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IL DIRITTO ALLO STUDIO È UN DIRITTO DI FONDAMENTALE IMPORTANZA

di Michele BLANCO 19 Maggio 2025
Scritto da Michele BLANCO

Fino quando a scuola ci andavano solo i figli dei ricchi e delle élite dominanti, tutti sapevano che andare a scuola era fondamentale e importantissimo per formare persone più capaci e forti, con più possibilità e capacità nella vita. Ma da quando hanno incominciato ad andarci anche i figli degli operai e delle classi subalterne, si è cominciato a dire: ma in fondo in fondo siamo proprio sicuri che studiare serva?

E così adesso siamo arrivati al punto che questa grande e fondamentale conquista di civiltà, l’istruzione gratuita per tutti, viene messa in discussione. Invece è giustissimo che tutti devono avere il diritto fondamentale a una istruzione garantita come afferma l’articolo 34 della Costituzione italiana che: “la scuola è aperta a tutti” e che “l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”, inoltre, garantisce che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, abbiano diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Ma per molti oggi tutto questo sacrosanto diritto non va più bene. Si è voluto e cominciato a dire e a pensare che per mandare la gente a scuola però deve essere spendibile sul mercato del lavoro prima possibile, e si è arrivati, di conseguenza, adesso all’assurdità di dire ai ai ragazzi come ai loro nonni analfabeti: anche se avete 15 o 16 anni, dovete lavorare, produrre perché questo vi tocca fare. In fondo ci vogliono imporre che per i figli dei poveri: “Che è questo lusso di studiare e basta?”. No noi dobbiamo ribellarci a queste assurdità e cominciare a ribadire l’importanza fondamentale del diritto allo studio a cominciare dal dire NO all’alternanza scuola lavoro.

19 Maggio 2025 0 Commento
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NESSUNO ESCLUSO

di Annamaria DI STASIO 16 Maggio 2025
Scritto da Annamaria DI STASIO

Più volte è stata ribadita l’importanza del voto visto, non soltanto come un dovere ma, come un diritto. Come al solito, mi riferisco a quei soggetti che molto di rado vengono tenuti in considerazione e mai  richiamati all’attenzione in periodo elettorale.  Eppure sono cittadini, anche contribuenti, esattamente come tutti. In questo specifico caso il termine  “diritto” calza a pennello. Il diritto di voto è regolato dall’art. 48 della Costituzione che stabilisce, secondo il principio del suffragio universale, che tutti i cittadini di maggiore età possono esprimere il proprio voto, libero e segreto, senza distinzioni di sesso, in condizioni di universalità e di uguaglianza. Personalmente, non ho mai notato che attraverso i  mass media venga fatto cenno alle modalità di voto delle persone in condizioni di disabilità. Generalmente il voto deve essere espresso direttamente dal cittadino e non può essere delegato. Tuttavia, vi sono categorie di elettori che in cabina hanno bisogno dell’aiuto di una persona di fiducia poiché impossibilitati a votare in autonomia.  Tali soggetti vengono definiti “elettori fisicamente impediti”. A questa categoria appartengono i ciechi, gli amputati delle mani, gli affetti da paralisi e tutti coloro che hanno impedimenti gravi. Ci sono voluti davvero molti anni prima che ci fosse una vera e propria regolamentazione del voto assistito.  Dal 5 Febbraio 2003, grazie alla Legge n.17, un  elettore appartenente alla stessa famiglia del soggetto in difficoltà oppure un altro di sua fiducia può entrare in cabina con lui, purché iscritto nelle liste elettorali di un qualsiasi Comune Italiano. L’impedimento deve essere dimostrato presentando una documentazione sanitaria rilasciata gratuitamente da una struttura pubblica che certifichi l’impossibilità a votare in autonomia.  Al fine di non dover ripetere la procedura ad ogni consultazione elettorale, si può richiedere (dopo aver presentato la suddetta documentazione medica) preventivamente al proprio Ufficio Elettorale che venga apposta direttamente sulla scheda elettorale la sigla AVD (Diritto Voto Assistito) che rappresenta una annotazione permanente. In questo modo, al seggio elettorale non occorre portare alcuna documentazione sanitaria ed il presidente di seggio deve solamente controllare che l’accompagnatore sia ben conosciuto e scelto dal disabile e che sia iscritto nelle liste elettorali di un qualsiasi Comune Italiano. Per gli elettori con handicap solo mentali (compresa la Sindrome di Down) non è previsto l’accompagnatore in cabina , nemmeno se fosse un familiare. Gli elettori con handicap motori, qualora il seggio non fosse loro accessibile, possono richiedere di votare in un altro seggio dello stesso Comune che non abbia barriere architettoniche e che venga allestita una cabina accessibile. Il Comune, inoltre, deve garantire che tutti siano in condizioni di raggiungere in proprio seggio elettorale. Desidero ancora porre  l’attenzione su questi soggetti affinché non vengano in alcun modo esclusi dalla res pubblica e dalla  cittadinanza attiva. Faccio appello anche alle famiglie che hanno in casa queste persone oggetto, alle volte, di poca attenzione semplicemente perché bisognose di un piccolo aiuto non essendo del tutto  autonome.

16 Maggio 2025 0 Commento
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Sociale

LE DIPENDENZE SONO UNA SFIDA DRAMMATICA E COMPLESSA. NON ESISTONO SCORCIATOIE MESSIANICHE, BISOGNA RICORRERE AD UN PROGETTUALE APPROCCIO INTEGRATO

di Giuseppe LUMIA 7 Maggio 2025
Scritto da Giuseppe LUMIA

Le dipendenze patologiche aumentano sempre più e, a quelle da sostanze, si sono affiancate le dipendenze comportamentali, come il gioco d’azzardo, così classificato nel DSM-5, i disturbi dell’alimentazione, la dipendenza patologica da Internet – in particolare quella legata all’abuso dei social – e l’isolamento sociale degli adolescenti, identificato come sindrome di Hikikomori.

