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Cultura

Cultura

L’ABUSO DI TV E DI SMARTPHONE: RISCHI PER LE FAMIGLIE E LA SOCIETÀ

di Federico REPETTO 22 Maggio 2025
Scritto da Federico REPETTO

“Sempre più spesso, subito dopo il parto, avviene qualcosa di inedito fino a qualche tempo fa. Le madri, mi ha raccontato un’ostetrica parigina, anziché prendere il bambino e portarlo a sé, cercano il cellulare e, mentre con una mano reggono il neonato, con l’altra si scattano subito un selfie. Da una dozzina d’anni questa abitudine è sempre più diffusa, e alcune ostetriche italiane me lo hanno prontamente confermato“. Così comincia l’Attenzione contesa. Come il tempo-schermo modifica l’infanzia di Simone Lanza (Armando Armando, 2025). Questa osservazione non sarebbe significativa se poi l’autore non mettesse in luce come lo schermo, sia esso tv, tablet, smartphone o videogioco, non solo attira l’attenzione con le sue immagini, ma fa da schermo agli sguardi tra le persone. Non solo il bambino già alla nascita è visto attraverso lo schermo, che permetterà di esibirne orgogliosamente l’immagine, ma l’attenzione dei genitori verso il bambino è spesso contesa da vari schermi, simultaneamente in funzione, così come quella del bambino verso i genitori. L’esperienza virtuale sugli schermi è senza dubbio stimolante, multiforme e ampia, ma prende sempre più ore, mentre nei primi anni di vita abbiamo bisogno dell’incontro diretto con le persone e con le cose e del gioco con i compagni all’aria aperta e non della sedentarietà e di rapporti mediati dallo smartphone, in cui manca la gestualità e il contatto fisico. L’attenzione che fa crescere cognitivamente e affettivamente il bambino piccolo è l’attenzione congiunta: lo scambio intenzionale di sguardi con l’adulto che porta il bambino a guardare un determinato oggetto o fenomeno.

Lanza passa in rassegna gli studi pediatrici, psicopedagogici e sociologici che mettono in luce tutti i diversi rischi (riguardanti lo sviluppo fisiologico e sensoriale, il peso, il sonno, il comportamento, l’isolamento, la sensibilità affettiva o sessuale, la depressione, l’ansia, la dipendenza, ecc.), correlati con l’abuso di tempo-schermo in generale e in relazione a specifici mezzi tecnici e a specifici contenuti (cartoni, social, videogiochi, pornografia, ecc.). Molti di questi studi danno dati allarmanti sul livello raggiunto da tutti questi diversi rischi: in particolare è unanime l’apprensione per lo sviluppo dei bambini piccoli da parte dei pediatri americani, francesi e italiani. Alcuni studiosi, riferendosi soprattutto ad età successive, tuttavia mettono in luce come la correlazione statisticatra l’uso degli schermi e le patologie non basti a mostrare che esso sia propriamente la causa delle patologie stesse. Tuttavia i ricercatori che insistono sui rischi non sono allarmisti, ma semplicemente, di fronte ad alte probabilità, insistono sul principio di precauzione. Lanza ritiene poi che ad ogni modo gli schermi concorrano ad amplificare e a rafforzare le patologie: per qualunque motivo una pre-adolescente tenda alla depressione, la frequentazione di social in cui c’è una forte competizione per l’immagine (e in cui le “concorrenti” on line trucchino le loro immagini, rendendole per lei inimitabili) non potrà che aumentargliela.

Non bisogna dimenticare che il problema, piuttosto che i mezzi tecnici in sé, sono i contenuti e i modelli di rapporti sociali on line  proposti dagli algoritmi delle multinazionali digitali, il cui scopo è catturare l’attenzione e prolungare la fruizione, per lo più a beneficio degli inserzionisti pubblicitari. Inoltre questa capacità di catturare l’attenzione dei bambini-ragazzi è posta al servizio di genitori stressati dal lavoro e dalla velocità della vita quotidiana contemporanea, che sono naturalmente tentati di rilassarsi su loro propri schermi lasciando i figli a quelli che preferiscono. La raccomandazione di Lanza (e di https://pattidigitali.it/) è quella di istituire una giornata familiare “libera da schermi”. Cosa certo difficile, ma utile a tutti. 

Per catturare l’attenzione, molti cartoni animati aumentano a tal punto la velocità delle loro scene esilaranti, che poi ai bambini non è possibile riferirle in nessun modo: non sono più storie narrabili, ma azioni frenetiche. Per questo è importante il più possibile evitare questo tipo di cartoni e sapere che tipo di contenuti vedono i figli, e quando e possibile vederli con loro e commentarli (ancora più difficile). 

