“Sempre più spesso, subito dopo il parto, avviene qualcosa di inedito fino a qualche tempo fa. Le madri, mi ha raccontato un’ostetrica parigina, anziché prendere il bambino e portarlo a sé, cercano il cellulare e, mentre con una mano reggono il neonato, con l’altra si scattano subito un selfie. Da una dozzina d’anni questa abitudine è sempre più diffusa, e alcune ostetriche italiane me lo hanno prontamente confermato“. Così comincia l’Attenzione contesa. Come il tempo-schermo modifica l’infanzia di Simone Lanza (Armando Armando, 2025). Questa osservazione non sarebbe significativa se poi l’autore non mettesse in luce come lo schermo, sia esso tv, tablet, smartphone o videogioco, non solo attira l’attenzione con le sue immagini, ma fa da schermo agli sguardi tra le persone. Non solo il bambino già alla nascita è visto attraverso lo schermo, che permetterà di esibirne orgogliosamente l’immagine, ma l’attenzione dei genitori verso il bambino è spesso contesa da vari schermi, simultaneamente in funzione, così come quella del bambino verso i genitori. L’esperienza virtuale sugli schermi è senza dubbio stimolante, multiforme e ampia, ma prende sempre più ore, mentre nei primi anni di vita abbiamo bisogno dell’incontro diretto con le persone e con le cose e del gioco con i compagni all’aria aperta e non della sedentarietà e di rapporti mediati dallo smartphone, in cui manca la gestualità e il contatto fisico. L’attenzione che fa crescere cognitivamente e affettivamente il bambino piccolo è l’attenzione congiunta: lo scambio intenzionale di sguardi con l’adulto che porta il bambino a guardare un determinato oggetto o fenomeno.
Lanza passa in rassegna gli studi pediatrici, psicopedagogici e sociologici che mettono in luce tutti i diversi rischi (riguardanti lo sviluppo fisiologico e sensoriale, il peso, il sonno, il comportamento, l’isolamento, la sensibilità affettiva o sessuale, la depressione, l’ansia, la dipendenza, ecc.), correlati con l’abuso di tempo-schermo in generale e in relazione a specifici mezzi tecnici e a specifici contenuti (cartoni, social, videogiochi, pornografia, ecc.). Molti di questi studi danno dati allarmanti sul livello raggiunto da tutti questi diversi rischi: in particolare è unanime l’apprensione per lo sviluppo dei bambini piccoli da parte dei pediatri americani, francesi e italiani. Alcuni studiosi, riferendosi soprattutto ad età successive, tuttavia mettono in luce come la correlazione statisticatra l’uso degli schermi e le patologie non basti a mostrare che esso sia propriamente la causa delle patologie stesse. Tuttavia i ricercatori che insistono sui rischi non sono allarmisti, ma semplicemente, di fronte ad alte probabilità, insistono sul principio di precauzione. Lanza ritiene poi che ad ogni modo gli schermi concorrano ad amplificare e a rafforzare le patologie: per qualunque motivo una pre-adolescente tenda alla depressione, la frequentazione di social in cui c’è una forte competizione per l’immagine (e in cui le “concorrenti” on line trucchino le loro immagini, rendendole per lei inimitabili) non potrà che aumentargliela.
Non bisogna dimenticare che il problema, piuttosto che i mezzi tecnici in sé, sono i contenuti e i modelli di rapporti sociali on line proposti dagli algoritmi delle multinazionali digitali, il cui scopo è catturare l’attenzione e prolungare la fruizione, per lo più a beneficio degli inserzionisti pubblicitari. Inoltre questa capacità di catturare l’attenzione dei bambini-ragazzi è posta al servizio di genitori stressati dal lavoro e dalla velocità della vita quotidiana contemporanea, che sono naturalmente tentati di rilassarsi su loro propri schermi lasciando i figli a quelli che preferiscono. La raccomandazione di Lanza (e di https://pattidigitali.it/) è quella di istituire una giornata familiare “libera da schermi”. Cosa certo difficile, ma utile a tutti.