Sulle dipendenze patologiche da sostanze la situazione rimane molto preoccupante, anzi per molti versi si aggrava. Accanto alle tradizionali droghe, come l’eroina e la cocaina, che sono sempre più letali a causa del potenziamento dei loro principi attivi psicotropi, ci sono il crack, che sta devastando e colpendo duramente qualsiasi fascia d’età e condizione sociale, come pure l’abuso di psicofarmaci e antidolorifici, in particolare il potentissimo e distruttivo fentanyl.

Attenzione, le droghe sintetiche sono oramai senza controllo: di pasticche diversamente denominate con i termini più bizzarri ne esistono di tutti i tipi e ne sono state classificate centinaia!

Negli ultimi anni, la scelta dei consumatori si è orientata fra 930 tipi diversi di sostanze stupefacenti, tra cui 245 appartengono a diversi tipi di cannabinoidi. Dal 2009 a oggi si contano anche 74 nuovi oppioidi, con una nuova sostanza notificata nel 2022, 6 nel 2021 e 10 nel 2020. La relazione europea sulla droga fotografa ogni anno la quantità di sostanze sequestrate in tutta Europa e identifica i prodotti mai censiti. Già nel 2021 l’ammontare del sequestrato fra le nuovissime sostanze è stato di 8,5 tonnellate.

La condizione attuale è drammatica e complessa perché nei vari incontri promossi dalle più accreditate Società Scientifiche si riscontrano le seguenti peculiarità:

1) dilagano i cosiddetti poliassuntori, che passano dall’uso smodato di una droga all’altra nel giro di poche ore o nell’arco della stessa giornata. Spesso, come è ampiamente risaputo, droghe e alcolici o superalcolici camminano insieme, con una moltiplicazione degli effetti rovinosa.

2) abbiamo di fronte tanti ammalati per abuso di sostanze con “doppia diagnosi” o “multidiagnosi”, perché alle patologie delle dipendenze si accoppiano quelle psichiatriche e altre patologie neurologiche e psicologiche.

3) i principi attivi della componente tossica delle tradizionali piante sono stati potenziati di molto: per esempio, il THC dei cannabinoidi è ormai così elevato da rendere impossibile che si parli di droghe leggere, come si fa di solito con riferimento ad hascisch e marijuana. I danni neurologici, come gli studi avanzati delle neuroscienze hanno ampiamente dimostrato, sono estremamente gravi e irreversibili, soprattutto nel caso degli adolescenti, come gli ultimi dati ci confermano.

Sul versante dell’offerta, le mafie e le narcomafie agiscono ormai nel mercato globale e sono capaci di articolare e controllare il mercato come non mai, tanto da accumulare ampie risorse finanziarie, che le rendono potenti e in grado di alzare al massimo il livello di collusione con l’economia legale, la politica e gli apparati istituzionali.

Cosa fare? Dovremmo rinunciare a reagire o scatenare guerre ideologiche, che sarebbero perdenti in partenza?

La prima cosa da fare è liberarci dalle tentazioni messianiche del ricorso all’approccio repressivo o a quello opposto della legalizzazione tout court.

Il metodo principalmente repressivo è molto reclamizzato e usato in tanti Paesi, ma i risultati sono piuttosto fallimentari e scadenti, oltre che discutibili sul piano morale. Bisogna accettare il fatto che i tossicodipendenti sono persone ammalate e vanno curate, non discriminate, ghettizzate e punite. Le carceri non risolvono niente, semmai aggravano la condizione di dipendenza con costi sociali, etici ed economici insopportabili.

La soluzione della legalizzazione non va demonizzata sul piano morale o sociale, ma va criticata e problematizzata nel merito, visto innanzitutto il grado di tossicità raggiunto da qualsiasi sostanza, con conseguenti ricadute molto pesanti e compromettenti sullo stato di salute di chi ne fa uso e abuso. È allora legittimo porsi la domanda: può il servizio pubblico produrre legalmente sostanze psicotrope con i livelli di tossicità che il mercato dei consumatori purtroppo sempre più richiede? Si può rincorrere la moltiplicazione infinita dell’offerta alimentata ad arte dal narcotraffico? Da questo punto di vista, si dovrebbe procedere su scala globale e si dovrebbero trovare accordi particolari a livello internazionale, cosa che è quasi impossibile da realizzare almeno a breve.

Queste osservazioni non escludono forme di sperimentazione controllate e mirate, soprattutto al fine di evitare le derive patologiche per i consumatori e lo strapotere delle mafie nel controllo totale dell’offerta.

È interessante prendere in considerazione il modello utilizzato in Portogallo. È necessario premettere che Lisbona non ha legalizzato ma ha intelligentemente rimosso le sanzioni penali per le quantità di possesso di droga fino ad alcuni limiti prestabiliti per tipo di consumo. Il Portogallo ha cioè creato un sistema che spinge le persone che fanno abuso di sostanze a cercare aiuto nei servizi. Del resto, come ha spiegato l’ideatore del modello, il presidente dell’istituto per le dipendenze lusitano João Goulão, «la depenalizzazione di per sé non significa nulla se non hai nient’altro da offrire».

Anche l’esperto di droga dell’ONU, Martin Raithelhuber, ha ribadito più volte che «la depenalizzazione deve andare di pari passo con sufficienti offerte psicosociali e mediche come la consulenza e il trattamento delle dipendenze». Il modello messo in atto da anni in Portogallo è stato analizzato di recente da un’esperta e autorevole italiana, Anna Paola Lacatena, nel suo saggio “La polvere sotto al tappeto. Il discorso pubblico sulle droghe tra evidenze scientifiche e ipocrisie”, che vale la pena leggere per quanti sono alla ricerca di soluzioni alternative alla semplificazione ideologica.

Le soluzioni sia sul versante della lotta alle mafie, sia sul versante del consumo patologico vanno ricercate pertanto in approcci multidimensionali, di alta integrazione.