Quanto agli adolescenti, Lanza fa riferimento in particolare al fondamentale La generazione ansiosa di Jonathan Haidt (Rizzoli, 2024). Questo libro illustra come il passaggio dal telefono tradizionale a conchiglia allo smartphone abbia accresciuto i fenomeni di ansia e depressione della generazione di preadolescenti americani che all’inizio degli anni dieci ha avuto accesso a questo mezzo, ed insieme ad esso ai social e ai videogiochi interattivi on line. L’aumento rilevante dell’ansia e della depressione dichiarata dagli adolescenti e dei casi di suicidio, di autolesionismo e di ricorso ai servizi psicologici è ben documentato non solo negli Usa, ma in tutto il mondo anglofono e in vari paesi europei. Haidt però non attribuisce agli smartphone, ai social e ai videogiochi presi da soli questo aumento, ma ritiene che essi abbiano spinto all’isolamento digitale una generazione iperprotetta dai genitori, che non aveva fatto l’esperienza basilare del gioco tra coetanei senza la supervisione degli adulti e che era stata privata di autonomia e riempita di paure riguardo al mondo reale. E i genitori iperprotettivi sono senza dubbio anche un fenomeno italiano.

A questo proposito faccio notare che l’ansia dei genitori è stata accentuata spropositatamente dai moderni media sensazionalistici, che fanno uso dell’enfatizzazione dei delitti, delle aggressioni e delle violenze per attirare l’attenzione. Se ultimamente i casi di violenza domestica sono aumentati (o meglio, ne sono aumentate -finalmente- le denunce) negli ultime decenni le statistiche mostrano che in generale delitti e violenze in Italia sono gradualmente diminuite. Questa attenzione ai fatti di cronaca è naturalmente utile anche ai partiti securitari per deviare l’attenzione da altri fenomeni economici e sociali più importanti.

Lanza del resto è ben consapevole che media e social sono condizionati dalla logica del turbo-capitalismo, che spinge, insieme all’accelerazione della produzione e all’aumento dei consumi, all’accelerazione dei ritmi della vita quotidiana, rendendo sempre minore il tempo di riflessione individuale e di scambio di idee tra gli individui. Un altro autore da lui richiamato è il pedagista Neil Postman (Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nell’era dello spettacolo, Marsilio 2002, ediz. originale 1985). Egli negli anni ottanta ha ipotizzato che i media privati centrati sull’intrattenimento, e in particolare la tv, avessero il duplice effetto di far scomparire l’infanzia – precocemente informata sulla realtà della vita adulta – e di infantilizzare gli adulti stessi, abituati ad un intrattenimento senza fine e privati dell’abitudine all’informazione critica, tipica della stampa e dell’apprendimento scolastico. È da allora infatti che è cominciato quel lento declino della lettura, che ha avuto una forte accelerazione negli ultimi vent’anni, grazie ai media digitali e alla prevalenza anche lì di un’informazione spettacolare (infotainment) o mitico-complottistica. Postman vedeva profeticamente in questo declino un rischio per l’opinione pubblica critica e per la democrazia americana.

Oggi si può affermare che la convergenza tra il degrado della scuola pubblica e la prevalenza dell’intrattenimento nei media privati pagati dalla pubblicità ha portato ad un abbassamento della qualità degli strumenti critici e dell’informazione in mano ai cittadini ha portato ad una situazione generalizzata di riduzione degli spazi democratici e di indebolimento delle capacità di organizzazione e di resistenza dei lavoratori. E ciò nell’interesse dell’élite economica dominante e di quella parte dell’élite politica che ha saputo aggiornare la sua propaganda al linguaggio populista e alla cultura delle fake news.

Anche per Lanza siamo di fronte ad un grave problema sociale e politico. E la prevenzione contro l’abuso degli schermi necessita di un’organizzazione comunitaria, in cui famiglie, scuola e istituzioni collaborino su base territoriale. Le iniziative restrittive e regolative di singoli genitori possono purtroppo infrangersi contro il lassismo dell’ambiente. Le statistiche dicono, certo, che i genitori individualmente preoccupati sono la maggioranza. Ma non hanno molte probabilità di successo senza accordi con altri genitori, senza una conferma istituzionale e senza organizzazione. Per la limitazione dell’uso i genitori più coscienti e attivi possono però far valere il parere unanime dei pediatri e le opinioni ormai diffuse tra i medici di base, oltre ai dati  di ricerca riportati nel libro di Lanza. Possono anche proporre a istituzioni e autorità territoriale di aderire ai “patti digitali”, che sono ormai stati stipulati in diverse città italiane.

Il numero di dispositivi digitali e schermi all’interno delle case è aumentato notevolmente: si è passati a circa una decina di schermi (TV, smartphone, tablet, console di gioco, etc.) per nucleo famigliare. Orientarsi e regolare i tempi di vita sta diventando più difficile e le famiglie ricevono indicazioni contraddittorie. 

Le scuole vietano gli smartphone ma inondano gli istituti scolastici di schermi. Le tecnologie digitali sono sempre più necessarie agli adulti, ma il discorso in età evolutiva deve seguire il principio di gradualità e conformità all’età, senza bruciare le tappe. L’uso precoce e prolungato degli schermi aumenta rischi in tutte le sfere dello sviluppo psicofisico di bambini/e e ragazzi/e: problemi oculari, di postura, di coordinamento motorio, di motricità fine, di obesità, essendo la visione degli schermi una attività sedentaria disinteressata alla manipolazione e al movimento; problemi cognitivi legati allo sviluppo di attenzione, linguaggio e memoria e di conseguenza a problemi scolastici, essendo attività a bassissima interazione umana; problemi di socializzazione e di comprensione dell’affettività propria e altrui, essendo queste attività svolte per lo più in modo isolato. Bambini/e devono giocare con gli altri e all’aria aperta, manipolare oggetti, dormire in modo adeguato.

