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Marzo 2025

Sociale

DIRITTI DELLE PERSONE LGBTQIA +: L’ITALIA FA PASSI INDIETRO

di Anna Maria DI PIETRO 31 Marzo 2025
Scritto da Anna Maria DI PIETRO

ILGA-Europe, organizzazione indipendente che lotta per l’uguaglianza e il rispetto dei diritti delle persone LGBTQIA +, ogni anno produce un report che valuta il rispetto di tali diritti attraverso il monitoraggio di leggi e politiche di 49 Paesi dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, stilando una classifica su una scala che va, in percentuale, da un minimo di 0 a un massimo di 100, basandosi su 75 criteri divisi in 7 categorie precise, considerando uguaglianza/discriminazione, reati dettati dall’odio, comprese le offese verbali, famiglia, riconoscimento legale del genere, integrità corporea intersessuale, spazio nella società civile e asilo. 

Annualmente, quindi, la classifica mappa l’evoluzione dei Paesi europei in materia di tutela dei diritti LGBTQIA +, con una fotografia reale dei vari progressi e regressi.

Nell’ultimo report, quello del 2024, l’Italia è al 36° posto, perdendo due posizioni. In controtendenza rispetto ad altri Paesi, tra cui Grecia e Germania, per esempio, che hanno lavorato per combattere odio e discriminazioni, o hanno agito su diritti specifici quali l’identità di genere, scalando la classifica.

Ma c’era da aspettarselo. In Italia l’involuzione è direttamente proporzionale alle politiche del Governo, sempre più orientate ad arginare tutti quei diritti che non rientrano nella “tradizione”, a partire dalla composizione della famiglia, che non ammette le coppie omogenitoriali; idea culminata nel dichiarare la GPA (Gestazione per altri, e non “utero in affitto”!) reato universale, quindi perseguibile anche se praticata all’estero. Un chiaro attacco alle coppie omosessuali, con una dietrologia ipocrita che pretende di intromettersi nella sfera più intima delle persone, arrivando a giudicarle, a priori, inadeguate, basandosi sul mito della famiglia tradizionale, come se questa fosse il modello perfetto e incorruttibile, l’unico valido per garantire il benessere dei figli. 

Ma è veramente così? 

Un mito che però cozza con le varie posizioni anti abortiste. Riflettiamo: secondo il Governo, i bambini non possono crescere con due padri o due madri, ma troverebbero serenità anche con la sola madre. Come se la serenità fosse un fatto di genere e non di amore. Che poi, con tutti i tagli che il Governo ha fatto, per gli asili nido per esempio, non agevolando in nessun modo le donne lavoratrici, appare veramente difficile per una madre crescere un figlio da sola.

L’Italia non è, attualmente, un Paese a favore dei diritti civili ed è urgente un’inversione di tendenza, perché il clima omofobo, che sfocia con atti che vanno dalla violenza verbale a quella fisica, è dilagante. C’è bisogno di politiche volte a un cambio culturale, intervenendo in tutte le aree, per favorire una corretta informazione, sensibilizzazione e educazione verso gli orientamenti sessuali, affettivi, l’identità di genere, a partire dalla famiglia, passando per la scuola e arrivando agli ambienti di lavoro, con progetti dedicati che siano in grado di creare inclusione, ambienti in cui le diversità si annullino a favore di un’uguaglianza piena dei diritti. L’intolleranza, visto che le aggressioni omofobe e transfobiche sono la “normalità”, deve essere combattuta con ogni mezzo e in ogni sfera sociale, in cui ognuno deve essere veramente libero di esprimere se stesso.

Del resto, se dal nazionale passiamo al locale, qualche giorno fa Elly Schlein, in visita in Molise per parlare del Terzo settore, è stata vittima di attacchi social indecenti, che ancora una volta testimoniano il clima di odio che in tutto il Paese, e in Europa, ha preso il sopravvento. Odio che non è un fatto personale di chi lo riceve, ma riguarda l’intera società che è lo specchio di quanto accade.  

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Editoriali

I DONI DEL CONIGLIETTO PASQUALE: DAZI E DISEGUAGLIANZE

di Vincenzo NOTARANGELO 31 Marzo 2025
Scritto da Vincenzo NOTARANGELO

Toglie ai poveri per dare ai ricchi potrebbe essere lo slogan della marcia su Washington di un sempre più pericoloso Donald Trump.

Con il ritorno sulla scena politica di Donald Trump e la sua solita retorica nazionalista, tornano anche i dazi doganali come strumento di politica economica. A prima vista potrebbero sembrare una mossa a favore dei lavoratori americani, un modo per “proteggere l’industria nazionale” dalla concorrenza straniera. Ma a ben vedere, la realtà è un’altra: la politica dei dazi voluta da Trump è un meccanismo regressivo che, dietro la facciata patriottica, finisce per premiare (come al solito) i ricchi e punire le classi popolari.

I dazi fanno salire il prezzo dei beni importati. Questo significa che le famiglie a basso reddito – che già destinano gran parte del proprio stipendio all’acquisto di beni di consumo – si trovano a pagare di più per prodotti di uso quotidiano, dall’abbigliamento all’elettronica, fino al cibo. Mentre per le fasce più ricche, che possono permettersi alternative locali più costose o semplicemente assorbire l’aumento, l’impatto è minimo.

Nel frattempo, le grandi imprese protette dai dazi (spesso sostenitrici dello stesso Trump) godono di profitti maggiori senza reali incentivi a migliorare condizioni di lavoro o salari. Nessuna “ri-nazionalizzazione” della produzione, nessuna rivoluzione industriale americana: solo più margini per chi sta già in alto.

In sostanza, quella di Trump non è una politica per il popolo, ma un’altra forma di redistribuzione al contrario: dai poveri ai ricchi. E mentre Wall Street sorride, chi vive con un salario minimo paga il prezzo – letteralmente – di questa propaganda travestita da patriottismo economico.

Si tratta di una scelta illogica e fuori dal tempo poiché viviamo in un modo sempre più interconnesso e globalizzato. Se andrà avanti, Trump farà una frittata! O forse neanche quella, visto che sugli scaffali dei negozi statunitensi già mancano le uova per Pasqua che si cercano in Veneto, la regione maggiormente produttrice in Italia. Questa vicenda della uova, che può sembrare poca cosa, ci fa capire come sia controproducente bloccare il commercio con dazi e minacce, eppure si insiste con danni irreparabili per tutti! Aspettando che torni un po’ di ragionevolezza, auguro ai lettori una Buona Pasqua 2025.

31 Marzo 2025 0 Commento
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Politica

SALARI A PERDERE

di Michele BLANCO 26 Marzo 2025
Scritto da Michele BLANCO

Il Report ONU ci dice che in tutto il G20 l’Italia è la peggiore in termini di salari e perdita di potere d’acquisto. Siamo dietro a Messico, India e Indonesia.

Parliamo di una perdita dell’8,7% circa. Non per tutti, ovviamente, poiché l’1% più ricco del Paese è invece sempre più ricco. Il ceto medio invece è diventato il bacino di drenaggio verso la povertà assoluta, che oggi tocca 5,7 milioni di nostri connazionali.

E sì, il problema sono i salari bassi, che si combattono con il salario minimo.

Il mercato non si “autoregola”, non fa aumentare i salari da solo in base a complicate e sofisticate equazioni, come sostengono gli economisti neoliberisti.

Non si autoregola in Paesi meno corporativi del nostro, figuriamoci da noi, dove chi ha in mano un minimo di potere economico si mette d’accordo con gli altri che hanno potere economico per fare cartello e mantere in condizioni di sfruttamento le masse dei lavoratori. In Italia si regola ormai solo per truffare i deboli e i fragili, in questo si regola bene, purtroppo. E lo dimostra l’esistenza di lavoratori che viene pagata 3 o 4 euro l’ora. In tanti sono costretti ad aprire partita iva per lavorare sottopagati e non avere un giorno di ferie.

Questo si deve spiegare ai governanti e anche a Brunetta in primis, che fu brutale e feroce contro il salario minimo per la povera gente.

Tra i venti Paesi più industrializzati del pianeta, dal 2008 a oggi il potere d’acquisto delle retribuzioni è diminuito del 6,3% in Giappone, del 4,5% in Spagna, del 2,5% nel Regno Unito, mentre è aumentato del 15% in Germania e del 20% in Corea del Sud.

In Italia l’impoverimento dei salari è stato particolarmente significativo in seguito alla crisi finanziaria globale del 2009, mentre nell’ultimo triennio ha giocato un ruolo determinante l’inflazione. Nel 2024 i salari reali in Italia sono saliti del 2,3%, ma questa crescita – rileva l’Ilo – non è stata sufficiente a compensare l’aumento del costo della vita, che aveva trascinato giù le retribuzioni reali del 3,3% nel 2022 e del 3,2% nel 2023.

L’Agenzia dell’Onu sottolinea come l’impennata dell’inflazione registrata a partire dal 2022 abbia colpito in misura maggiore i lavoratori a basso reddito, poiché questi tendenzialmente spendono la quota più consistente del proprio salario in beni e servizi come l’alloggio, le bollette energetiche e i beni alimentari, che più di altri hanno risentito dell’ondata inflattiva.

L’Ilo osserva inoltre come nel nostro Paese, dove non esiste un salario minimo legale, le retribuzioni vengano fissate tramite la contrattazione collettiva. Secondo quanto si legge nel rapporto, negli ultimi dieci anni gli accordi siglati tra sindacati e associazioni datoriali hanno portato ad aumenti salariali del 15% in termini nominali, che si sono però tradotti in una perdita del 5% del potere d’acquisto delle buste paga.

Tra i fattori che potrebbero aver contratto i salari in questi anni c’è poi la bassa produttività, anche se tra molti economisti sostengono che – al contrario – siano proprio le retribuzioni basse ad aver influito negativamente sulla produttività. Nei Paesi ad alto reddito – spiega l’Ilo – la produttività in media è salita del 30% tra il 1999 e il 2024 , mentre in Italia è diminuita del 3%. A partire dal 2022, tuttavia, la produttività del lavoro nel nostro Paese è cresciuta più dei salari reali.

A proposito delle cause all’origine delle basse retribuzioni in Italia, nei giorni scorsi ha fatto molto discutere l’audizione di Mario Draghi in Parlamento in cui persino l’ex premier ed ex presidente della Banca centrale europea ha affermato che il sistema economico adottato nell’Unione europea negli ultimi vent’anni, basato su alto export e bassi salari, “non è più sostenibile” e che quindi adesso bisogna invece rilanciare la domanda interna. Molti hanno interpretato questa analisi come un’autocritica da parte di Draghi, che fu alla guida della Bce proprio negli anni segnati dalle politiche di austerity.

26 Marzo 2025 0 Commento
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Politica

LA FINE DELLA SINISTRA

di Michele BLANCO 24 Marzo 2025
Scritto da Michele BLANCO

Incredibilmente Die Linke, l’unico partito di sinistra tedesco che ha raggiunto il quorum del 5 per cento e ha rappresentanti nel parlamento, si è unito ai guerrafondai nella loro rincorsa  all’inutile riarmo.

Questi ultimi giorni sono storici per la Germania, non in senso positivo. Il parlamento tedesco ha modificato il freno costituzionale al debito per consentire enormi spese militari illimitate, indipendentemente da quanto profondamente porteranno il bilancio federale in rosso.

Ma la cosa gravissima è che nessuna spesa sarà destinata a investimenti in ospedali, assistenza, istruzione, asili nido, pensioni, tecnologie verdi, insomma allo Stato sociale.

In questi giorni il parlamento tedesco ha stabilito che quando si tratta di finanziare la vita e la felicità dei cittadini, l’austerità resta fondamentale perché sancita nella costituzione tedesca. Al contrario gli investimenti nella morte sono stati resi possibili e illimitati senza più la morsa costituzionale dell’austerità.

La ragione di fondo per questo cambiamento sconvolgente alla Costituzione tedesca è semplice: i produttori di automobili tedeschi sono ormai troppo poco competitivi.

Non riescono più a vendere con profitto le loro auto né in Germania né all’estero.

Così, chiedono che lo Stato tedesco acquisti i carri armati che Rheinmetall produrrà sulle linee di assemblaggio sempre più inutilizzate della Volkswagen.

Per far sì che lo Stato finanzi la corsa all’inutile riarmo, era necessario aggirare il divieto costituzionale al deficit. 