Facciamo qualche esempio nella lotta alle narcomafie:

1) Bisogna creare un contesto di prevenzione e repressione globale. A livello dei singoli Paesi si può fare poco e spesso si rischia di fare male. L’Europa dovrebbe dare l’esempio, creando una vera Procura Antimafia, sull’esempio di Eurojust, e una polizia specializzata europea, come l’Europol.

2) L’ONU deve disporre di poteri reali per mettere sotto controllo le fabbriche (attraverso i codici a barre e i rilevamenti satellitari) che producono i reagenti e i precursori chimici, che trasformano le piante di papavero da oppio e le foglie di coca in sostanze altamente tossiche e dannose. Vanno posti sotto monitoraggio anche il mercato digitale e il grande riciclaggio, dando alle Unità Finanziarie (FIU) risorse finanziarie adeguate, autonomia operativa e uno status di libertà pari almeno a quella che godono i funzionari ONU.

3) Con l’utilizzo dei sistemi satellitari, si può inoltre avere una mappatura dettagliata e in tempo reale delle produzioni di sostanze tossiche, che possono così essere controllate ed eliminate, oppure convertite in parte a produzione per la legittima componente terapeutica e in parte a colture biologiche ad alta redditività agricola e ricreative.

Ma concentriamoci di più sul versante della domanda, tenuto conto che il sistema italiano ha enormi potenzialità di capacità di intervento. Nel nostro Paese, abbiamo gettato anni fa le basi dell’approccio ad alta integrazione, sia per la prevenzione e cura sia per la fase della riabilitazione e del rinserimento. Il problema sta nell’aver fatto procedere a scartamento ridotto il sistema integrato dei servizi dei Serd pubblici e quello dei servizi del privato sociale delle Comunità Terapeutiche e dei Servizi di Prossimità, sino a fargli perdere consistenza operativa e risorse professionali e finanziarie.

Alla luce di questo approccio, da cui risulta evidente la necessità di un aggiornamento della Legge 309/1990 che riguarda la disciplina dei servizi integrati, alcune proposte sono mature per essere realizzate:

•⁠ ⁠Affrontare la nuova e drammatica ondata delle dipendenze con approcci integrati: più percorsi di prevenzione, più linee terapeutiche, più strategie di inserimento e accompagnamento educativo e sociale. Non esiste in sostanza la soluzione “messianica” di contrasto delle dipendenze, ma occorre sempre più personalizzare l’intervento.

•⁠ ⁠Investire sui “servizi a rete” dei Serd ed immettere nuove professionalità per metterli nelle migliori condizioni di affrontare le nuove sfide di prevenzione, cura e riabilitazione in modo da garantire l’alta integrazione con le Comunità Terapeutiche e i Servizi di Prossimità. A diversi anni dalla Legge quadro sulle tossicodipendenze n. 309 del 1990 e dalla Legge n. 45 del 1999, è di nuovo necessario immettere migliaia e migliaia di nuovi operatori, visto che un’intera generazione è andata in pensione e data la necessità di garantire una transizione che consenta il passaggio generazionale di know how, competenze, culture e sensibilità.

•⁠ ⁠Apprestare una particolare attenzione alla complessa c.d. “doppia diagnosi” di chi presenta seri problemi di dipendenza e contemporaneamente vive un forte disagio mentale, prendersi carico dei ragazzi in età evolutiva che cadono nelle dipendenze e dedicarsi alle problematiche legate all’inserimento lavorativo e alla cura delle dipendenze dei detenuti.

•⁠ ⁠Garantire l’Autonomia Dipartimentale dei Serd. Molte Regioni stanno procedendo verso un assorbimento dei Servizi delle dipendenze nei Dipartimenti di salute mentale. È un errore. I Servizi delle dipendenze devono mantenere una propria specificità funzionale e dirigenziale su tutto il territorio nazionale, facendo tesoro del cammino svolto in questi anni. Naturalmente tra il Dipartimento delle dipendenze e quello del disagio mentale vanno previsti momenti di cooperazione e di integrazione, formalizzando quello che già avviene sul piano esperienziale in molti territori.

•⁠ ⁠Ridisegnare la logistica dove allocare i Servizi pubblici delle dipendenze. Bisogna prevedere una serie di investimenti per allocare in spazi adeguati i Servizi in una logica moderna e avanzata, dove si possono articolare gli interventi nella logica della personalizzazione, che si richiede a una politica che vuole ampliare l’offerta e garantire un accesso ai Serd diffuso e in piena riservatezza. La Logistica e la Tecnologia devono diventare parte integrante della qualità dei Servizi da programmare e organizzare per i prossimi decenni con un piano di edilizia senza precedenti, attraverso il supporto degli operatori che, grazie alla esperienza maturata in questo campo e al know-how acquisito, possono offrire suggerimenti importanti al lavoro specifico di ingegneri e architetti che devono disegnare gli interventi.

•⁠ ⁠Dotare di più risorse finanziarie il sistema dei servizi integrati, stimolando con forza la Politica sia in Parlamento che al Governo, affinché si apra un confronto sulla portata devastante delle dipendenze, per passare ad una seria progettualità condivisa e in grado di fare tesoro delle conoscenze e dei saperi maturati sul campo, utilizzando nuove risorse finanziarie che provengono dai proventi della lotta ai narcotrafficanti e dal sequestro dei relativi beni in una percentuale certa e stabilita anno per anno.

•⁠ ⁠Istituire le specializzazioni delle dipendenze nella Facoltà di Medicina e nelle altre a sfondo sociale, il tempo è ormai maturo per questo passo: abbiamo il sapere scientifico adeguato a questo salto di qualità.

In conclusione, le dipendenze sono una sfida maledetta e complessa che ha un carattere locale e globale. L’approccio integrato è il cammino da intraprendere con rigore progettuale e con un’ampia condivisione sociale e politica!

7 Maggio 2025 0 Commento
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Sociale

SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA BRITANNICA: “LA DEFINIZIONE LEGALE DI DONNA È RIFERITA AL SESSO BIOLOGICO” 

di Anna Maria DI PIETRO 30 Aprile 2025
Scritto da Anna Maria DI PIETRO

Con una recente sentenza emessa all’unanimità da cinque giudici, il più alto Tribunale del Regno Unito ha stabilito che può definirsi donna solo chi lo è biologicamente, cioè dalla nascita, mettendo un punto, non tanto fermo, a un’annosa vicenda. 

