309 del 1990 e dalla Legge n. 45 del 1999, è di nuovo necessario immettere migliaia e migliaia di nuovi operatori, visto che un’intera generazione è andata in pensione e data la necessità di garantire una transizione che consenta il passaggio generazionale di know how, competenze, culture e sensibilità.
• Apprestare una particolare attenzione alla complessa c.d. “doppia diagnosi” di chi presenta seri problemi di dipendenza e contemporaneamente vive un forte disagio mentale, prendersi carico dei ragazzi in età evolutiva che cadono nelle dipendenze e dedicarsi alle problematiche legate all’inserimento lavorativo e alla cura delle dipendenze dei detenuti.
• Garantire l’Autonomia Dipartimentale dei Serd. Molte Regioni stanno procedendo verso un assorbimento dei Servizi delle dipendenze nei Dipartimenti di salute mentale. È un errore. I Servizi delle dipendenze devono mantenere una propria specificità funzionale e dirigenziale su tutto il territorio nazionale, facendo tesoro del cammino svolto in questi anni. Naturalmente tra il Dipartimento delle dipendenze e quello del disagio mentale vanno previsti momenti di cooperazione e di integrazione, formalizzando quello che già avviene sul piano esperienziale in molti territori.
• Ridisegnare la logistica dove allocare i Servizi pubblici delle dipendenze. Bisogna prevedere una serie di investimenti per allocare in spazi adeguati i Servizi in una logica moderna e avanzata, dove si possono articolare gli interventi nella logica della personalizzazione, che si richiede a una politica che vuole ampliare l’offerta e garantire un accesso ai Serd diffuso e in piena riservatezza. La Logistica e la Tecnologia devono diventare parte integrante della qualità dei Servizi da programmare e organizzare per i prossimi decenni con un piano di edilizia senza precedenti, attraverso il supporto degli operatori che, grazie alla esperienza maturata in questo campo e al know-how acquisito, possono offrire suggerimenti importanti al lavoro specifico di ingegneri e architetti che devono disegnare gli interventi.
• Dotare di più risorse finanziarie il sistema dei servizi integrati, stimolando con forza la Politica sia in Parlamento che al Governo, affinché si apra un confronto sulla portata devastante delle dipendenze, per passare ad una seria progettualità condivisa e in grado di fare tesoro delle conoscenze e dei saperi maturati sul campo, utilizzando nuove risorse finanziarie che provengono dai proventi della lotta ai narcotrafficanti e dal sequestro dei relativi beni in una percentuale certa e stabilita anno per anno.
• Istituire le specializzazioni delle dipendenze nella Facoltà di Medicina e nelle altre a sfondo sociale, il tempo è ormai maturo per questo passo: abbiamo il sapere scientifico adeguato a questo salto di qualità.
In conclusione, le dipendenze sono una sfida maledetta e complessa che ha un carattere locale e globale. L’approccio integrato è il cammino da intraprendere con rigore progettuale e con un’ampia condivisione sociale e politica!