Riportiamo qui i consigli di Lanza e del pedagogista Daniele Novara (Sette regole psico-pedagogiche per gestire il digitale in famiglia) per la limitazione del tempo-schermo:

1. Evitare gli schermi nei primi tre anni di vita: nessuno schermo fino a tre anni e al massimo mezz’ora al giorno fino alla scuola primaria. […] Devono muoversi, stare all’aria aperta, manipolare, usare tutti i sensi, devono crescere vedendo i vostri occhi e quelli di altri esseri umani.

2. Evitare l’uso dello smartphone personale con socialnetwork per ragazzi/e prima dei 14 anni; si tratta di seguire le norme vigenti senza creare falsi account che modificano l’età insegnando a mentire e aggirare le leggi. […]

3. Evitare l’uso degli schermi prima di andare e letto, a maggior ragione durante il periodo del sonno. Evitare l’uso di schermi fissi e portatili all’interno delle camere preposte al sonno. Un sonno adeguato e non interrotto  […] permette una crescita cerebrale e psicomotoria adeguata.

4. Evitare in famiglia l’uso di dispositivi digitali durante i pranzi […]

5. Fino alla fine della scuola primaria evitare di oltrepassare un’ora giornaliera, meglio senza un’abitudine quotidiana agli schermi; si consiglia di trascorrere il tempo libero con amici e all’aperto; evitare tassativamente smartphone personale e videogiochi.

6. Evitare l’uso eccessivo di schermi in preadolescenza e adolescenza senza superare mai le due ore giornaliere. […] L’uso quotidiano e prolungato di un solo dispositivo o app (in particolare videogiochi e social network) può creare fenomeni di dipendenza.

7. Darsi regole in famiglia per evitare l’uso libero e non regolato a tutte le età: le regole, i parental control e gli strumenti di monitoraggio, servono a prevenire sovraconsumi e dipendenze. Particolare attenzione va posta all’accesso ai siti porno, ai sociale network, allo shopping online, ai giochi di azzardo (op. cit. pp. 215-217, corsivi miei)

Si veda in generale:

Patti Digitali

Più specificamente:

https://www.unimib.it/news/patti-digitali-milano-bicocca-offre-supporto-alle-famiglie-gestire-lingresso-nel-mondo-online-dei
Famiglie Torino
22 Maggio 2025 0 Commento
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Cultura

INTELLIGENZA ARTIFICIALE, INTELLIGENZA NATURALE E LOTTA DI CLASSE

di Pino D'ERMINIO 3 Marzo 2025
Scritto da Pino D'ERMINIO

Sempre più spesso si parla di AI e di AGI – acronimi in inglese di intelligenza artificiale e di intelligenza artificiale generale – confrontate con quella che possiamo chiamare naturale o biologica, cioè l’intelligenza di cui dispongono molti animali, sia pure in gradi diversi. Si impone preliminarmente la necessità di definire cosa si intenda per “intelligenza”. Quesito di micidiale difficoltà, perché l’intelligenza è un insieme di diverse capacità fondamentali, accompagnate da capacità complementari. Quest’ultime da sole non bastano tuttavia a configurare un essere intelligente. Mi riferisco a quelle capacità sensoriali, adattive e di autoconservazione, del tipo stimolo-risposta, che si riscontrano in tutti i viventi, a seguito di sollecitazioni (ad esempio la temperatura o la luce), ma anche alla percezione del dolore e del piacere od ai meccanismi biochimici che governano la riproduzione. A questi livelli, dove non interviene la volontà, non mi sembra che si possa parlare di intelligenza.

A me pare che componente essenziale dell’intelligenza sia la consapevolezza di sé e, conseguentemente, di quanto è distinto da sé. L’intelligenza è prima di tutto intelligenza di se stessi: cogito ergo sum. Oltre all’autocoscienza, c’è una seconda componente dell’intelligenza, misteriosa e magica: la creatività; cioè la capacità di immaginare e realizzare ciò che mai prima è stato immaginato e realizzato. Il campo scientifico-tecnico e quello artistico, in apparenza diversissimi, sono entrambi frutto della creatività, che è funzionalmente la medesima nell’uno e nell’altro. Una terza componente è l’intelligenza emotiva, ovvero la capacità di sviluppare sentimenti propri e, entro certi limiti, di cogliere quelli altrui. Una quarta componente è la facoltà di sviluppare il pensiero astratto o concettuale, dal quale scaturisce tutta la matematica, così come, ad esempio, il concetto di cavallo, come generalizzazione dei cavalli empirici. Quinta componente è la facoltà classificatoria, cioè di ordinare e raggruppare enti di qualunque natura secondo criteri frutto di ragionamenti non precostituiti; ad esempio, creando la tavola periodica degli elementi di Mendeleev (pron.: Mindilìjef). Sesta ed ultima componente mi pare la memoria, intesa come capacità di conservare e di richiamare una traccia mentale di eventi, nozioni e concetti, dunque di apprendere. Riepilogando, possiamo identificare l’intelligenza come l’insieme di sei facoltà fondamentali: autocoscienza, creatività, emotività, astrazione, classificazione e memoria (alias apprendimento).