Per catturare l’attenzione, molti cartoni animati aumentano a tal punto la velocità delle loro scene esilaranti, che poi ai bambini non è possibile riferirle in nessun modo: non sono più storie narrabili, ma azioni frenetiche. Per questo è importante il più possibile evitare questo tipo di cartoni e sapere che tipo di contenuti vedono i figli, e quando e possibile vederli con loro e commentarli (ancora più difficile).
Quanto agli adolescenti, Lanza fa riferimento in particolare al fondamentale La generazione ansiosa di Jonathan Haidt (Rizzoli, 2024). Questo libro illustra come il passaggio dal telefono tradizionale a conchiglia allo smartphone abbia accresciuto i fenomeni di ansia e depressione della generazione di preadolescenti americani che all’inizio degli anni dieci ha avuto accesso a questo mezzo, ed insieme ad esso ai social e ai videogiochi interattivi on line. L’aumento rilevante dell’ansia e della depressione dichiarata dagli adolescenti e dei casi di suicidio, di autolesionismo e di ricorso ai servizi psicologici è ben documentato non solo negli Usa, ma in tutto il mondo anglofono e in vari paesi europei. Haidt però non attribuisce agli smartphone, ai social e ai videogiochi presi da soli questo aumento, ma ritiene che essi abbiano spinto all’isolamento digitale una generazione iperprotetta dai genitori, che non aveva fatto l’esperienza basilare del gioco tra coetanei senza la supervisione degli adulti e che era stata privata di autonomia e riempita di paure riguardo al mondo reale. E i genitori iperprotettivi sono senza dubbio anche un fenomeno italiano.
A questo proposito faccio notare che l’ansia dei genitori è stata accentuata spropositatamente dai moderni media sensazionalistici, che fanno uso dell’enfatizzazione dei delitti, delle aggressioni e delle violenze per attirare l’attenzione. Se ultimamente i casi di violenza domestica sono aumentati (o meglio, ne sono aumentate -finalmente- le denunce) negli ultime decenni le statistiche mostrano che in generale delitti e violenze in Italia sono gradualmente diminuite. Questa attenzione ai fatti di cronaca è naturalmente utile anche ai partiti securitari per deviare l’attenzione da altri fenomeni economici e sociali più importanti.
Lanza del resto è ben consapevole che media e social sono condizionati dalla logica del turbo-capitalismo, che spinge, insieme all’accelerazione della produzione e all’aumento dei consumi, all’accelerazione dei ritmi della vita quotidiana, rendendo sempre minore il tempo di riflessione individuale e di scambio di idee tra gli individui. Un altro autore da lui richiamato è il pedagista Neil Postman (Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nell’era dello spettacolo, Marsilio 2002, ediz. originale 1985). Egli negli anni ottanta ha ipotizzato che i media privati centrati sull’intrattenimento, e in particolare la tv, avessero il duplice effetto di far scomparire l’infanzia – precocemente informata sulla realtà della vita adulta – e di infantilizzare gli adulti stessi, abituati ad un intrattenimento senza fine e privati dell’abitudine all’informazione critica, tipica della stampa e dell’apprendimento scolastico. È da allora infatti che è cominciato quel lento declino della lettura, che ha avuto una forte accelerazione negli ultimi vent’anni, grazie ai media digitali e alla prevalenza anche lì di un’informazione spettacolare (infotainment) o mitico-complottistica. Postman vedeva profeticamente in questo declino un rischio per l’opinione pubblica critica e per la democrazia americana.
Oggi si può affermare che la convergenza tra il degrado della scuola pubblica e la prevalenza dell’intrattenimento nei media privati pagati dalla pubblicità ha portato ad un abbassamento della qualità degli strumenti critici e dell’informazione in mano ai cittadini ha portato ad una situazione generalizzata di riduzione degli spazi democratici e di indebolimento delle capacità di organizzazione e di resistenza dei lavoratori. E ciò nell’interesse dell’élite economica dominante e di quella parte dell’élite politica che ha saputo aggiornare la sua propaganda al linguaggio populista e alla cultura delle fake news.