Sempre desiderosi di servire i loro padroni affaristi, i partiti dei governi centristi permanenti si sono mobilitati per introdurre questo cinico e vergognoso cambiamento costituzionale, che annulla l’impegno che la Germania aveva preso dopo la Seconda guerra mondiale per la pace e il disarmo.

Per modificare la Costituzione, i partiti centristi, socialdemocratici e verdi inclusi, avevano bisogno di una maggioranza di due terzi in entrambe le camere del parlamento federale tedesco: il Bundestag (Camera bassa) e il Bundesrat (Camera alta), dove ogni Stato federato è rappresentato in base alla sua dimensione e alla coalizione di governo statale.

Sebbene i partiti centristi avevano la loro maggioranza di due terzi nel Bundestag uscente, si sono trovati di fronte a un problema serio nel Bundesrat.

Die Linke, il “partito di sinistra”, che molti avevano glorificato per il buon risultato elettorale, aveva la grande opportunità e possibilità di far sì che i governi statali di cui faceva parte (come parte di una coalizione locale) si astenessero nel voto del Bundesrat.

Questo avrebbe fermato l’emendamento costituzionale che ha aperto al ritorno della folle spesa militare senza limiti.

Al contrario  i dirigenti di Die Linke hanno scelto di non far valere i loro ideali, di non contapporrere il proprio voto nel Bundesrat, per fermare queste assurde e inutili spese militari.

Semplicemente si sono uniti ai partiti filocapitalisti e  guerrafondai in questa pericolosa, vergognosa e costosissima follia dell’ inutile riarmo.

Ora elettori di Die Linke sono, giustamente, furiosi e umiliati, e alcuni invocano persino la rottura delle coalizioni statali di cui il partito fa parte e l’espulsione dei funzionari coinvolti.

Anche il fatto che Die Linke non si sia ribellata come doveva e poteva ne contro il genocidio in Palestina, e alla successiva repressione riservato dallo Stato tedesco a chi protesta contro quel genocidio, aveva compromesso la reputazione del partito agli occhi dei veri progressisti non solo in Germania, ma anche oltre confine.

Nulla distrugge l’integrità etica di un partito di sinistra più rapidamente di una leadership troppo desiderosa di essere omologata dagli altri partiti in parlamento.

I dirigenti di Die Linke non hanno fatto nulla contro le politiche genocide e di apartheid di Israele.

Poi hanno usato i loro voti nel Bundesrat per sancire dopo 80 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, causato dalla Germania di Hitler, il ritorno alla politica di potenza guerrafondaia della Germania. Dirigenti di Die Linke avevate una grandissima opportunità di opporvi al riarmo facendo fallire il tentativo dei partiti servi dei grandi costruttori di morte, forse sarebbe stato l’inizio di un grande movimento popolare europeo contro la corsa agli armamenti. Ora che farete oltre a vergognarvi?

24 Marzo 2025 0 Commento
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Politica

COS’È LA DEMOCRAZIA? E NOI EUROPEI VIVIAMO IN UN SISTEMA EFFETTIVAMENTE DEMOCRATICO?

di Michele BLANCO 23 Marzo 2025
Scritto da Michele BLANCO

Secondo il grande giurista Kelsen: “In una democrazia, la volontá della comunitá é sempre creata attraverso una continua discussione fra maggioranza e minoranza, attraverso un libero esame di argomenti pro e contro e una data regolamentazione di una materia. Questa discussione ha luogo non soltanto in parlamento ma anche, e principalmente, in riunioni politiche, sui giornali, sui libri e altri mezzi di diffusione dell’opinione pubblica. Una democrazia senza opinione pubblica é una contraddizione in termini. In quanto l’opinione pubblica puó sorgere dove sono garantite la libertá intellettuale, la libertá di parola, di stampa e di religione …” (Hans Kelsen, Teoria generale della politica, p. 293).

In questi giorni La premier Meloni al Senato ha spiegato che gli 800 miliardi per riarmarsi contro la minaccia russa, non sono soldi che verranno tolti alle spese per la scuola, le pensioni, la sanità, ecc. E non saranno manco soldi stanziati dalla Comunità europea. NO. Non si sa che soldi siano, da dove verranno.

Qualcuno ce li darà, visto che non ne abbiamo, o no, signora Meloni? E sarà l’ennesimo debito per la guerra, o no? E se dovremo ripagare anche questo debito, sarà impossibile migliorare il welfare, le pensioni, assicurare l’assistenza sanitaria, le scuole gratuite ecc. o no, signora Meloni?

Tutto Questo ci ricorda fa le armi che abbiamo inviato per fare una guerra tra Russia e Ucraina, che è dimostrato, si poteva evitare, che non ci costavano niente perché stavano nei magazzini! Non le avevamo pagate? Non dovevamo spendere per rimettercele?

In questo momento di confusione e di pagliacci alla ribalta (vedi Calenda) sarebbe stato così semplice fare la statista: bastava dire di no alla baronessa von der Leyen di Bruxelles e ai costruttori di armi, perché non c’è alcuna minaccia russa, probabilmente la presidente del Consiglio sarebbe finita nei libri di Storia accanto ai grandi politici del passato. Invece ci finirà la brutta figura che facciamo tutti che in una democrazia non viviamo di certo. Questo ovviamente perché la prima condizione per far funzionare la democrazia sono i mezzi di comunicazione indipendenti e veritieri, cosa che da noi non esiste, i mezzi di comunicazione di massa, televisivi e giornali sono in mano agli stessi che controllano e fanno profitti con l’industria bellica. Nella narrazione dei mezzi di disinformazione di massa, tutti di proprietà, o comunque controllati, dagli stessi azionisti delle fabbriche d’armi si vuole dare per scontata l’idea che siamo in pericolo perché l’Europa sta per essere invasa dalla Russia, ipotesi assolutamente priva di qualsiasi fondamento politico economico e, soprattutto dal punto di vista pratico-militare. La federazione Russa ha 143,8 milioni di abitanti (2023), ma al tempo stesso è la nazione più grande per estensione territoriale al mondo, con ricchezze minerarie incredibili, ha il problema che territori immensi come la Siberia sono scarsamente popolari. Solo i paesi aderenti all’Unione Europa hanno 449,2 milioni (2024) di abitanti, una invasione è assolutamente improbabile. Purtroppo l’UE si è fatta custode dell’ortodossia ideologica neoliberale e globalista, inoltre l’UE è umiliata innanzitutto da se stessa, dai suoi tecnocrati antidemocratici dai propri madornali errori politici, dalla propria cecità, è preda della più grande isteria. In questo momento con realismo bisogna renderci conto che l’interesse europeo per la difesa della democrazia non è un’escalation bellica contro la Russia, ma cercare di mediare ed evitare invasioni, guerre e conflitti con un ritorno a una politica di cooperazione economica tra Est e Ovest, dove L’Europa abbia un ruolo centrale come ponte diplomatico tra le grandi potenze. Ora bisogna aiutare il popolo ucraino a non essere depredato fare in modo che ci siano elezioni democratiche e con rappresentanti legittimi si negozi una pace giusta. Ma se ci poniamo la domanda su quali sono le cause profonde che alimentano l’attuale declino delle società occidentali europee, in particolare, e della sempre meno partecipazione democratica dei cittadini? Credo che al primo punto ci sia lo scarso rispetto delle opinioni democratiche dei cittadini. Un esempio ci basti pensare come la stragrande maggioranza dei cittadini italiani ed europei siano contrari alla guerra e all’aumento inaudito delle spese militari, preferendo in modo assoluto l’aumento delle spese in sanità, istruzione e sociali, ma i governanti europei e italiani fanno l’esatto contrario, tagliano le spese sociali e aumentano sconsideratamente le inutili spese militari. E a questo punto domandiamoci: può una comunità che si autodefinisce democratica prosperare senza rispettare le opinioni della maggioranza dei suoi cittadini, senza credenze condivise, senza un orizzonte collettivo di convivenza e benessere che dia significato e coerenza al vivere sociale?

