DISEGUAGLIANZE INACCETTABILI

di Michele BLANCO

Vi sono diseguaglianze incredibili nella salute della popolazione tra i paesi ricchi e di quelli poveri. Ad esempio, un bimbo nato in Ciad nel 2020 ha un’aspettativa di vita media di 52 anni, mentre un bimbo giapponese nato lo stesso anno ha un’aspettativa di vita media di 85. In Sierra Leone una donna su 16 morirà per cause ostetriche, laddove in Svezia questo rischio è corso da molto meno di una donna su 10 000. Ma, sappiamo bene, che le diseguaglianze sono forti anche all’interno degli stessi paesi, nella stessa nazione, infatti è purtroppo la salute e la malattia non sono equamente distribuite tra gli strati sociali della popolazione.

La salute di una persona è fortemente condizionata dal luogo in cui vive e lavora (se lavora). È inoltre correlata al suo reddito, alle conoscenze personali e famigliari e al suo livello di istruzione. Persino le amicizie che si hanno influisce sull’aspettativa di vita. Questi fattori sono intrecciati e interagiscono: ad esempio, il reddito è influenzato dal livello di istruzione di una persona. Ma il livello di istruzione della stessa persona è a sua volta influenzato dal reddito dei suoi genitori, specialmente in Italia tra le nazioni più ricche è una regola ferrea. La correlazione tra status socioeconomico e salute è suffragata da una serie enorme di evidenze: il livello di educazione è positivamente correlato alla sopravvivenza in caso di cancro, basso reddito e scarsa istruzione sono alla base della maggior mortalità per cancro al colon, e piú alto è il livello di istruzione, addirittura, minore è la possibilità di essere fumatori.

Vi sono innumerevoli studi sulle cause di morte. Fra questi, alcune ricerche epidemiologiche mostrano come le morti premature siano determinate da fattori ereditari solo per il 30 per cento, gli stili di vita contano invece per il 40, il contesto sociale per il 15, l’accesso alle cure per il 10 e l’esposizione all’inquinamento per il 5. In pratica, per 40 delle 100 persone che muoiono prima rispetto alla loro aspettativa di vita media, l’esito è dovuto agli stili di vita condotti e quindi a ciò che apparentemente pertiene a scelte individuali.

Chiaramente queste percentuali mutano a seconda del contesto istituzionale e geografico. Negli Stati Uniti, dove 50 milioni circa di persone non hanno l’assicurazione sanitaria, e altri 40-50 milioni hanno assicurazioni parziali, l’accesso (o piú precisamente, il mancato accesso) alle cure ha un peso molto maggiore sulla mortalità «prematura». Altresí, l’inquinamento è un fattore altamente differenziato nelle sue manifestazioni sulla Terra, e quindi l’effetto sulla salute cambia radicalmente a seconda che si viva nelle zone densamente abitate o in sperduti.

Difficile affrontare il tema delle diseguaglianze della salute senza menzionare Rudolf Virchow, lo studioso vissuto nel XIX secolo in Alta Slesia. Medico condotto, fu anche citologo: fu pioniere della patologia cellulare e della patogenesi delle malattie. Visitava i malati nelle loro abitazioni ed era, quindi, ben conscio di quanto i fattori sociali influenzassero la salute. A Virchow si deve una frase molto densa ed elegante, particolarmente adatta per avvicinare il tema delle diseguaglianze di salute: «La medicina è una scienza sociale, e la politica non è altro che medicina su larga scala». Vale la pena declinare questa citazione con alcuni esempi.

L’accesso alle cure ha una forte connotazione politica. Qui sono in gioco il tipo di sistema sanitario che uno Stato si è scelto e i valori politici che esso rispecchia. Se l’elettorato premia un’ideologia in base alla quale la salute è un bene economico, è probabile che la configurazione del sistema sanitario contemplerà un forte e diffuso ruolo del settore privato e delle assicurazioni sanitarie come negli Stati Uniti d’America; se invece i valori politici di uno Stato vedono la salute come un diritto sociale, come in generale i servizi sociali garantiti a tutti, è più che probabile che il settore pubblico statale giocherà un ruolo forte nel sistema dell’organizzazione delle cure. Inoltre, una politica fortemente influenzata dalle forze economiche, potrebbe essere timida nei confronti dei limiti da porre alle imprese in termini di inquinamento ambientale. Oppure la politica potrebbe essere semplicemente timorosa del proprio elettorato. Basti pensare alla difficoltà di pedonalizzare i centri storici. Chiaramente, hanno una dimensione politica anche il degrado dei quartieri e la coesione sociale, visto che si tratta di dimensioni che sono legate al grado di sviluppo e di incisività delle politiche sociali.