Nel 2018, il Governo scozzese, interpretando la Equality Act, legge del 2010 sulle pari opportunità e contro ogni tipo di discriminazione, aveva stabilito che nei consigli di amministrazione degli enti pubblici doveva esserci una rappresentanza femminile pari al 50%, includendo nella percentuale anche le donne trans in possesso del GRC, il certificato diriconoscimento di genere, scatenando la reazione del collettivo femminista “gender critical” For Women Scotland, che si era opposto a tale decisione con un ricorso, ottenendo con questa sentenza, dopo vari gradi di giudizio, che le persone transgender vengano escluse da tutti quei contesti riservati alle donne, quali  bagni pubblici, spogliatoi, reparti ospedalieri, gare sportive, carcere femminile, ecc. Dunque, la Corte Suprema Britannica ha chiarito che il Parlamento di Edimburgo aveva male interpretato la legge del 2010, in cui i termini “sesso” e “donna” si riferiscono a una donna biologica e al sesso biologico, senza poter ricomprendere altro genere.

Nonostante le rassicurazioni di lord Patrick Hodge, vicepresidente della Corte, che ha garantito la tutela delle donne trans da ogni discriminazione, la decisione rappresenta un freno all’ideologia gender, un passo indietro per quei diritti conquistati a fatica in un percorso sempre a ostacoli. 

Al di là dell’esultanza delle femministe, che hanno visto accogliere la propria istanza, e del rammarico degli attivisti per i diritti Lgbt, vanno fatte alcune considerazioni.

Intanto, bisogna sottolineare una contraddizione. Poniamo il caso contrario, quello di una donna che ha completato la transizione diventando uomo: come dovrà orientarsi, nei vari contesti, visto che secondo la recente sentenza conta il sesso biologico e non l’identità acquisita? 

Il dibattito è ancora aperto, ma in generale bisogna riconoscere che, nella lotta per i diritti, le persone transgender sono sempre sotto i riflettori, più di altre, dovendo combattere doppiamente contro violenze psicologiche, verbali e fisiche inaudite, discriminazioni in ogni ambito, persino per l’accesso alle cure mediche. Un giudizio continuo che ne mortifica corpo e anima, che le annienta come esseri umani, in base a una dietrologia che le vede come nemiche della tradizione, quella falsa e ipocrita che purtroppo resiste anche al progresso, e che considera i corpi dal punto di vista biologico come automi senza impulsi, senza anima, senza la possibilità di mutare. Come può un tribunale stabilire “chi è” e “cosa prova” un essere umano? E come può entrare nella sua sfera più intima, decidendo cosa può e non può fare, chi deve amare, come deve comportarsi, dove deve collocarsi?

È assurdo che si decida tutto questo in un’aula di Giustizia. È assurdo che chi dovrebbe garantire i diritti, li sgretoli, li annienti. Non si tratta della sconfitta di una parte di società e della vittoria dei conservatori della tradizione che vedono nemici e pericoli in qualunque persona fuori dagli schemi (quelli loro!), ma siamo di fronte a una disfatta generale dei valori umani, del principio di uguaglianza, di solidarietà, a favore della ghettizzazione e dell’isolamento.

Si tratta di una strada pericolosa che produrrà solo altre “periferie” umane e sociali, dove verranno relegate tutte le persone che sono semplicemente se stesse. E riguarda tutti, non solo le persone transgender.

30 Aprile 2025 0 Commento
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DIO PERDONA, LA CURIA NO

di Matteo FALLICA 24 Aprile 2025
Scritto da Matteo FALLICA


I papi che hanno pagato il prezzo per una Chiesa povera. Breve autopsia del potere

Papa Francesco è morto. E con lui, forse, si chiude una stagione di coraggio e di rivoluzione silenziosa dentro i palazzi del potere vaticano. Il suo resterà nella memoria come un pontificato che ha avuto l’audacia di mettere in discussione le fondamenta di un sistema secolare, consolidato nei privilegi, nell’opacità e nell’autoconservazione.

Ha cercato una Chiesa più povera, più autentica, spogliata di orpelli e mondanità.

Papa Bergoglio ha denunciato con forza la corruzione del clero, ha fatto processare cardinali, ha preteso trasparenza dove da secoli regnavano silenzio e fumo. Ma la reazione del potere non si è fatta attendere: all’interno della Curia si è presto formata una cordata, un’opposizione organizzata, fatta di boicottaggi, fughe di documenti, veleni. In quel sistema, lui era il corpo estraneo.

La storia della Chiesa è segnata da vari tentativi di riforma della Curia romana, spesso ostacolati proprio da resistenze interne. Nell’epoca moderna, il primo forte scossone fu dato da Giovanni Paolo I, Albino Luciani, eletto il 26 agosto 1978. Il suo pontificato fu brevissimo, poco più di quattro settimane, giusto il tempo per annunciare le sue intenzioni: toccare il cuore del potere, lo IOR, la banca vaticana, da anni al centro di scandali e legami oscuri.

Come prima cosa volle rimuovere monsignor Paul Marcinkus, allora presidente dello IOR, legato a Michele Sindona, mafioso e piduista, e a Roberto Calvi trovato impiccato a Londra nel 1982 senza colpevoli. All’epoca lo IOR era il principale azionista del Banco Ambrosiano e vennero fatte operazioni bancarie ritenute spregiudicate. “Un vescovo non può dirigere una banca”, diceva Luciani. Il vescovo Camisasca, suo biografo, dichiarò: “Voleva cambiare davvero. E sapeva chi doveva togliere di mezzo”. Non ne ebbe il tempo. Papa Luciani morì 33 giorni dopo, il 28 settembre. Morto ufficialmente per infarto, ma non c’è stata alcuna autopsia. E quella morte resta un buco nero nella storia della Chiesa.