23 Marzo 2025 0 Commento
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Politica

MA DI QUALE EUROPA PARLIAMO?

di Matteo FALLICA 21 Marzo 2025
Scritto da Matteo FALLICA

Quando parliamo di Europa, di quale Europa stiamo parlando? Quella dell’euro e della bandiera blu con le stelle? O quella degli uffici di Bruxelles? Se è questa, allora stiamo parlando della fredda Europa burocratica, lontana da quel sogno originario di un “continente unito nella democrazia” e nella “cooperazione tra i popoli”.

Questa Unione Europea non è riuscita, e forse nemmeno ha voluto, realizzare quella democrazia che ci aveva promesso. Prendiamo ad esempio la Grecia, terra della democrazia e del pensiero. Ebbene, la Grecia è stata umiliata, strangolata dalla Germania con la complicità di tutti. Cinquantamila miliardi sono costati il suo soffocamento operato da una politica di tecnocrati senza volto e senza cuore. La dignità di quella terra è stata calpestata da logiche di egoismo finanziario. Un taglio sanguinoso che grida ancora giustizia. Un peccato mortale che peserà sempre sulla coscienza di un’Europa vuota. Ma forse lo abbiamo dimenticato.

Ecco perché questa Europa, invece di rappresentare la solidarietà tra i popoli, è diventata un’arena dominata dai mercati e dalle élite finanziarie, dove la burocrazia soffoca la volontà popolare, ormai ridotta a farsa.

Oggi, però, un segnale di cambiamento emerge: Trump minaccia di ritirare il supporto della NATO. Questa minaccia, seppur provocatoria, deve essere colta come una chance che non possiamo ignorare. È il momento di smettere di delegare la nostra sicurezza e politica estera a potenze che non ci rappresentano. È l’occasione di costruire una vera Europa, unita e democratica, capace di prendere in mano il proprio destino.

È il momento di ripartire, magari proprio rileggendo “Il Contratto Sociale” di Jean-Jacques Rousseau: la “democrazia” come rinuncia a parte dei poteri individuali per un sogno collettivo più grande, che risponda ai reali bisogni delle persone e non dei mercati.

Un esempio di come l’Europa possa rinnovarsi è l’introduzione di normative omogenee in ambito fiscale, con aliquote coordinate, per ridurre le disuguaglianze tra i paesi membri ed evitare il “dumping fiscale”. Allo stesso modo, un sistema giudiziario uniforme potrebbe garantire che i diritti dei cittadini siano tutelati in modo equo, indipendentemente dallo Stato in cui vivono. Inoltre, il riconoscimento universale dei diritti dei lavoratori potrebbe eliminare le differenze attuali tra i paesi, dando pari opportunità a tutti. Non si tratterebbe di imporre una ricetta unica, ma di stabilire principi comuni che promuovano l’uguaglianza e la giustizia in tutta l’Unione.

Un altro aspetto fondamentale è quello di superare il potere di veto che permette a pochi Stati di bloccare decisioni cruciali per il futuro di tutti. Bisogna votare a maggioranza, affinché ogni decisione rispecchi veramente la volontà democratica dell’intera Unione.

Da Roma a Parigi, da Bruxelles ad Atene, deve passare un filo conduttore democratico che raccolga tutte le voci per dar vita a un progetto comune. Allora sì che ha senso parlare di Unione Europea.

Ma se continuiamo a restare passivi, indifferenti di fronte ai sogni traditi e, soprattutto, a perdere continuamente la memoria permettendo che il nostro destino venga deciso da facce anonime che non ci rappresentano, il nostro futuro svanirà come un miraggio dimenticato e daremo la vittoria a un sistema che non ha alcun interesse a lasciarci respirare. 

21 Marzo 2025 0 Commento
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Politica

GIUSTIZIA FISCALE CON UNA TASSA AI SUPERICCHI

di Michele BLANCO 19 Marzo 2025
Scritto da Michele BLANCO

Una patrimoniale europea del 3%, solo per i super ricchi porterebbe 121 miliardi l’anno.

Una tassa del 3% sui patrimoni superiori ai 100 milioni di euro potrebbe generare 15 miliardi in Italia e 121 miliardi a livello europeo. È quanto emerge dal rapporto dell’Osservatorio fiscale europeo, guidato dall’economista Gabriel Zucman. La misura, già discussa al G20, è stata ripresentata oggi all’annuale Tax Symposium di Bruxelles. Essa, secondo le stime, neutralizzerebbe l’attuale ingiusta regressività fiscale, per la quale i più ricchi pagano ingiustificatamente aliquote molto inferiori rispetto alla classe media. Attualmente, si registra una fase in cui l’imposizione effettiva sui miliardari si attesta solo allo 0,2%. Con l’introduzione di questa tassa patrimoniale garantirebbe risorse utilissime per nuovi investimenti necessari per i servizi pubblici e lo stato sociale indispensabili in una società democratica, senza aumentare il debito pubblico.