Nella cosiddetta intelligenza artificiale di queste facoltà è riscontrabile soltanto la memoria, che anzi è enormemente più potente di quella biologica. Se diamo in pasto ad un programma di AI milioni di informazioni (depurate da quelle false) su, poniamo, Giacomo Leopardi, possiamo ricavarne un informato e decoroso saggio sul poeta, privo però di qualsivoglia originalità, perché il programma confronta ed assembla le informazioni di input secondo i criteri dati dai programmatori, ma non è in grado di svilupparle in modo creativo. Potremmo anche chiedere all’AI di scrivere una poesia leopardiana ed il programma ci restituirebbe un testo alla Leopardi, ma mai un testo di Leopardi, del quale non ha né la creatività né i sentimenti (l’emotività). Inoltre l’AI non “capisce” quello che produce, non è consapevole di quello che fa e di quello che è.

Con l’AGI (detta anche intelligenza artificiale forte) si ipotizza di creare una macchina che non solo sia in grado di apprendere e di elaborare secondo criteri discrezionali le informazioni memorizzate, ma anche di capirle, dunque di pensare il pensiero, ovvero dotata di autocoscienza. Ritengo impossibile creare una tale macchina, ma se anche lo fosse, mancherebbe di creatività e di emotività (dunque di volontà) e sarebbe solo in parte paragonabile all’intelligenza biologica. Escludo pertanto che si possa realizzare il futuro distopico dominato dalle macchine, immaginato dalla fantascienza.

L’impatto che avrà l’AI in campo economico, sociale, scientifico, artistico e politico sarà enorme, specialmente nel risolvere brillantemente ed in tempo reale i problemi di ottimizzazione, di cui si occupa la ricerca operativa, e nel vagliare ed assemblare milioni di dati, secondo criteri assegnati. C’è il rischio che nelle attività produttive si espanda la tendenza a trasformare l’uomo in un servomeccanismo, anche per i profili professionali alti? Indubbiamente sì, ma c’è anche la possibilità opposta di un innalzamento delle capacità produttive attraverso un potenziamento del lavoro, non del capitale. Nel primo caso si restringerebbero gli spazi democratici ed aumenterebbero le disuguaglianze; avverrebbe tutto il contrario nel secondo. Come andranno le cose lo stabilirà un processo sociale antico, la lotta di classe, data frettolosamente per morta con la presunta fine della storia e l’elevazione del capitalismo ad unico ed ultimo sistema possibile.

3 Marzo 2025 0 Commento
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Cultura

LA SCRITTURA DI GUERRA, STORIA DI UNA LIBERTÀ

di Annamaria DI STASIO 1 Marzo 2025
Scritto da Annamaria DI STASIO

La storia e, dunque, la nascita della scrittura Braille è stata lunga e sofferta. 

Già Erasmo da Rotterdam nel 1500 aveva posto l’attenzione sulla condizione di quei soggetti considerati scarto della società, in particolare sordi e ciechi. Essi, infatti, venivano dappertutto emarginati dalla società perché ritenuti non in grado di svolgere alcuna attività lavorativa o di altra natura e, dunque, assolutamente non adatti a ricevere alcun grado di istruzione. I ciechi si trovavano molto spesso sui sagrati delle Chiese oppure nell’ombra, ai bordi delle strade, a chiedere l’elemosina in atteggiamento di sottomissione, col capo chino ed in silenzio. In quei soggetti che sentivano di dover mantenere una certa dignità si notava un arrancare con movimenti volontari di orientamento oppure la ricerca di vedenti come guide. Altro destino per loro, ancor più triste, era il ricovero in ospizi dai quali uscivano soltanto per l’ultimo viaggio. Di solito, la compassione e lo spirito di solidarietà alimentavano metodi parascientifici che, con infusi e pozioni magiche, promettevano speranze di guarigione . Degni di nota sono personaggi illustri quali Girolamo Cardano (1501-1576) matematico, filosofo, ingegnere, astrologo e illusionista, inventore del giunto cardanico che si occupò per primo della istruzione dei sordomuti e dei ciechi e Francesco Lana de  Terzi (1631-1687) un gesuita che ideò per primo un metodo di scrittura per non vedenti. Egli fu il primo a intuire l’importanza del tatto per i non vedenti e così pensò di realizzare una sorta di  alfabeto semplificato fatto di fili intrecciati che sistemava in modo che  i ciechi, toccandoli, potessero crearsi un’idea delle lettere stesse. Fu, naturalmente, un metodo fallimentare  perché privo di rappresentazione sulla carta. Fu il tipografo veneziano  Francesco Rampazzetto a realizzare una sorta di macchina per scrivere dai  caratteri mobili che venivano impressi con una notevole pressione sulla carta realizzando una scrittura in rilievo. Anche questo metodo risultò fallimentare perché bisognava rendere adatta la carta attraverso un lungo e faticoso processo ed, inoltre, la pressione da imprimere sulla carta era davvero notevole. Di certo, la teoria dell’Empirismo inglese secondo cui la conoscenza umana deriva dall’utilizzo e dalla esperienza dei sensi, non agevolava i non vedenti. Solamente con l’affermarsi dell’Illuminismo nel XVIII secolo si ebbe una nuova visione . Dall’Europa e particolarmente attivo in Francia, partì il più grande movimento di rinnovamento in campo filosofico,  culturale, scientifico, artistico, economico, politico, religioso e sociale che poneva l’Uomo, dalla mente illuminata, in atteggiamento critico rispetto alle grandi tematiche. Venne fuori, altresì, un nuovo sentimento, quello della filantropia.  