Dopo Giovanni Paolo II, che non affrontò mai fino in fondo la questione IOR, toccò a Benedetto XVI provarci. Uomo colto, raffinato, ma isolato. Nel 2010 istituì l’Autorità di Informazione Finanziaria e cercò di riformare la struttura. Ma nel 2012, dopo l’allontanamento del presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi, l’economista laico messo a controllare la finanza vaticana, Ratzinger capì subito che neppure un papa ha il controllo della macchina.  Le condizioni in cui si trovava furono chiare quando dichiarò senza mezzi termini  “Il demonio è dentro queste mura”. E il 28 febbraio 2013, all’improvviso rassegnò le dimissioni pubblicamente. Apparentemente fu una resa; in realtà fu il passaggio del testimone. Papa Ratzinger aveva un chiaro piano in mente e l’uomo chiave del suo piano era il pauperista gesuita Jorge Mario Bergoglio. 

Con Papa Francesco la lotta si trasformò in guerra aperta. Nel dicembre 2014, durante gli auguri natalizi alla Curia, elencò le sue “15 malattie”: la Curia è affetta da “carrierismo, schizofrenia, vanagloria”. Vescovi e cardinali li ha definiti come “accumulatori di beni con un vuoto d’animo”. Un discorso spietato, chiuso con un caloroso consiglio: “Fatevi Curare!”. E poi ancora, in una uscita pubblica, riferendosi a scandali vaticani esclama “io mi vergogno!”. Insomma, la curia non godeva della sua stima. 

Poi mise mano allo IOR. Ne epurò i vertici, lo fece uscire dalla black list dei paradisi fiscali, tolse l’immunità ai cardinali. Angelo Becciu, ex sostituto della Segreteria di Stato, fu processato e condannato nel 2023 per peculato e abuso d’ufficio. Non tutto, però, funzionò. Le resistenze interne non si placarono mai. La Commissione COSEA dopo poco affondò tra scandali e fughe di notizie (Vatileaks 2). 

E ora? Il prossimo Papa avrà il coraggio di continuare questa battaglia? O torneremo a una Chiesa sontuosa e potente; anzi a dirla con le parole del papa “malata”?. Una cosa è certa, “Morto un Papa, se ne fa un altro”, una formula cinica che, in fondo, significa solo una cosa: il potere non conosce lutto, tira dritto senza pause. Un ultimo dettaglio, Papa Francesco, per sua volontà, ha chiesto di essere sepolto fuori dal Vaticano e che il suo funerale non fosse  pagato dalla Santa Sede, ma da un benefattore. Anche nell’ultimo gesto ha rifiutato i privilegi, restando lontano da quel palazzo che ha provato, forse invano, a bonificare.

24 Aprile 2025 0 Commento
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PERCHÉ ESSERE FAVOREVOLI ALLA LEGALIZZAZIONE DELLE DROGHE

di Vincenzo MUSACCHIO 22 Aprile 2025
Scritto da Vincenzo MUSACCHIO

Non sono a favore della liberalizzazione delle droghe, ma sono fermamente contrario a tutti i proibizionismi, che ottengono come risultato soltanto quello di arricchire la criminalità organizzata. Precisiamo immediatamente, per chi ci ascolta e chi ci leggerà, cosa significhi il termine “legalizzazione”. Vuol dire regolamentazione, controllo e vigilanza. Premesso questo, con il passare degli anni, ho ragionato, senza pregiudizi di sorta, su riforme volte a rendere legale, sotto il controllo diretto dello Stato, la vendita e la coltivazione delle sostanze stupefacenti privando della gestione assoluta del mercato le mafie. La mia teoria si regge su una “libertà condizionata” nella produzione, nella vendita e nel consumo delle sostanze stupefacenti escludendo, ovviamente, la nascita di un libero mercato. Impostando il ragionamento su tale direttrice, consentire la produzione, il commercio e il consumo, nel pieno rispetto della legge, produrrebbe alcuni benefici incontestabili. Credo che qualunque sia l’opinione sulla legalizzazione delle droghe, il tema debba essere discusso senza tabù insormontabili. Molti Stati (per tutti il Portogallo) stanno rivedendo le loro politiche sulle droghe, approvando riforme che possono far discutere ma che, di fatto, funzionano (legalizzazione della cannabis, accolta da un numero sempre maggiore di Paesi). Una soluzione per rimediare ai tantissimi danni causati dalle droghe può essere quella di legalizzarle tutte. So che in tanti sobbalzeranno dalla sedia e diranno il professor Musacchio è impazzito. Proverò invece a dimostrare che tale tesi non solo possa essere sostenuta, ma porterò a supporto della stessa argomenti oggettivamente non contestabili. Il primo in assoluto è la riforma attuata in Portogallo. Sono state depenalizzate tutte le droghe. Grazie ai soldi risparmiati dal mantenimento del proibizionismo più radicale, il governo portoghese ha investito su educazione, riabilitazione e reinserimento dei tossicodipendenti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Sono crollati il consumo di droga, i decessi per tossicodipendenza, la criminalità e tutto quello che era connesso a questa piaga sociale. Un ulteriore aspetto positivo da considerare sarebbe il conseguente crollo del mercato nero delle droghe e degli utili da parte delle mafie. Non potrebbero più arricchirsi poiché verrebbe meno la loro maggiore entrata economica. Se le droghe potessero essere facilmente e legalmente acquistate in farmacia, chi si rivolgerebbe ancora ai criminali? Finché ci sarà una sostanza stupefacente venduta illegalmente esisterà sempre qualcuno disposto a lucrare grazie a questo business. Se fossero legalizzate le droghe invece il mercato nero scemerebbe. Questo nuovo approccio verso le droghe può essere visto, in parte, anche negli Stati Uniti. Per quanto siano ancora pochi gli Stati ad aver legalizzato l’uso della cannabis e della marijuana, i cartelli messicani (principale fonte d’approvvigionamento) hanno subito un durissimo colpo di natura economica (Fonte: DEA). Non è da sottovalutare neanche il fatto che le “droghe di Stato” diventerebbero molto più sicure. Se venissero regolamentate, i produttori sarebbero costretti a rispettare specifici e rigorosi standard di purezza, garantendo a tutti i consumatori un prodotto di qualità. Le sostanze stupefacenti di oggi sono tagliate quasi sempre con sostanze tossiche, veleno per topi, polvere di mattoni, gesso e altri tipi di additivi. La tossicodipendenza, inoltre, è più legata alla situazione in cui vive una persona che agli effetti della droga stessa. Le nostre forze dell’ordine, attualmente, dedicano gran parte del loro tempo ad arrestare tossicodipendenti e piccoli spacciatori. Se le droghe fossero legali, questo aspetto non sarebbe più un problema. Il sistema giudiziario e quello penitenziario diventerebbero molto più efficienti. Un’altra conseguenza del proibizionismo è l’elevato numero di detenzioni (sovraffollamento carcerario) di consumatori di droghe, il che provoca inevitabilmente il collasso dell’intero sistema penale. Con la legalizzazione gran parte di queste aberrazioni scomparirebbe. Non facciamo come lo struzzo che mette la testa sottoterra per non vedere ciò che gli accade intorno. Molte droghe sono già utilizzate in modo responsabile da tutti i ceti sociali (e ci stiamo riferendo sia alle droghe legali che illegali). Molte persone fanno uso di sostanze come la cocaina, in modo responsabile, senza che ciò influisca negativamente sui loro normali ritmi di vita. Allora perché considerarle illegali, mentre sostanze come l’alcool e le sigarette sono vendute legalmente in tutto il mondo? Lo Stato è ipocrita quando continua ad essere proibizionista sulle droghe e lascia completamente libera la vendita di tabacco (che provoca oltre 40mila morti all’anno) e di alcol, che ne causa ancora molte altre. Messico, Colombia, Perù, Afganistan con simili riforme smetterebbero di essere narco-Stati. I grandi cartelli della droga non avrebbero più gli attuali profitti incommensurabili. Migliaia di vite verrebbero salvate poiché il proibizionismo sta costando più vite di quelle che riesce a salvare. Credo che un mercato legale della droga potrebbe persino educare, garantendo al consumatore la purezza del prodotto acquistato, oltre a prevenire e a ridurre le morti per overdose e le tossicodipendenze. Legalizzare questo mercato potrebbe fermare la violenza tra le bande criminali, colpire duramente i profitti dei cartelli e delle squadre armate, ridurre gli omicidi e la corruzione di tutte le persone coinvolte. A mio parere questi dati rappresentano una ragione sufficiente per riflettere e procedere verso la legalizzazione delle droghe. La cosa più importante in assoluto credo sia quella di salvare il maggior numero di vite possibili. Siamo consapevoli, ovviamente, di quanto possa essere complicato legalizzare tutte le droghe o di quanti problemi possa generare. Sappiamo che, se mai dovesse succedere, non sarà un processo immediato. Crediamo però che si possa e si debba aprire perlomeno una discussione scevra da pregiudizi su questo argomento.