Nello specifico, il report suggerisce l’introduzione di un’imposta minima del 2% sulla ricchezza delle persone con un patrimonio superiore a 100 milioni di euro, o una tassa del 3% per chi possiede più di un miliardo di euro. Uno strumento che, secondo gli autori, potrebbe generare entrate significative senza impattare la crescita economica. La logica alla base della proposta è semplice: attualmente, i super-ricchi pagano purtroppo aliquote fiscali effettive inferiori rispetto al resto della popolazione con una ingiustizia evidente e intollerabile. Secondo l’EU Tax Observatory, i sistemi fiscali moderni non riescono infatti a tassare efficacemente questa fascia di contribuenti, che sono i più ricchi, permettendo loro di sfruttare scappatoie e paradisi fiscali. Durante la Seconda guerra mondiale, evidenzia il rapporto, Francia e Regno Unito introdussero tasse straordinarie sui ricchi per finanziare le spese belliche, e l’idea di una tassazione più equa su questa fascia di popolazione è ampiamente supportata dai cittadini europei. Infatti secondo un sondaggio Eurobarometro, il 67% dei cittadini europei si è espresso favorevolmente.

Una delle principali critiche alle imposte patrimoniali, molto infondata in realtà, è la possibile mancanza di liquidità per i contribuenti colpiti. Tuttavia, il report evidenzia che un’imposta del 2% sulla ricchezza sarebbe inferiore al rendimento medio del capitale per i super-ricchi, stimato oltre il 7% annuo negli ultimi 40 anni, al netto dell’inflazione. Inoltre, la proposta include un meccanismo di compensazione: chi già paga imposte sul reddito elevate non dovrebbe versare ulteriori somme, garantendo così equità ed evitando doppia imposizione. La proposta ha già trovato spazio nel dibattito politico europeo. A febbraio 2025, l’Assemblea Nazionale francese ha approvato una tassa del 2% sui cento-milionari, e altri Stati membri potrebbero seguire l’esempio. La ricerca presenta inoltre una serie di simulazioni per calcolare il gettito fiscale nei diversi Paesi europei. Ad esempio, in Francia la tassa potrebbe generare fino a 34,8 miliardi di euro con un’aliquota del 3%, mentre in Germania si arriverebbe a 30,4 miliardi di euro. In Italia, il gettito stimato sarebbe di 15 miliardi con un’imposta del 3% e 8,3 miliardi con un’aliquota del 2%.

Ma come potrebbe concretamente impattare l’introduzione di una tassa del 3% sui patrimoni superiori ai 100 milioni di euro in Italia e in Europa? Tali risorse potrebbero essere destinate a numerosi investimenti pubblici strategici, come nell’istruzione di qualità. A livello europeo, oltre che per il potenziamento delle infrastrutture di trasporto e la promozione della sostenibilità che sono settori per i quali la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) ha stanziato oltre 15 miliardi, i 121 miliardi recuperati dalla tassa sui patrimoni dei super-ricchi coprirebbero interamente la quota del contributo offerti dai fondi strutturali e di investimento europei (SIE) per il miglioramento della ricerca e innovazione, alla competitività delle piccole e medie imprese e allo sviluppo del mercato unico digitale. Nel nostro Paese, per esempio, contribuendo all’ammodernamento e alla digitalizzazione delle infrastrutture elettriche nei prossimi 10 anni, stimato da Terna in 23 miliardi, così come ad investimenti nelle energie rinnovabili per il settore ferroviario, dopo che Ferrovie dello Stato ha annunciato un piano di 1,3 miliardi di euro destinato a coprire il 19% del fabbisogno energetico del settore ferroviario entro il 2029. Altro capitolo potrebbe essere quello del welfare studentesco: basti pensare che il PNRR prevede 1,91 miliardi di euro per triplicare i posti disponibili per gli studenti fuori sede e aumentare importo e platea di riferimento delle borse di studio. Allora sembra urgente intervenire con questa giusta tassa che permetterebbe l’introduzione di maggiore giustizia e equilibrio nel sistema fiscale degli Stati europei.

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Politica

GLI OCCIDENTALI SONO I BUONI?

di Michele BLANCO 19 Marzo 2025
Scritto da Michele BLANCO

Riassunto solo di alcuni fatti reali dal 1999.

Nel 1999, la NATO ha bombardato Belgrado per 78 giorni, senza il rispetto del diritto internazionale e senza mandato Onu, con l’obiettivo dichiarato di smembrare la Serbia e dare vita a un Kosovo indipendente, oggi infatti nel Kosovo è presente una delle principali basi NATO nei Balcani.

Nel 2001, gli Stati Uniti hanno invaso l’Afghanistan, provocando 200.000 morti, un Paese devastato e nessun risultato politico.

Nel 2002, gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente dal Trattato sui missili anti-balistici, nonostante le strenue obiezioni della Russia, aumentando drasticamente il rischio di guerre anche nucleari.

Nel 2003, gli Stati Uniti e gli alleati della NATO hanno rinnegato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite entrando in guerra in Iraq con un pretesto, rivelatosi falso e gli Stati Uniti lo sapevano. L’Iraq è ora devastato, non è stata raggiunta una vera pacificazione politica e il parlamento eletto democraticamente ha una chiarav maggioranza pro-Iran e anti-occidentale.

Nel 2004, tradendo gli impegni presi, con trattati internazionali sottoscritti, gli Stati Uniti hanno proseguito con l’allargamento della NATO, questa volta con l’ingresso degli Stati baltici, dei Paesi della regione del Mar Nero (Bulgaria e Romania) e dei Balcani.

Nel 2008, nonostante le pressanti e strenue obiezioni della Russia, gli Stati Uniti si sono impegnati ad allargare la NATO alla Georgia e all’Ucraina.

Nel 2011, gli Stati Uniti hanno incaricato la CIA di rovesciare il governo siriano di Bashar al-Assad, alleato della Russia. La Siria è completamentevdevastata dalla guerra. Oggi i terroristi islamisti messi al potere in Siria dagli Stati Uniti stanno massacrando tutte le minoranze, compresi i cristiani, gli sciiti e chiunque si opponga.