Il primo vero tiflologo della storia fu Valentin Hauy nato a Saint-Just (1745-1822) di nobile famiglia, fratello del padre della cristallografia. Apro una breve parentesi per spiegare che la Tiflologia (dal greco Tyflòs+logos ovvero cieco+discorso) si occupa delle condizioni di vita dei non vedenti e dei problemi educativi  legati al loro inserimento nel mondo scolastico, lavorativo e sociale. Si narra che nel 1771 il giovane Valentin Hauy si recò a Parigi alla fiera di San Ovidio dove assistette ad una scena molto bruta in cui un gruppo di ciechi abbigliati con costumi da baracconi si esibiva per far ridere il pubblico. La scena terminava con una sorta di combattimento che si svolgeva per mezzo di lunghi bastoni atti a colpire alla rinfusa. Da qui l’espressione “botte da orbi’” Hauy rimase molto colpito da quello spettacolo davvero triste e decise di dedicare la sua vita al riscatto di queste persone. La sua intenzione fu rafforzata da un altro episodio avvenuto circa sette anni dopo sempre a Parigi. Sul sagrato di una Chiesa vide un mendicante non vedente al quale fece dono di una moneta e notò che questi, dopo averla accuratamente toccata, fu perfettamente in grado di riconoscerne il valore. Ebbe, così, la conferma che i ciechi possono essere educati ed istruiti e, dunque, si adoperò coinvolgendo altri con lo stesso ideale, per la realizzazione della prima scuola per non vedenti che non fosse di tipo assistenziale ma che desse una truzione a questi soggetti. La scuola fu fondata a Parigi nel 1784 e venne denominata “Istituto Nazionale per Giovani Ciechi” e Valentin Hauy ne divenne il Direttore. Al suo interno si insegnava a riconoscere i caratteri dei vedenti a rilievo accuratamente semplificati, stilizzati, ingranditi e realizzati con semplici materiali quali legnetti o pezzetti di altra origine . Era un metodo di complicata e lunga preparazione che rallentava l’apprendimento ed era, inoltre, un metodo sostanzialmente di lettura e non di scrittura che, invece, diventava possibile solo attraverso un procedimento di umidificazione e pressatura di più fogli assemblati. Nel 1789 scoppiò la Rivoluzione Francese e Hauy si rifugiò a San Pietroburgo dove fondò la seconda scuola per non vedenti. Ritornato a Parigi dodici anni dopo, trovò la sua scuola nazionalizzata. Poi fu arrestato e dopo qualche anno morì.

Tra il 1790 e il 1799 nacquero altre scuole sia in Inghilterra, che a Vienna, che a Berlino. Fu proprio nell’Istituto di Vienna che si fece una scoperta sensazionale e cioè che il tatto risultava più sensibile e preciso quando le dita sfioravano i punti anziché le linee o altre forme. Anche in Italia nasce il primo Istituto a Napoli, poi a Genova, Bologna, Milano, Firenze ed in Sicilia.

Arriviamo finalmente all’eroe Louis Braille che nacque a Coupvray (Francia) il 4 gennaio 1809 e morì a Parigi il 6 gennaio 1852. Egli era figlio di un sellaio ed all’età di tre anni, mentre giocava nella bottega del padre, si ferì ad un occhio. L’infezione si trasmise all’altro occhio rendendo il piccolo totalmente cieco. Quando raggiunse l’età scolare, i suoi genitori vollero portarlo a Parigi nella scuola fondata da Valentin Hauy e lì studiò, imparò la musica e si diplomò a pieni voti. Come accadeva di solito, a tutti gli allievi più bravi, anche a Louis Braille fu proposto di rimanere nella scuola come docente. Oltre a ciò, Braille esercitava anche l’attività di musicista e organista presso le più importanti Chiese parigine. Pochi ricordano l’attività di musicista di Braille né sono stati ritrovati sue composizioni scritte poiché gli organisti francesi di allora avevano grande capacità di improvvisazione ma, ancora oggi, in Francia, persiste la tradizione della presenza di organisti non vedenti nelle Basiliche, compresa Notre Dame, in ricordo di Louis Braille e dei suoi allievi musicisti.

