L’intento genocidario, essenza dell’ideologia sionista, ha avuto negli ultimi due anni la più limpida e tragica manifestazione. Dopo il 7 ottobre 2023, nella Striscia di Gaza sono stati rasi al suolo l’80% degli edifici – inclusi ospedali, scuole ed università – distrutte le reti idriche e fognarie, divelti gli oliveti, più di due milioni di abitanti sono stati ridotti alla fame ed alla sete, ne sono stati uccisi almeno 70.000 e feriti 170.000. In Cisgiordania, nello stesso periodo, si stimano 1.300 palestinesi uccisi ed almeno 10.000 feriti, gli sfollati sono stati centinaia di migliaia e migliaia gli arresti indiscriminati, senza accuse né processi.
Tutto ciò non è “soltanto” una reazione sproporzionata all’attacco terroristico di Hamas, che ha ucciso 1.138 israeliani e ne ha sequestrati più di 200. Tutto ciò non è neanche la conseguenza del desiderio di autodifesa di un popolo che nei campi di sterminio nazifascisti ha patito sei milioni di vittime, perché la colonizzazione sionista della Palestina era già in atto da tempo, con tanto di approvazione formale del governo del Regno Unito, con la dichiarazione Balfour del 2017, a favore di «un focolare nazionale per il popolo ebraico» in Palestina. Tutto ciò è l’esito di un programma di annientamento fisico, culturale ed economico dei palestinesi e di appropriazione della loro terra. Un programma che nasce da molto lontano, ufficialmente nel 1897, con il primo congresso sionista tenuto a Basilea.
Qual è la legittimazione dello stato di Israele; chi o cosa gli dà il diritto di perpetrare tali e tanti crimini contro l’umanità? Nell’ideologia sionista è dio stesso, che ha assegnato al suo popolo prediletto le terre dal fiume Giordano al mare Mediterraneo. Quale più alta e incontrovertibile legittimazione? Non nuova nella storia delle infamie umane. Gott mit uns (dio è con noi) era scritto sulle fibbie delle cinture dei soldati del III Reich. Deus vult (dio lo vuole) era il richiamo delle crociate. Sfrondato dalle superfetazioni ideologico-bibliche, Israele non è altro che una colonia di popolamento di occidentali, in prevalenza europei, in Medio Oriente. Una colonia anomala, perché non creata da uno stato, ma da una parte di un popolo disperso in più stati. Esso è comunque una colonia, che si regge grazie al decisivo sostegno economico, militare, politico e diplomatico degli USA, con la benevola connivenza degli stati satelliti di Washington.
Ora i dirigenti israeliani ed i sionisti di tutto il mondo credono matura la soluzione finale, credono di potere finire quello che loro stessi chiamano il “lavoro sporco”: annientare fisicamente i palestinesi, oppure espellerli, e ridurre i rimanenti in condizioni subumane, secondo lo schema dell’apartheid, che nega non solo i diritti civili, ma anche quelli umani. Ormai i palestinesi non hanno più territorio, sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania, e quel tanto di tessuto amministrativo e di servizi che vi erano presenti sono cancellati. In Palestina restano però circa 2,3 milioni di palestinesi in Cisgiordania e 2,1 milioni nella Striscia di Gaza, più 1,8 milioni di palestinesi con cittadinanza israeliana, presenti per lo più nel Golan; in totale si arriva a circa sei milioni di palestinesi, contro otto milioni di israeliani ebrei. Nonostante tanto orrore e dolore, il popolo palestinese resiste ed è ancora possibile l’utopia di una Palestina libera e in pace. Non penso a due popoli e due stati, che può anche mettersi in conto come fase di passaggio, ma ad un solo paese, multiculturale e multietnico, dove ciascuno sia libero di professare qualunque religione oppure nessuna, e di convivere sulla medesima terra.
Affinché questa utopia si realizzi è necessario molto tempo ed un paziente ed ostinato lavoro su due direttrici strategiche.
La prima direttrice strategica consiste nell’appoggiare e mobilitare gli ebrei antisionisti e nel contrastare qualunque rigurgito antisemita, basato sulla falsa uguaglianza ebreo=sionista. Lo sforzo propagandistico dei sionisti è proprio quello di identificare sionismo con ebraismo e tutto il popolo ebraico con lo stato di Israele. Si tratta di una mistificazione che danneggia e insulta gli ebrei in generale, che vengono impropriamente tutti responsabilizzati del genocidio dei palestinesi. Già molti intellettuali ebrei si sono ribellati a tale sovrapposizione: come il linguista e filosofo Noam Chomsky e lo storico Ilan Pappé; anche in Italia si sono spesi la storica Anna Foa e l’attore, musicista e scrittore Moni Ovadia. Occorre che i gentili (non ebrei) si impegnino a sostegno degli ebrei antisionisti e contro qualsiasi rigurgito antisemita. Può sembrare strano, ma la difesa del popolo palestinese è strettamente intrecciata alla difesa del popolo ebraico dalla deriva sionista.
La seconda direttrice strategica è isolare Israele economicamente, politicamente e diplomaticamente. La colonia sionista può contare sul pesantissimo sostegno politico, diplomatico, economico e militare degli USA, ma anche l’Europa, se volesse, potrebbe condizionare fortemente Israele. Tra UE ed Israele è in vigore dal 1° giugno del 2000 un Accordo di associazione, che abolisce quasi tutte le barriere doganali reciproche (con qualche eccezione per gli alimentari) e consente alle imprese manifatturiere e di servizi di ciascuna parte di operare con l’altra parte come imprese domestiche. L’art. 2 dell’Accordo di associazione prevede l’obbligo per le parti di rispettare i diritti civili e democratici; pertanto, esiste una precisa disposizione che imporrebbe all’UE di sospendere da subito l’efficacia dell’accordo. Anche senza attendere la sospensione dell’Accordo di associazione UE-Israele, i singoli stati europei possono assumere provvedimenti economici restrittivi, quantomeno a livello del mercato bellico, che non riguarda solo le armi in senso stretto, ma sempre più i sistemi informatici di gestione dello spionaggio e delle azioni belliche. Non è importante bloccare solo le esportazioni belliche verso Israele, ma anche le importazioni, che costituiscono un sostegno all’industria bellica israeliana. Nel 2024 Israele ha importato armamenti per 2/3 dagli USA e per 1/3 dalla Germania; ma le esportazioni di armi di Israele nel 2024, che ammontano a quasi 15 miliardi di dollari (13 miliardi di euro), sono state assorbite per il 54% da stati europei, per un valore economico di 8 miliardi di dollari (7 miliardi di euro). Sempre nel 2024, l’Italia ha importato armi da Israele per 133 milioni di euro, corrispondenti al 21% dell’import militare italiano.
La recente coraggiosa impresa della Flotilla, se non ha rotto l’assedio militare di Gaza, ha aperto varchi sui silenzi complici degli stati e dell’informazione mainstream; essa ci ha anche insegnato la parola araba “sumud”, che vuol dire “resistenza testarda”. SUMUD fino alla realizzazione di una Palestina libera e pacifica!