Nel 2011, la NATO ha bombardato la Libia per rovesciare Moammar Gheddafi. Il Paese, che era prospero, pacifico e stabile, è ora devastato, in una guerra civile ed in completa rovina.

Nel 2014, gli Stati Uniti hanno cospirato con le forze nazionaliste ucraine per rovesciare il presidente Viktor Yanukovych. Il Paese si trova ora in un’aspra guerra.

Nel 2015, gli Stati Uniti hanno iniziato a piazzare i missili anti-balistici Aegis in Europa orientale (Romania), a breve distanza dalla Russia.

Nel 2016-2020, gli Stati Uniti hanno sostenuto l’Ucraina nel minare l’accordo di Minsk II, nonostante il sostegno unanime da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il Paese si trova ora in un’aspra guerra.

Nel 2021, la nuova amministrazione Biden ha rifiutato di negoziare con la Russia sulla questione dell’allargamento della NATO all’Ucraina, provocando, sapendo che ci sarebbe stata l’invasione.

Nell’aprile 2022, gli Stati Uniti e il Regno Unito invitano l’Ucraina a ritirarsi dai negoziati di pace con la Russia. Il risultato è l’inutile prolungamento della guerra, con un aumento del territorio conquistato dalla Russia.

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno cercato e cercano tuttora, senza riuscirci e fallendo costantemente, un mondo unipolare guidato da un’egemonia statunitense, in cui Russia, Cina, Iran e tutte le altre nazioni devono essere sottomesse.

In questo ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti (questa è l’espressione comunemente usata negli Usa), gli Stati Uniti e solo gli Stati Uniti hanno diritto di determinare l’utilizzo del sistema bancario basato sul dollaro, il posizionamento delle basi militari all’estero, l’estensione dell’adesione alla NATO e il dispiegamento dei sistemi missilistici statunitensi, senza alcun veto o voce in capitolo da parte di altri Paesi.

Questa politica estera arrogante ha portato a guerre continue, paesi devastati, milioni di morti, una crescente rottura delle relazioni tra il blocco di nazioni guidato dagli Stati Uniti che oggi rappresenta una piccola minoranza nel pianeta e ora nemmeno più economicamente dominante, e il resto del mondo, un’impennata globale delle spese militari e ci sta lentamente portando verso il pericolo di guerre diffuse e a una purtroppo possibile terza guerra mondiale.

Negli anni passati il saggio e decennale sforzo europeo di coinvolgere Russia e Cina in una collaborazione strategica economica e politica, sostenuto con entusiasmo dalla leadership russa e cinese, è stato infranto dalla feroce opposizione degli Stati Uniti, preoccupati che ciò avrebbe potuto minare il dominio mondiale statunitense.

Tutto questo non ci viene mai spiegato dalla stampa e dall’informazione in generale.

Ma chiediamoci viviamo noi occidentali in un sistema veramente democratico?

19 Marzo 2025 0 Commento
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Politica

LA LEZIONE ELETTORALE TEDESCA: C’È MOLTO DA RIPENSARE E RIPROGETTARE!

di Giuseppe LUMIA 13 Marzo 2025
Scritto da Giuseppe LUMIA

Il risultato elettorale in Germania ha scatenato inevitabilmente una ridda di analisi e reazioni: le estreme destre cantano vittoria, i centristi gongolano per il successo, le sinistre si consolano. Non c’è solo il conflitto “a somma zero”, come ci indicano i politologi, ma siamo pervasi anche da analisi parziali e riduttive e quindi altrettanto “a somma zero”.

Quanto è successo in terra tedesca rappresenta invece una lezione severa un po’ per tutti i Paesi europei e occidentali e quindi anche per il nostro Paese, a patto che si metta da parte una lettura rassicurante che fa perno su due aspetti comunque molto positivi:

* la partecipazione al voto da record dei cittadini tedeschi, dato ancora più rilevante visti i tempi di crisi che attraversano le varie democrazie occidentali;

* la possibilità di formare senza eccessivi problemi un governo tra la Cdu e la Spd, senza nessun apporto della forza politica dell’Afd. Un risultato non da poco, visti gli obiettivi di sfondamento che la nuova “internazionale nera” si era data con la guida di Musk.

Ma attenzione, usare questi due seppur importanti argomenti per scrollarsi di dosso lo scampato pericolo rischia di rivelarsi un errore imperdonabile.

Il risultato elettorale in Germania richiede un salto di qualità sia in questo importantissimo Paese sia nel complesso delle democrazie occidentali. In sostanza, c’è molto da ripensare e riprogettare sotto diversi punti di vista.

SUL VERSANTE ECONOMICO E SOCIALE. L’approccio neoliberista e il rigorismo di bilancio, utilizzati a piene mani in un lungo ciclo di governance, hanno costretto il ceto medio-basso e i territori dell’ex Germania dell’Est in posizioni via via marginali, lasciandoli esposti alla fascinazione populista, sovranista e neonazista. È pertanto necessario entrare nell’ottica che occorre mettere mano a politiche neokeynesiane in grado innovare il sistema produttivo soprattutto manifatturiero, facendo in modo che tutte le fasce sociali partecipino in termini di distribuzione del reddito e siano coinvolte nel cambiamento delle politiche di sicurezza, di welfare, energetiche, di transizione ecologica, di gestione dell’accoglienza degli immigrati e dell’intelligenza artificiale. Non bisogna neanche trascurare i problemi devastanti che affliggono l’età giovanile, come le dipendenze e i vuoti esistenziali, sempre più spesso riempiti da logiche violente e proposte neonazionaliste e neonaziste. È un compito molto complesso, a cui neanche il nostro Paese può sottrarsi, considerate le interdipendenze che ci legano alla Germania e agli altri Paesi europei e occidentali.

SUL VERSANTE EUROPEO E INTERNAZIONALE. La sfida drammatica lanciata sull’Ucraina e sull’Europa dai gemelli dell’autocrazia, Trump e Putin, va raccolta non solo in Germania ma in tutti i Paesi che sono stati in prima linea per la nascita e lo sviluppo dell’Unione Europea. Bisogna quindi rompere gli indugi e scardinare il modo di procedere lento e farraginoso dell’Unione ad assetto “confederale”. È ormai tempo di avviare velocemente la fase costituente degli Stati Uniti d’Europa. Senza un’Europa ad assetto “federale”, ogni Paese europeo è destinato alla marginalità globale e alle incursioni del Musk di turno. Una sola politica energetica, un solo esercito, una sola politica estera, una direzione strategica comune nei settori energetici, satellitari e tecnologici, della lotta alle mafie, alle disuguaglianze e alle dipendenze sono obiettivi inevitabili e auspicabili, per non ripetere gli errori consumati prima e dopo la Seconda guerra mondiale, come del resto proponevano gli statisti di allora, come Churchill, Einaudi e De Gasperi, senza dimenticare la lungimiranza del “Manifesto di Ventotene”.