Capitava spesso che filantropi e personaggi illustri facessero capolino negli istituti che ospitavano le persone speciali vuoi per informarsi sulle attività svolte , vuoi per fare donazioni. Così, nella scuola che ospitava Louis Braille andò in visita Charles Barbier un generale di Napoleone, ormai in pensione, che raccontò di come, dietro richiesta da Napoleone in persona, realizzò un sistema in codice tattile, di comunicazione tra gli alleati, costituito da un sistema di 12 punti ognuno dei quali rappresentava una sillaba . Detto sistema poteva essere usato anche in assenza di luce ed aveva il vantaggio di essere incomprensibile al nemico. Il Prof. Braille rimase molto colpito da quel  racconto e si mise a lavorare affinché il codice fosse semplificato e adattato alle caratteristiche dei non vedenti. Così, ridusse i puntini a 6 e fece corrispondere una lettera ad ogni puntino. Inoltre, la scoperta geniale di Braille fu che le dita avevano la maggiore sensibilità localizzata sui polpastrelli  e, quindi, adattò anche le dimensioni dei caratteri a quelle dei polpastrelli, E’ importante notare che nell’alfabeto di Braille la lettera W era mancante poiché nella lingua francese questa lettera non esiste; essa venne inserita in seguito, quando l’alfabeto divenne patrimonio di tutto il mondo. Louis Braille, orgoglioso della sua “invenzione”, e avendo ricevuto l’approvazione dei suoi allievi, ne parlò con il Direttore e gli altri docenti della scuole che, però, mal accolsero la novità. Tale scrittura superava e rompeva il legame fra la forma dei caratteri finora adoperati e i caratteri in rilievo. Infatti, essendo incomprensibile ai più, veniva considerato una sorta  di codice segreto che avrebbe messo in contatto stretto gli allievi tra loro con la netta esclusione dei docenti della scuola. Ancora oggi, purtroppo, vige, in qualche caso, questa convinzione. Fu solamente grazie al nuovo Direttore che comprese che questo sistema permetteva la lettura veloce e lineare , 

che venne messo in sperimentazione. 

Louis Braille morì di tubercolosi nel 1852 abbastanza giovane e non fece in tempo a vedere l’enorme successo della sue “invenzione” che fu in grado di strappare i non vedenti dal degrado e dall’isolamento, anche culturale, tuttavia, questo metodo, prima di ottenere l’approvazione si dovette scontrarsi con altri metodi più tradizionali già in uso. Il riconoscimento del metodo come metodo migliore (ma non ancora l’ufficializzazione) avvenne durante i Congresso mondiale dei ciechi nel 1878. L’ufficializzazione si ebbe soltanto nel 1903 durante i Congresso che si svolse negli Stati Uniti. A dimostrazione della grandezza di Louis Braille, nel 1952 la sua salma fu trasferita nel Pantheon a riposare insieme agli eroi e ai personaggi famosi francesi. Grazie a Louis Braille – a cui sono state intitolate strade, biblioteche, giornate e tanto altro – uno strumento di guerra viene trasformato in strumento di beneficio per l’Umanità.

1 Marzo 2025 0 Commento
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Cultura

ATLETI IN CORSIA

di Annamaria DI STASIO 27 Febbraio 2025
Scritto da Annamaria DI STASIO

Bisogna considerare che qualsiasi battaglia vinta con l’impegno di chi lavora per il bene della comunità viene apprezzata solo quando o si è vissuti nel periodo di malessere precedente rispetto alla battaglia oppure quando il beneficio della battaglia vinta viene meno o sta per venire meno.

Prima della nascita del SSN, l’assistenza degli italiani era un privilegio di pochi. La sanità, infatti, era affidata ad un sistema di enti mutualistici denominati “Casse mutue” che si rivolgevano a delle specifiche categorie di lavoratori. Dunque, non tutti erano destinati a tale servizio. Va da sé che esistevano delle gravi disparità nella società e il diritto all’assistenza sanitaria non era legato all’essere cittadino ma all’essere lavoratore. Le casse mutue nacquero nell’ottocento per iniziativa degli operai che misero a propria disposizione un fondo comune per affrontare i rischi del  futuro. La funzione delle suddette società di mutuo soccorso fu poi trasformata dal governo fascista che le prese sotto il controllo diretto e le intrappolò in macro enti secondo la logica del corporativismo. Ciascun ente era di competenza di una specifica categoria di lavoratori i quali, per poter usufruire dell’assistenza sanitaria, dovevano obbligatoriamente iscriversi insieme con tutta la famiglia a suo carico. I familiari però, che avevano maggiormente bisogno di essere curati, perché affetti da patologie gravi, paradossalmente avevano meno diritto di assistenza. Coloro che non usufruivano o non potevano usufruire dell’assistenza da parte delle casse mutue pagavano di propria tasca le cure mediche e ospedaliere. Di coloro che non avevano i mezzi economici, invece, si occupavano il medico condotto che si intendeva di tutto un po’ e che veniva affiancato dall’ostetrica condotta per far partorire le donne a casa, nonché, negli ospedali direttamente. Gli ospedali all’epoca erano autonomi e si reggevano sui contributi dei benefattori.