22 Aprile 2025 0 Commento
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IL TEMPO DELLE SCELTE INCALZA: LE DIPENDENZE NELL’UNIVERSO GIOVANILE SI DIFFONDONO E FANNO DANNI ALLA SALUTE E ALLA SOCIETÀ MENTRE LE MAFIE SI ARRICCHISCONO

di Giuseppe LUMIA 1 Aprile 2025
Scritto da Giuseppe LUMIA

A Palermo, con l’autorevole realtà della Casa dei Giovani fondata dal coraggio e dall’abnegazione di padre Salvatore Lo Bue e oggi ben guidata da Biagio Sciortino, il Comune di Bagheria, l’Università Lumsa e la Rete nazionale delle Comunità di INTERCEAR, si è fatto il punto sulle dipendenze nell’universo giovanile di oggi. La scelta del luogo è stata particolarmente emblematica: la sala della Diocesi di Palermo, alla presenza del Vescovo don Corrado Lorefice, a conferma del rilancio di un impegno che chiama in causa tutte le donne e tutti gli uomini di buona volontà.

La mia esperienza nel dramma delle Tossicodipendenze dura da anni e anni, prima con l’impegno nel sociale e nella guida del Mo.V.I, poi in Parlamento dove, con la legge 45 del 1999, che porta il mio nome, si è realizzata un’avanzata e professionalizzante Rete di servizi a lungo invidiata sul piano internazionale.

Negli anni successivi ho dovuto combattere contro un ciclo regressivo che favoriva l’assuefazione alla pervasività delle mafie del narcotraffico e contro il procedere nella società e nella politica di vecchie e sterili divisioni sull’approccio da scegliere per le politiche di contrasto e cura delle tossicodipendenze.

Adesso, mentre procediamo con affanno e incomprensioni, le mafie stanno inondando di droghe il mondo intero., rovinando irrimediabilmente la salute di milioni di essere umani e entrando diffusamente nei consumi del vasto e difficile universo giovanile.

Al tempo stesso siamo di fronte ad una nuova e drammatica realtà delle Dipendenze, tanto che ne parliamo al plurale, cioè dipendenze da sostanze e da alcool e dipendenze comportamentali, che non sono meno dannose, come quelle da internet e da social e le varie forme di autolesionismo e di isolamento sociale.

La Rete dei Servizi, abbandonata a se stessa, si è man mano sfilacciata per mancanza di personale e di risorse finanziarie, fino a perdere le sue potenzialità e possibilità di prevenzione, cura e riabilitazione.

Cosa fare? Resilienza o Resa?

La risposta migliore è da ricercare in alcune scelte progettuali ed operative, cambiando passo culturale ed educativo per interagire al meglio con i giovani, investendo sul rilancio della Rete dei Servizi, organizzando una nuova fase delle lotte alle mafie su scala locale e globale, con l’aggressione ai loro patrimoni e con modalità di sviluppo alternativo dei Paesi attualmente produttori di sostanze e trasferendo le competenze sulle Dipendenze su base europea, perché le vie nazionali al contrasto e alle cure sono ormai sterili, hanno esaurito energia e possibilità di successo.