Dal lato opposto, gli stili di vita riguardano la dimensione individuale di una persona, visto che apparentemente si tratta di scelte di comportamento. Invece gli stili di vita sono inquadrabili con categorie genuinamente sociologiche. Inoltre, molte ricerche hanno evidenziato il nesso tra stili di vita e diseguaglianza sociale, dunque la dimensione politica rimane ben presente anche in questa dimensione.

I fattori sociali (e, in parte, economici) che hanno un effetto sulla salute sono detti determinanti sociali di salute. Ci sono determinanti sociali come reddito e istruzione, e determinanti sociali immediatamente connessi alla salute, come gli stili di vita. Inoltre, si usa distinguere fra determinanti individuali come il reddito, lo stile di vita appunto, il livello di istruzione, e determinanti contestuali, ovvero quei fattori che fissano vincoli e opportunità di scelta per gli individui, come l’accesso alle cure, la coesione sociale della comunità in cui si vive, l’inquinamento della propria città. Vi sono poi altri aspetti, non apparentemente sociali, come il genere e l’appartenenenza etnica e culturale, che tuttavia sono collegati alla salute per mezzo dei processi di discriminazione sociale.

L’istruzione e il reddito sono i due determinanti, come esempio, si pensi al fenomeno dell’obesità negli Stati Uniti: almeno in parte, l’obesità è un effetto diretto del basso reddito, che non permette l’accesso al cibo sano e «obbliga» a nutrirsi di cibo «spazzatura». Addirittura, essere poveri negli Stati Uniti spesso implica di dover risiedere in sobborghi degradati dove neppure ci sono negozi che vendono cibo sano, e dove imperano i fast food.

Altro esempio il tabagismo, soprattutto negli Stati Uniti. Qui siamo di fronte a un’abitudine costosa e nociva. E paradossalmente il tabagismo diminuisce al crescere del reddito. È possibile che la bassa istruzione e l’origine sociale portino a permanere in condizioni lavorative umili e spesso faticose, a vivere quindi in luoghi deprivati e a frequentare persone con poche risorse. Qui il fumare è socialmente accettato, e individualmente è vissuto anche come un modo per ridurre lo stress quotidiano, quasi fosse una terapia. Questo esempio dovrebbe rendere l’idea di come gli stili di vita siano al contempo socialmente condizionati (e in effetti sono detti determinanti sociali individuali). La posizione sociale che una persona occupa a livello lavorativo influisce sulla sua percezione di esercitare un controllo della propria vita. Scendendo nella «gerarchia sociale», crescono senso di impotenza e fatalismo, e quindi la convinzione di non essere in grado di padroneggiare gli eventi. A questo aggiungiamo che nel contesto attuale anche dove i sistemi sanitari universalistici dove si garantiscono le cure a tutti gratuitamente, come era l’Italia fino a pochi anni fa, stanno entrando in crisi per i continui tagli alla sanità pubblica. Tanto che milioni di persone di fronte al dato di fatto delle liste d’attesa infinite, per visite anche urgenti, rinunciano alle cure perché l’unica alternativa è ricorrere a visite e analisi a pagamento. La gravità della situazione è totalmente inaccettabile.

Autore

  • Michele BLANCO

    Michele BLANCO. Dottore di ricerca in “Diritti dell’uomo e Diritti fondamentali. Teorie, etiche e simboliche della cittadinanza” presso la facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli. Tra i suoi saggi più rilevanti si ricordano: “La vera ragione dei diritti umani e la democrazia partecipativa come premessa al reciproco riconoscimento tra i popoli” (2006), “Democrazia deliberativa ed opinione pubblica emancipata” (2008), “Cosmopolitismo e diritti fondamentali” (2008), “Diritti e diseguaglianze. La crisi dello stato nazionale e al contempo dello stato sociale” (2017), “Nota critica a Thomas Piketty, Capitale e ideologia” (2021) “Nota critica a Katharina Pistor , Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza”, 2021. “Recensione critica a Thomas Piketty, Una breve storia dell’uguaglianza”  2021.

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