SUL VERSANTE POLITICO. Nessun soggetto politico democratico può rinviare ulteriormente l’avvio di un vero e proprio processo rigenerativo, compresa la Cdu che ha vinto le elezioni. La Spd in particolare non deve minimizzare la sua sconfitta elettorale, che è sicuramente di portata storica. Deve invece imparare a “riabitare” il territorio, la società e le istituzioni con moderne identità, radicamento e classe dirigente, con un’idea progetto in grado di offrire tutele e garanzie al ceto medio-basso e di governare le migliori innovazioni, senza più scimmiottare i neoliberisti e soprattutto senza più attardarsi nel “genericismo” insipido e inconcludente di cui a volte ci si “ammala” quando si è al governo. È un impegno che con un vario grado di intensità coinvolge tutti i Partiti della sinistra europea o occidentale.

Le sfide da affrontare sono senza dubbio drammatiche, il cammino è irto di ostacoli e contraddizioni, ma le visioni avanzate e il piglio progettuale possono sgorgare, come è successo tante volte nella storia, proprio nei momenti di profonda crisi come quello attuale.

13 Marzo 2025 0 Commento
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Politica

L’EUROPA E LA TRATTATIVA UCRAINA

di Gianni PRINCIPE 3 Marzo 2025
Scritto da Gianni PRINCIPE

L’Europa ha ripreso la propaganda ucraina e l’ha ulteriormente enfatizzata per rafforzare il sostegno popolare alla guerra in corso, ma così facendo si è messa in una posizione che le preclude un ruolo di mediazione: la presenza di sue truppe al confine con la Russia risulterebbe un atto ostile anziché di interposizione. Rischia perciò di pagare un prezzo elevato nel momento in cui gli USA di Trump si accingono a trattare la pace anche per suo conto, oltre che per l’Ucraina.

Partendo da queste considerazioni si porta avanti l’ipotesi che si sta affermando nella sinistra che si richiama alla cultura egualitaria e universalistica alla base della Dichiarazione Universale e della nascita dell’ONU: che per l’Europa questa trattativa può essere l’occasione per un rilancio di quei principi arrestando la deriva che la sta portando ad allinearsi e sottomettersi al suprematismo nazifascista che si sta affacciando in forme diverse in sistemi politici apparentemente in contrasto. Così da rendersi protagonista, in opposizione a quei disegni, di una svolta per una pace duratura.

La propaganda in uno stato di guerra è una necessità. Ma chi comanda, se finisce per credere nella propaganda che racconta, va incontro a disastri.

Per l’Ucraina la guerra ha significato reclutare un’intera generazione per mandarla a rischiare la vita sui campi di battaglia. E spiegare ai genitori che perdono i loro figli che il sacrificio era necessario. La propaganda serviva a questo, ma è stata ripresa tale e quale dai governi dei paesi dell’Occidente, dove non vi sono né reclute né madri e padri da condizionare e si è liberi di guardare i fatti per quello che sono e di usare la logica e il raziocinio: si dovrebbe perciò valutare attentamente se ripeterla tale e quale non finisca per produrre danni ai propri concittadini. A maggior ragione, ora che si annuncia una trattativa, perché la verità dei fatti e la logica presentano il conto e la propaganda può costare cara.

Per inquadrare il racconto confezionato dalla propaganda ucraina si deve risalire all’origine delle vicende attuali: senza andare troppo a ritroso nel tempo, la conflittualità interna tra ucraini e russi, che fino al 2014 era stata contenuta ma mai sanata (al modo alto-atesino, per intenderci), in quell’anno era degenerata, anche per il condizionamento di più ampie dinamiche geo-politiche, in una guerra civile: chiusa da due accordi (a Minsk) in seguito ampiamente disattesi.

Per i russi le responsabilità ricadono sul nazionalismo ucraino che ha impedito di riconoscere alla minoranza di etnia russa le garanzie concordate. Considerano per di più la prospettiva di un’adesione alla NATO alla stregua di una minaccia esistenziale per il loro paese. La versione ucraina, condivisa dall’Occidente, almeno fino al gennaio 2025, sostiene invece che all’origine vi sia l’annessione della Crimea alla Russia, ferita non sanata dagli accordi di Minsk, che l’Occidente avrebbe archiviato senza reagire come sarebbe stato doveroso. La loro tesi è che da quella annessione la Russia si è sentita incoraggiata ad andare oltre e che la Crimea e il Donbass devono invece tornare ucraine non solo per ripristinare i confini riconosciuti nel 1994 ma perché cedere sui territori occupati dall’invasione porterebbe come passo successivo all’invasione dell’intera Ucraina.

Il corollario su cui si basa la propaganda dei paesi UE parte da qui: se si lascia che la Russia minacci l’intera Ucraina, in un secondo momento proverà a tornare a quelli che erano i confini dell’URSS a occidente, quindi ai paesi baltici. L’Europa, a partire dai paesi scandinavi e da quelli già compresi nell’antica “cortina di ferro” (Polonia in primis) avrebbe di che temere. L’Europa intera, fino a Lisbona.

La geografia, la demografia, per non dire la logica elementare, indurrebbero a considerare delirante la parte riguardante l’Europa occidentale: ma la tesi riguardante l’Ucraina è presa sul serio, oltre che da esponenti autorevoli delle istituzioni di quel paese, dalla Polonia e dai paesi baltici e scandinavi aderenti all’UE.

Quanto può influire questo sentimento sulla trattativa? Qui torna utile risalire all’accordo che si era profilato a Istanbul, poco dopo l’inizio della guerra. Chi ha esaminato con grande cura le carte di allora (Charap S., Radchenk S., The Talks That Could Have Ended the War in Ukraine, Foreign Affairs, 16/4/24 [https://www.foreignaffairs.com/ukraine/talks-could-have-ended-war-ukraine]) ha spiegato quale fosse il punto controverso, rimasto aperto quando Zelensky ha deciso di mandare a monte il negoziato, in coincidenza (casuale, a suo dire) con una visita lampo di Johnson a Kiev al termine di un rocambolesco viaggio: se devesse essere richiesta l’unanimità per le decisioni delle potenze chiamate a garantire la sicurezza dello stato ucraino.