Dobbiamo poi smetterla di dividerci, soprattutto in politica, tra i sostenitori degli approcci più repressivi e quelli più permissivi. Alla prova dei fatti, sono falliti entrambi.

È tempo di ripensare e riprogettare interventi di alta integrazione nei percorsi terapeutici, nella prevenzione e nel reinserimento familiare, sociale e lavorativo. Solo con il pensare e fare integrato si possono ottenere risultati e affrontare questa immane sfida delle Dipendenze con responsabilità e capacità.

Infine, Palermo e alla Sicilia è richiesto di fare sul serio nel dare presto risorse adeguate e funzionalità operative alla Legge approvata nel Parlamento siciliano all’unanimità contro il crack, che sta devastando migliaia di giovani. Inoltre si devono investire risorse adeguate sulla Rete dei Servizi e sul rapporto con le Università per qualificare i nuovi operatori da destinare a questo difficile ma motivante impegno.

1 Aprile 2025 0 Commento
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Sociale

DIRITTI DELLE PERSONE LGBTQIA +: L’ITALIA FA PASSI INDIETRO

di Anna Maria DI PIETRO 31 Marzo 2025
Scritto da Anna Maria DI PIETRO

ILGA-Europe, organizzazione indipendente che lotta per l’uguaglianza e il rispetto dei diritti delle persone LGBTQIA +, ogni anno produce un report che valuta il rispetto di tali diritti attraverso il monitoraggio di leggi e politiche di 49 Paesi dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, stilando una classifica su una scala che va, in percentuale, da un minimo di 0 a un massimo di 100, basandosi su 75 criteri divisi in 7 categorie precise, considerando uguaglianza/discriminazione, reati dettati dall’odio, comprese le offese verbali, famiglia, riconoscimento legale del genere, integrità corporea intersessuale, spazio nella società civile e asilo. 

Annualmente, quindi, la classifica mappa l’evoluzione dei Paesi europei in materia di tutela dei diritti LGBTQIA +, con una fotografia reale dei vari progressi e regressi.

Nell’ultimo report, quello del 2024, l’Italia è al 36° posto, perdendo due posizioni. In controtendenza rispetto ad altri Paesi, tra cui Grecia e Germania, per esempio, che hanno lavorato per combattere odio e discriminazioni, o hanno agito su diritti specifici quali l’identità di genere, scalando la classifica.

Ma c’era da aspettarselo. In Italia l’involuzione è direttamente proporzionale alle politiche del Governo, sempre più orientate ad arginare tutti quei diritti che non rientrano nella “tradizione”, a partire dalla composizione della famiglia, che non ammette le coppie omogenitoriali; idea culminata nel dichiarare la GPA (Gestazione per altri, e non “utero in affitto”!) reato universale, quindi perseguibile anche se praticata all’estero. Un chiaro attacco alle coppie omosessuali, con una dietrologia ipocrita che pretende di intromettersi nella sfera più intima delle persone, arrivando a giudicarle, a priori, inadeguate, basandosi sul mito della famiglia tradizionale, come se questa fosse il modello perfetto e incorruttibile, l’unico valido per garantire il benessere dei figli. 

Ma è veramente così? 

Un mito che però cozza con le varie posizioni anti abortiste. Riflettiamo: secondo il Governo, i bambini non possono crescere con due padri o due madri, ma troverebbero serenità anche con la sola madre. Come se la serenità fosse un fatto di genere e non di amore. Che poi, con tutti i tagli che il Governo ha fatto, per gli asili nido per esempio, non agevolando in nessun modo le donne lavoratrici, appare veramente difficile per una madre crescere un figlio da sola.

L’Italia non è, attualmente, un Paese a favore dei diritti civili ed è urgente un’inversione di tendenza, perché il clima omofobo, che sfocia con atti che vanno dalla violenza verbale a quella fisica, è dilagante. C’è bisogno di politiche volte a un cambio culturale, intervenendo in tutte le aree, per favorire una corretta informazione, sensibilizzazione e educazione verso gli orientamenti sessuali, affettivi, l’identità di genere, a partire dalla famiglia, passando per la scuola e arrivando agli ambienti di lavoro, con progetti dedicati che siano in grado di creare inclusione, ambienti in cui le diversità si annullino a favore di un’uguaglianza piena dei diritti. L’intolleranza, visto che le aggressioni omofobe e transfobiche sono la “normalità”, deve essere combattuta con ogni mezzo e in ogni sfera sociale, in cui ognuno deve essere veramente libero di esprimere se stesso.

Del resto, se dal nazionale passiamo al locale, qualche giorno fa Elly Schlein, in visita in Molise per parlare del Terzo settore, è stata vittima di attacchi social indecenti, che ancora una volta testimoniano il clima di odio che in tutto il Paese, e in Europa, ha preso il sopravvento. Odio che non è un fatto personale di chi lo riceve, ma riguarda l’intera società che è lo specchio di quanto accade.  

31 Marzo 2025 0 Commento
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Sociale

DDL SICUREZZA: UN PASSO VERSO L’AUTORITARISMO E LA SOPPRESSIONE DEL DIRITTO DI DISSENTIRE

di Matteo FALLICA 28 Febbraio 2025
Scritto da Matteo FALLICA

In un contesto in cui il governo sta progressivamente intensificando la repressione e il controllo sociale, il DDL Sicurezza n. 1660 solleva gravi preoccupazioni, non solo per la sua compatibilità con i diritti civili, ma anche per il rischio di trasformare la nostra società in un luogo di sorveglianza e paura, piuttosto che di libertà e pluralismo. Presentato a gennaio e approvato lo scorso settembre alla Camera, ora in discussione al Senato, questo disegno di legge si inserisce in perfetta continuità con il decreto “anti-rave”, dove, più che garantire la sicurezza, si tenta di alimentare la paura e il sospetto.