Dopo decenni di mal funzionamento del sistema, si scatenò una grave crisi finanziaria che si ripercosse direttamente sugli ospedale penalizzando gravemente i cittadini. Occorreva, quindi un intervento dall’esterno. Un primo passo fu compiuto nel 1958 con l’istituzione del Ministero della Sanità mentre, nel 1968 prese corpo la Legge 132 che intervenne sull’aggiornamento degli ospedali che furono denominati “enti pubblici”. La nascita del SSN, però, si ebbe solo il 24 dicembre 1978 con la riforma numero 833 che sostituì il modello mutualistico con quello universalistico della tutela della salute e che determinò che la spesa sanitaria fosse a carico dello Stato. Successivamente, nei primi anni 90, si determinò l’aziendalizzazione delle USL che vennero denominarono ASL e vennero definiti i LEA come garanzia per i cittadini. Di fatto, con la aziendalizzazione e la regionalizzazione delle ASL, si è ritornati ad una sorta di disparità per cui le regioni più ricche offrono servizi maggiormente di qualità rispetto a quelle più povere, determinando i cosiddetti viaggi della salute dei pazienti che vanno alla ricerca di ospedali attrezzati e all’avanguardia dove li accolgono medici “più bravi” e motivati. Le lunghe attese per effettuare esami e visite o la difficile assistenza nei P.S.,  ma anche la mancanza di fiducia nelle strutture e nei medici, il rifiuto da parte dei pazienti di considerare la cura come un percorso del paziente verso la guarigione e, non meno gravi i modelli di comportamento appresi dai programmi televisivi generano, ogni giorno, gravissimi episodi di violenza e aggressioni nei confronti del personale medico, infermieristico e paramedico. Si è reso necessario, quindi, inasprire le pene per gli aggressori. Ciò che più mi ha colpita è stato non soltanto che l’Ordine dei Medici ha deciso di garantire assistenza legale facendosi carico delle spese legali ma quanto il fatto che gli operatori sanitari di tutta Italia hanno deciso di imparare le arti marziali per contrastare gli aggressori e sentirsi più sicuri. Dunque, violenza risponde a violenza! Mai avremmo voluto che i Medici, invece che addestrarsi per migliorare le tecniche chirurgiche, o per essere al passo con i progressi nel campo della ricerca,  pensassero a trasformare gli ospedali in luoghi per risse. Credo che tutto ciò sia molto grave e sintomatico di malessere. C’è indifferenza da parte delle Istituzioni nei confronti di tutti coloro che si recano ogni giorno sul posto di lavoro e rischiano la propria incolumità. 

27 Febbraio 2025 0 Commento
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Cultura

VIA LIBERA AL VINO DEALCOLATO E POI ATTACCO AL VINO TRADIZIONALE, TUTTA UNA COINCIDENZA?

di Pasquale DI LENA 22 Febbraio 2025
Scritto da Pasquale DI LENA


Le strane coincidenze, dopo il via libera al vino dealcolato ecco il nuovo attacco dell’Unione europea al vino tradizionale, per la sua componente alcolica. E se tutto facesse parte di un piano per demolire la Dieta mediterranea? Riporto questo scritto letto su il Corriere Vinicolo, la testata storica (nel 2018 festeggerà un secolo di vita) importante punto di riferimento del mondo del vino Il settimanale dell’Unione Italiana Vini UIV, con il quale ho avuto il piacere di collaborare a cavallo degli anni ’90, grazie all’invito rivoltomi dall’allora direttore Antonio Niederbacher. “Dealcolati: fatta la legge ora bisogna fare il vino INDUBBIAMENTE È IL TEMA DEL MOMENTO CON IL SETTORE CHE SI DIVIDE TRA ATTESE, PROGETTI, INVESTIMENTI E TANTA TECNOLOGIA MADE IN ITALY PRONTA ALL’USO Finalmente anche il nostro Paese ha aperto alla produzione dei vini a ridotto o nullo contenuto alcolico. A fine 2024 è arrivata la firma del ministro Lollobrigida sul decreto che regolamenta un settore che vale il 2-3% del mercato mondiale del vino e che in una fase di crisi globale dei consumi potrebbe rivelarsi un asso nella manica. Le aziende ci pensano, e chi ha già tastato il mercato portando all’estero la produzione è pronto a investire nel Belpaese, che vanta le migliori tecnologie al mondo. Sul nuovo numero de Il Corriere Vinicolo le testimonianze delle imprese, il quadro normativo con gli aspetti ancora da chiarire e le valutazioni sulle reali prospettive di mercato”… Non ho niente, visto che non le berrò mai, contro queste novità nel campo delle bevande e niente contro il mondo del vino, che trova in essa una soluzione alle difficoltà di bilancio per i rischi che corre il prodotto vino sui mercati, nel tempo del neoliberismo della banche e delle multinazionali, dei Trump che si sentono padroni de mondo. Ognuno è libero di bere ciò che vuole. Non potevo, per il tempo passato a discutere del vino e a parlare con il vino, non pormi la domanda: bene, ma perché lo vogliono chiamare vino? La risposta l’ho trovata proprio nell’attacco al vino – questa volta istituzionale – che, per la sua componente alcolica, è l’elemento debole della Dieta mediterranea e, come tale, il più facile da eliminare, dando così spazio e forza per un attacco all’olio di oliva, quale filo conduttore della Dieta sempre più rinomata al mondo. In pratica, con l’attacco al vino, il chiaro intento di voler smontare un ostacolo grande, jl Mediterraneo, il territorio che esprime non solo la qualità, ma, anche, la storia e la cultura di antiche civiltà; i paesaggi di straordinaria bellezza; le tradizioni, con al centro quella della tavola, il convivio. Lo stare insieme e ragionare, ognuno con la propria testa e, non con una sola, quella dell’intelligenza artificiale, che porrà l’uomo al servizio di robot creati dal sistema ispirato e guidato da dio denaro. Dico questo soprattutto a quanti devono al vino il racconto della loro storia di decine di anni, e, pensando alla storia, di migliaia di anni, per informarli che il sistema attuale che governa e decide le sorti di questa nostra terra maltrattata dalle sue azioni predatorie e distruttive, ha come primo interesse, per affermare le sue folli scelte, proprio la cancellazione della storia. Il Mediterraneo con le sue 4mila e più Indicazioni geografiche, che vede l’Italia leader con quasi 900 prodotti Dop, Igp e Stg ai quali sono da aggiungere più di 5.500 prodotti tradizionali, anch’essi legati al territorio, che esprime l’origine della qualità. La realtà di un modello che, con la storia e le tradizioni, esprime cultura, cioè valori che i marchi non sono in grado di esprimere. Come tale in conflitto con la grande produzione industrializzata della globalizzazione, nelle mani delle multinazionali, priva dei valori prima espressi.