Dopo la svolta trumpiana, sfrondata delle spacconate inquietanti del personaggio, è opinione diffusa che si debba riprendere la trattativa risolvendo quel nodo. Secondo l’ipotesi allora avanzata, sarebbero stati garanti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU, oltre a Germania, Italia, Polonia, Canada, Israele, Turchia. Dunque, la Russia poneva il diritto di veto come condizione dirimente per i suoi interessi in quanto la presenza dei paesi NATO, tra cui i quattro maggiori UE (Francia, Germania, Italia e Polonia) sarebbe stata soverchiante. Con queste premesse, quale significato avrebbe una presenza di forze armate UE in Ucraina al confine con la Russia?

Se i due più potenti componenti del Consiglio di Sicurezza ONU (USA e Cina) si astengono dall’intervenire come garanti (con Turchia e Israele occupate in altri conflitti) la presenza esclusivamente di eserciti UE in territorio ucraino potrebbe mai essere definita come forza di interposizione? Se fosse questo l’effettivo punto di caduta della trattativa, sarebbe una tregua armata al confine tra UE (Ucraina) e Russia (Donbass e Crimea comprese) che Trump avrebbe concordato con Putin, in nome e per conto, per non dire alle spalle, della UE di cui l’Ucraina entrerebbe a far parte. La narrazione su cui si è basata la propaganda a proposito della guerra in Ucraina si rivelerebbe una profezia auto-avverantesi: non in quanto la Russia invaderebbe l’Europa ma perché l’UE (in ritrovata sintonia con l’UK) le dichiarerebbe guerra (in stato di tregua armata) come paese ostile per decisione degli USA, tornati potenza egemone in uno schema bipolare (anti-cinese).

L’Europa Occidentale, compreso l’UK, smentirebbe così l’auspicio solenne con cui si apre lo Statuto dell’ONU, formulato proprio in base all’insegnamento ricavato dalle guerre che avevano segnato la storia europea. Questo è il passo che i reggitori delle sorti dei popoli dell’Europa occidentale starebbero per compiere, mentre si leggono dichiarazioni farneticanti di paladini del nuovo credo occidentale secondo cui la pace regalata nel 1945 (a parte le bombe su Belgrado) ha infiacchito gli europei: alla guerra, alla guerra!

Questo è il destino che attende i popoli d’Europa, se non saranno capaci di affidare le loro sorti a rappresentanti di tutt’altra pasta per riprendere il cammino che si era delineato ottanta anni or sono. Eppure, visto che per l’Europa il prezzo degli errori commessi sarà comunque alto, ora si presenta un’occasione: sarà possibile pagarlo per correggere la rotta piuttosto che per insistere nella sudditanza e nell’autolesionismo. Per orientarsi, si può attingere alle proposte che stanno emergendo (basta andare un po’ in giro per il web) da parte degli europei (di sinistra) che in questi anni di guerra hanno mantenuto una visione lucida e, senza nulla concedere al putinismo e senza inginocchiarsi ai piedi dell’osceno re Trump, si sono impegnati nella difesa delle ragioni dell’Europa: non di quella vassalla dell’impero americano in decadenza ma di quella che ha estirpato il nazifascismo dalla sua cultura e dalle sue costituzioni e ora sa riconoscerlo in tutte le sue forme, anche al suo interno, anche negli USA e nella Federazione Russa.

Basta partire dal presupposto che due autocrati che si credono ai vertici del mondo stanno stringendo un accordo in cui l’Europa, a dispetto dei loro disegni, può trovare finalmente uno spazio e un potere nuovo, basato sulla democrazia: partendo dall’includere l’Ucraina nell’Unione Europea, una volta che con la tregua abbia abolito le leggi marziali e ripristinato la democrazia in tutti gli aspetti. Il costo della sua ricostruzione sarà caro, ma si tratterà di ricostruire un pezzo di Europa. E le risorse che tanto fanno gola a Trump saranno interne al mercato europeo.

Andando oltre, si potrà razionalizzare la spesa militare europea, che è già più alta di quella russa, e compiere finalmente il passo liberatorio di smantellare la NATO e, ringraziando gli USA per il loro aiuto, sollevarli dall’incombenza di gestire le basi militari, che passerebbero all’UE. Il debito comune potrà essere così indirizzato dove serve: a rilanciare il reddito dei più svantaggiati oltre che della classe media impoverita, a modernizzare l’apparato produttivo tenendo il passo delle innovazioni tecnologiche che si stanno sviluppando nel mondo e a riprendere il cammino verso l’equilibrio ambientale (che sempre più si configura come un riequilibrio che deve sanare ferite profonde ormai inferte al pianeta). Draghi, che chiede di fare qualcosa ma non sa cosa, sarebbe finalmente accontentato.

Per finire con la questione da cui siamo partiti, la forza di interposizione al confine tra Ucraina e Russia dovrebbe tornare ad essere sotto le insegne dell’ONU, provenendo da altri continenti che non siano Europa e nord-America. L’UE tornerebbe così a pensare alle sue regole e a riprendere in mano l’indispensabile riforma dell’ONU. E quanto alle sue regole, l’architettura dell’UE attuale non funziona – e la crisi di leadership si deve in parte anche a questo motivo – in quanto aggrava l’afasia, l’incapacità di formulare una visione di prospettiva coerente con la sua ragion d’essere: che si deve principalmente al fatto che gran parte della sinistra l’ha dimenticata e si è smarrita, ma che la regola dell’unanimità aggrava con il suo effetto paralizzante. Ebbene, meglio perdere pezzi che perdere la propria ragion d’essere: aver perso un Farage non ha fatto danni (li ha fatti semmai all’UK), la presenza di altri Farage sta facendo male all’UE, la maggioranza del popolo italiano, Meloni o non Meloni, saprebbe da che parte nstare.

Vasto programma? Certo, ma le catastrofi permettono di imprimere svolte che fino a quel momento sarebbero apparse impossibili. E quella che stiamo vivendo è a tutti gli effetti una rottura di continuità.

3 Marzo 2025 0 Commento
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