Le misure contenute nel DDL sollevano interrogativi cruciali riguardo alla loro compatibilità con i principi costituzionali, in particolare con il diritto di dissentire e con la tutela dei diritti civili. Tra le novità più problematiche, si prevede l’eliminazione dell’obbligatorietà del rinvio della pena per le donne incinte, il divieto di vendita della cannabis light, l’aumento delle pene per chi minaccia o usa violenza contro i pubblici ufficiali, e l’inasprimento delle sanzioni per multe e sospensioni della patente. L’obiettivo sembra essere quello di rendere più severe le punizioni per alcuni crimini e garantire una maggiore protezione ai pubblici ufficiali.

Il dibattito sul DDL Sicurezza ha sollevato anche gravi preoccupazioni sull’autonomia delle istituzioni accademiche. L’articolo 31 del DDL prevede infatti che università ed enti di ricerca siano obbligati a collaborare con i servizi segreti, sollevando inquietanti dubbi in merito alla libertà di ricerca. Secondo l’Associazione Italiana per la Scienza Aperta (AISA), questa previsione esporrebbe studenti, ricercatori e accademici a controlli e sorveglianze, trasformando le università da luoghi di libertà intellettuale in spazi di monitoraggio.

L’aspetto più preoccupante è rappresentato dalla norma definita “anti-Gandhi”, che punisce chiunque pratichi forme di resistenza passiva con pene fino a 20 anni. Questa misura rischia di creare un pericoloso precedente, penalizzando qualsiasi forma di disobbedienza civile, a prescindere dal contesto. La sua applicazione potrebbe inficiare il diritto di manifestare dissenso, un diritto fondamentale in una società democratica.

Le preoccupazioni sollevate da numerose organizzazioni, giuristi e istituzioni, come Antigone, Forum Droghe e Rete Lenford, sono pienamente giustificate. L’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) ha infatti dichiarato che “molte delle disposizioni del disegno di legge potrebbero minare i principi fondamentali del diritto penale e dello stato di diritto, ostacolando l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali”.

In un’ottica democratica, se la legge non riconosce il dissenso come un valore fondamentale per il progresso sociale, ma lo considera una minaccia da combattere, rischiamo di trovarci intrappolati in un sistema dove la partecipazione civica e la critica sociale sono bandite e la libertà di pensiero e di espressione perde di significato. La società potrebbe trasformarsi in un luogo di controllo, piuttosto che di partecipazione. In questo scenario di deriva autoritaria, dobbiamo chiederci con coraggio e consapevolezza: fino a che punto siamo disposti a sacrificare la nostra libertà per una sicurezza che, in realtà, potrebbe minacciare la nostra stessa identità di cittadini liberi? La risposta a questa domanda determinerà il futuro del nostro paese. Una riflessione profonda non è più rinviabile, perché la posta in gioco è altissima: noi, la democrazia. 

28 Febbraio 2025 0 Commento
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Sociale

I FENOMENI

di Annamaria DI STASIO 31 Gennaio 2025
Scritto da Annamaria DI STASIO


Ormai l’utilizzo di Internet come ricerca e fonte di informazioni è di larghissimo uso anzi, per molti, risulta essere l’unica. Essa è di  veloce più immediata e “certa” rispetto ad altro materiale cartaceo. Addirittura spesso non si digita nemmeno più sulle tastiere ma si formulano le domande ad assistente che si tende, secondo me, ad umanizzare considerandolo come un amico pronto a correre in aiuto. Non si considera,invece,  il triste fatto che non si ha più una vita privata poiché, dopo aver consentito che il microfono venga tenuto acceso, si viene costantemente ascoltati. Un Ingegnere, tempo fa, mi spiegava che la tecnologia del vocale è stata messa a punto imitando le strategie della vita quotidiana dei non vedenti. In effetti, i  non vedenti adoperano molto l’ascolto che, tuttavia, alle volte non è di aiuto perché si dimostra faticoso, labile ed immateriale. Ai non vedenti perciò, viene spiegato che la conoscenza e l’utilizzo della scrittura Braille non ha eguali e non deve essere abbandonata per far posto alla tecnologia. Così facendo,  infatti, si tornerebbe all’epoca in cui non era stata  ancora raggiunta l’autonomia di scrittura e lettura. In altre parole, senza il Braille, i ciechi tornerebbero ad affogare nell’ignoranza e nella inettitudine dovendo ricorrere all’aiuto di un vedente.  In base alla mia esperienza, questo discorso funziona perché punge nella dignità e nell’orgoglio. Non so se mai un vedente si sia posto il problema di cosa sarebbe la sua vita senza la scrittura e la lettura. Tutto risulta normale quando l’assistente vocale si usa per necessità ma quando ci si abitua allo smartphon fin dai primi anni di vita la situazione cambia e diventa seria. Piccini e grandi si convincono che dentro quell’aggeggio ci sia il sapere, l’amicizia, l’amore e si isolano, perdendosi  in  mondo virtuale basato sulla velocità delle azioni e delle immagini. La cultura, i sentimenti, la famiglia scorrono velocissimi come le immagini del telefono. Di conseguenza, ci si ritrova omologati in un egoismo pazzesco. In questo clima si collocano gli Influencer, ossia quei soggetti che riescono a captare l’attenzione di moltissime persone e che hanno il potere di influenzarle nella scelta degli acquisti  in vari settori. Non solo, ma questi soggetti guidano i loro follower verso un preciso modo di pensare,  di comportamento e di azione. Lo scopo degli Influencer è quello di convincere i propri follower che il prodotto che descrivono sia utile ed inimitabile, portando i follower stessi a interagire tra loro e a pubblicizzare lo stesso prodotto attraverso il passaparola. La differenza tra l’Influencer ed il follower è che il primo guadagna cifre da capogiro mentre il secondo viene solamente strumentalizzato e spinto all’acquisto. In base al numero di follower raggiunto e, dunque, alla “reputazione” costruita, gli Influncer si posizionano in quattro categorie .  Sono davvero dei Fenomeni. A ciascuno la scelta se siano positivi o negativi.

31 Gennaio 2025 0 Commento
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