22 Febbraio 2025 0 Commento
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Cultura

RECENSIONE A “LA SCONFITTA DELL’OCCIDENTE”

di Michele BLANCO 26 Dicembre 2024
Scritto da Michele BLANCO

Tra le certezze del mondo contemporaneo quella certamente molto triste è che le democrazie liberali sono davvero in crisi e il perché non è nemmeno difficile da immaginare. Alla domanda su quali sono le cause profonde che alimentano l’attuale declino delle società occidentali e della sempre meno partecipazione democratica dei cittadini? Credo che al primo punto ci sia lo scarso rispetto delle opinioni dei cittadini. Un esempio ci basti pensare come la stragrande maggioranza dei cittadini

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26 Dicembre 2024 0 Commento
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Cultura

PIÙ EGUAGLIANZA E PIÙ DEMOCRAZIA, IL LIBRO DI MICHELE BLANCO CI AIUTA A CONOSCERE E A NON PERDERE LA SPERANZA

di Vincenzo NOTARANGELO 12 Novembre 2024
Scritto da Vincenzo NOTARANGELO

Recensione a “Introduzione al percorso intellettuale di Jürgen Habermas Habermas sociologo o filosofo? Certamente un intellettuale volto alla ricerca costante dell’emancipazione della persona umana”, Lanciano, Carabba, 2024.

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12 Novembre 2024 0 Commento
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Cultura

KANT, CON L’USO DELLA RAGIONE VIENE LA PACE PRIMA DI TUTTO

di Michele BLANCO 15 Giugno 2024
Scritto da Michele BLANCO

Il Filosofo Immanuel Kant, 1724-1804,  idealista borghese, nato, vissuto e morto a Königsberg (oggi Kaliningrad), è stato il primo a proporre una definizione dell’illuminismo racchiusa nel motto “sapere aude!”, abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza. Ancora più profonda la sua teoria della libertà. Essere liberi, in senso kantiano, significa essere in grado di prendere una distanza critica dalle proprie passioni e inclinazioni, e chiedersi se queste contribuiscono al pensiero “illuminato”: all’allontanamento, come dice Kant, dalla “immaturità autoimposta degli esseri umani”.

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15 Giugno 2024 0 Commento
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Cultura

23 MAGGIO 1992: QUEST’ANNO DEDICHIAMO UN RICORDO SPECIALE A FRANCESCA MORVILLO

di Giuseppe LUMIA 24 Maggio 2024
Scritto da Giuseppe LUMIA

Il tempo passa, avvolge nella nebbia e modifica ogni cosa. Ecco perché anche il ricordo dei grandi eventi, quelli che segnano la storia, ha bisogno di essere coltivato con cura, se non vogliamo che cada anch’esso nell’oblio.

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24 Maggio 2024 0 Commento
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Cultura

INVITO ALLA LETTURA

di Michele BLANCO 28 Aprile 2024
Scritto da Michele BLANCO

Quest’anno è il 60esimo della pubblicazione de “L’uomo a una dimensione” di Herbert Marcuse. Oggi sarebbe opportuno che lo si leggesse perché in tutti questi anni abbiamo potuto constatare la conferma di  gran parte delle tesi illuminanti dell’autore. 

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28 Aprile 2024 0 Commento
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"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"

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