Anche per Lanza siamo di fronte ad un grave problema sociale e politico. E la prevenzione contro l’abuso degli schermi necessita di un’organizzazione comunitaria, in cui famiglie, scuola e istituzioni collaborino su base territoriale. Le iniziative restrittive e regolative di singoli genitori possono purtroppo infrangersi contro il lassismo dell’ambiente. Le statistiche dicono, certo, che i genitori individualmente preoccupati sono la maggioranza. Ma non hanno molte probabilità di successo senza accordi con altri genitori, senza una conferma istituzionale e senza organizzazione. Per la limitazione dell’uso i genitori più coscienti e attivi possono però far valere il parere unanime dei pediatri e le opinioni ormai diffuse tra i medici di base, oltre ai dati di ricerca riportati nel libro di Lanza. Possono anche proporre a istituzioni e autorità territoriale di aderire ai “patti digitali”, che sono ormai stati stipulati in diverse città italiane.
Il numero di dispositivi digitali e schermi all’interno delle case è aumentato notevolmente: si è passati a circa una decina di schermi (TV, smartphone, tablet, console di gioco, etc.) per nucleo famigliare. Orientarsi e regolare i tempi di vita sta diventando più difficile e le famiglie ricevono indicazioni contraddittorie.
Le scuole vietano gli smartphone ma inondano gli istituti scolastici di schermi. Le tecnologie digitali sono sempre più necessarie agli adulti, ma il discorso in età evolutiva deve seguire il principio di gradualità e conformità all’età, senza bruciare le tappe. L’uso precoce e prolungato degli schermi aumenta rischi in tutte le sfere dello sviluppo psicofisico di bambini/e e ragazzi/e: problemi oculari, di postura, di coordinamento motorio, di motricità fine, di obesità, essendo la visione degli schermi una attività sedentaria disinteressata alla manipolazione e al movimento; problemi cognitivi legati allo sviluppo di attenzione, linguaggio e memoria e di conseguenza a problemi scolastici, essendo attività a bassissima interazione umana; problemi di socializzazione e di comprensione dell’affettività propria e altrui, essendo queste attività svolte per lo più in modo isolato. Bambini/e devono giocare con gli altri e all’aria aperta, manipolare oggetti, dormire in modo adeguato.
Riportiamo qui i consigli di Lanza e del pedagogista Daniele Novara (Sette regole psico-pedagogiche per gestire il digitale in famiglia) per la limitazione del tempo-schermo:
1. Evitare gli schermi nei primi tre anni di vita: nessuno schermo fino a tre anni e al massimo mezz’ora al giorno fino alla scuola primaria. […] Devono muoversi, stare all’aria aperta, manipolare, usare tutti i sensi, devono crescere vedendo i vostri occhi e quelli di altri esseri umani.
2. Evitare l’uso dello smartphone personale con socialnetwork per ragazzi/e prima dei 14 anni; si tratta di seguire le norme vigenti senza creare falsi account che modificano l’età insegnando a mentire e aggirare le leggi. […]
3. Evitare l’uso degli schermi prima di andare e letto, a maggior ragione durante il periodo del sonno. Evitare l’uso di schermi fissi e portatili all’interno delle camere preposte al sonno. Un sonno adeguato e non interrotto […] permette una crescita cerebrale e psicomotoria adeguata.
4. Evitare in famiglia l’uso di dispositivi digitali durante i pranzi […]
5. Fino alla fine della scuola primaria evitare di oltrepassare un’ora giornaliera, meglio senza un’abitudine quotidiana agli schermi; si consiglia di trascorrere il tempo libero con amici e all’aperto; evitare tassativamente smartphone personale e videogiochi.
6. Evitare l’uso eccessivo di schermi in preadolescenza e adolescenza senza superare mai le due ore giornaliere. […] L’uso quotidiano e prolungato di un solo dispositivo o app (in particolare videogiochi e social network) può creare fenomeni di dipendenza.
7. Darsi regole in famiglia per evitare l’uso libero e non regolato a tutte le età: le regole, i parental control e gli strumenti di monitoraggio, servono a prevenire sovraconsumi e dipendenze. Particolare attenzione va posta all’accesso ai siti porno, ai sociale network, allo shopping online, ai giochi di azzardo (op. cit. pp. 215-217, corsivi miei)
Si veda in generale:
Più specificamente: