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REFERENDUM: «CHI LOTTA PUÒ PERDERE, CHI NON LOTTA HA GIÀ PERSO» PER DIRLA CON LE PAROLE DI ERNESTO GUEVARA

di Michele BLANCO 6 Giugno 2025
Scritto da Michele BLANCO

A tutti è chiaro che chi invita all’astensione ai 5 referendum dell’8 e 9 giugno prossimi, non piace la nostra Costituzione. Questa opportunità del voto referendario sarà un’occasione storica, unica, per milioni di lavoratori, cittadine e cittadini di esprimersi direttamente su questioni che riguardano la loro condizione quotidiana sia materiale e che sociale. Solo questo è, chiaramente, un fatto di straordinaria, enorme rilevanza democratica e partecipativa.

Ricordiamo a tutti che l’attacco al lavoro, ai diritti dei lavoratori, forte esenza precedenti, in nome della libertà del mercato, degli ultimi 40 anni. Che ha portato oltre agli stipendi e salari più bassi tra le nazioni ricche alla perdita stessa della dignità del lavoro. La grande e trionfante controrivoluzione reazionaria neoliberista si è potuta affermare, senza essere contrastata dai sindacati e dai partiti che si autodefiscono di sinistra, nel nostro Paese perché è riuscita a far passare, come altrove, i tre principi cardini, che dovevano festare intocabili della licenziabilità, precarietà e insicurezza del lavoro. La vergogna più triste e dolorosa sono tre morti di media al giorno sul lavoro e di ben oltre 500 mila denunce d’infortunio all’anno.

Per quel che riguarda i licenziamenti, l’operazione che pone in essere il primo quesito è quella di ripristinare l’Art.18 per le aziende con più di 15 addetti. Ciò comporta il diritto alla «reintegra» nel posto di lavoro nei casi di licenziamenti ritenuti da un giudice, non dai lavoratori o dai sindacati, illegittimi cioè con motivazioni false e ingiustificate. Si tratterebbe in caso di vittoria del SI di cancellare la possibilità dei licenziamenti facili che l’introduzione nel marzo 2015 del Jobs Act di renzi ha reso vergognosamente possibile. Oggi sono circa tre milioni e mezzo i dipendenti su cui grava la possibilità di essere licenziati senza nessun motivo, si tratta di un vero e proprio vuoto di tutela.

Il secondo quesito interviene sulle aziende fino a 15 addetti. In questo caso non si è potuto fissare il principio della «reintegra», ma se vince il SI viene tolto l’iniquo tetto delle sei mensilità in caso di licenziamenti illegittimi. Sarà un giudice del lavoro a decidere una misura equa dell’indennizzo a seguito di un licenziamento ritenuto ingiusto, che tenga conto, per gli oltre tre milioni e 700 mila lavoratori interessati, dei carichi familiari e dell’età del lavoratore coinvolto.

Della precarizzazione si occupa il terzo quesito che vuole ripristinare nel caso di rapporto di lavoro a tempo determinato, che riguarda attualmente due milioni e 300 mila persone, la «causale obbligatoria» sin dall’istaurarsi del rapporto, ribadendo così che la regola è il lavoro stabile a tempo indeterminato. Causali, è bene precisare, non discrezionali ma che siano quelle previste dalla legge e dai contratti collettivi vigenti. Ricordiamo che tra i primi atti dell’attuale governo Meloni è stato quello dell’abolizione delle causali, che servono esattamente a segnalare il carattere transitorio e sporadico del lavoro a termine.

Il quarto quesito tende a restituire responsabilità piena in tema di sicurezza all’impresa appaltante o committente, che al contrario, negli ultimi decenni ha teso a scaricare in basso, lungo i rivoli degli appalti e subappalti. Il meccanismo degli appalti da che era un modo per selezionare specializzazioni e competenze specialistiche è divenuta una gravissima e insana corsa al massimo ribasso dei costi e allo scarico di responsabilità dei «rischi specifici», a completo detrimento della tutela di milioni di lavoratrici e lavoratori.

I 4 referendum sul lavoro, rappresentano un attacco di un modello di produzione e d’impresa ingiusto e malato che ci ha voluti potenzialmente tutti precari, licenziabili, mal retribuiti, ricattabili e soprattutto a rischio sin dalle aule scolastiche. In tanti, troppi, lavoratori escono all’alba, per lavorare, per non farvi più ritorno e non si sa mai di chi sia stata la colpa.

Ricordiamo i morti di Suviana, Toyota, Brandizzo, Calenzano, Casteldaccia, Ercolano e di tutte le migliaia di vittime innocenti del lavoro.

A tutti gli indecisi, i dubbiosi i riluttanti se vince il si ai 4 referendum il lavoro sarà più stabile, sarà meno precario, sarà più sicuro, insomma sarà più libero. Questa occasione non va sprecata in caso contrario vivremo, sempre piu, in una società ingiusta, dove la stragrande maggioranza della popolazione italiana vivrà sempre meno tutelata.

6 Giugno 2025 0 Commento
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Politica

IL FUTURO È NELLE NOSTRE MANI LA DIGNITÀ DELLE PERSONE VIENE PRIMA DI TUTTO

di Michele BLANCO 29 Maggio 2025
Scritto da Michele BLANCO

Nel mondo contemporaneo esiste un Paese tra i più ricchi, se guardiamo i dati economici come Il prodotto interno lordo (P.I.L.), dove anche se lavori e produci tantissima ricchezza, resti inesorabilmente povero. Dove ti ritengono utile finché produci, ma diventi invisibile quando chiedi il rispetto dei più elementari diritti, come istruzione, assistenza sanitaria. Questo Paese è l’Italia del 2025, dove oltre sei milioni di persone, pur lavorando, non arrivano a guadagnare mille euro al mese. Dove undici milioni di lavoratori guadagnano meno di 25 mila euro lordi l’anno. È un’Italia che ha smesso di garantire i diritti umani fondamentali più elementari, come ad essere assistiti nel momento del bisogno, che ha reso il lavoro, non più una certezza tutelata, ma una scommessa quotidiana alla merce di qualsiasi cambiamento d’umore del datore di lavoro. E la perdita di certezze economiche e di diritti avviene sempre per la stessa parte, quella dei più deboli. 

L’83,5% dei rapporti di lavoro totali cessati nel 2023 è durato meno di un anno, in molti casi poche settimane. Addirittura uno su due meno di novanta giorni. La precarietà assoluta non riguarda una piccola parte dei contratti di lavoro: è la regola costante. La precarietà lavorativa è costruita con metodo, alimentata da decine di tipologie di contratti, tutti a termine, part-time obbligati, qualifiche basse e continui ricatti salariali. È un’architettura sociale in cui il lavoro non libera, ma incatena a una nuova forma di servitù. 

Incredibilmente questo modello neomedioevale è stato venduto come modernità, purtroppo in comune accordo dai governi di centrosinistra e di centrodestra. 

Ma si tratta solo un capitalismo neoliberista che si nutre di assoluta disuguaglianza, che scarica i rischi su chi lavora e protegge solo chi fa profitti. 

E quando l’inflazione aumenta, come accaduto in questi anni, quando il carrello della spesa pesa come un affitto, ci si sente rispondere che serve “flessibilità”. Flessibilità, cioè disponibilità a rinunciare a tutto: dignità, libertà, tempo, stabilità, diritti e salute. 

I referendum dell’8 e 9 giugno sono un’occasione unica, irripetibile e storica. Non per correggere qualche piccola stortura, ma per mettere in discussione l’intera impostazione di concepire il lavoro come assoluto sfruttamento come avviene in Italia. 

Un’ occasione unica per chi non ha voce nei talk show, mentre impervessano i responsabili, politici, opinionisti e rappresentanti degli industriali, di questa triste situazione. Per tutti quelli che si alzano all’alba e tornano, se non hanno incidenti sul lavoro, a casa quando i figli dormono. Per chi ha visto il futuro ridotto a un contratto di tre mesi. Dobbiamo dare un sì collettivo, assolutamente necessario, per provare a iniziare un cambiamento radicale. L’occasione dell’ 8 e 9 rappresenta solo il primo passo per iniziare a combattere chi ha trasformato il lavoro in povertà e precarietà. Bisogna andare a votare perché smettere di votare è proprio quello che vogliono, perché per le elezioni politiche non c’è il quorum da raggiungere come per i referendum, in meno votano e meglio è per loro cosi possono governare anche con soli i loro voti. 

Bisogna votare perché a furia di non scegliere, qualcun altro sceglie per noi tutti, al nostro posto, contro di noi e i nostri diritti. 

I salari da fame, i licenziamenti facili piacciono a chi detiene il potere politico ed economico, per questo ci chiedono di non andare a votare l’8 e il 9 giugno, perché vogliono lavoratori senza diritti, ricattabili, sottopagati e, sempre più, sfruttati. 

Aiutiamo Il mondo del lavoro, il futuro dei nostri figli, delle generazioni future, ad essere migliore, i referendum servono a questo, a restituire a tutti i lavoratori almeno un po’ della dignità che è stata ingiustamente tolta. 

29 Maggio 2025 0 Commento
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Politica

CALENDA IL FALSO LIBERALE

di Michele BLANCO 28 Maggio 2025
Scritto da Michele BLANCO

I politici liberali, in Italia come altrove, sono, dovrebbero essere, coloro che promuovono l’ideologia politica del liberalismo. Questa ideologia si basa su principi fondamentali quali la libertà individuale, la libertà di parola e di critica, il libero mercato, la separazione dei poteri e il rispetto assoluto della democrazia. In sostanza, lo ribadisco, i liberali politici da sempre sostengono la libertà di parola, di critica, di pensiero, di religione e di associazione, nonché la libertà economica e il rispetto dei diritti umani fondamentali. Calenda il “liberale” e il suo partito Azione, liberale in politica e ultraliberista in economia, hanno chiesto nuovamente ed esplicitamente alla università Luiss di licenziare il professore Alessandro Orsini. Questo Calenda lo fa perché lui è pur sempre un senatore, ma dimenticando sostanzialmente i principi fondamentali del liberalismo e di libertà di parola.

Per questo il senatore Carlo Calenda chiede il licenziamento di una persona che ha scritto, articoli dimostratesi anche a distanza di due anni veri e basati sui fatti reali, e, in particolare, un post, in realtà, non abbastanza offensivo contro di lui e il suo partitino, costruito a tavolino, senza alcun radicamento nella società costruito nei talk show televisivi e lautamente finanziato dalle industrie della morte che costruiscono armi, mine e bombe. Oltretutto Calenda ha il vizio di insultare Alessandro Orsini o chiunque si permette di criticarlo, nei suoi video YouTube, in televisione, dove è costantemente presente anche se il suo partitino non ha che pochissimi voti, e sui social network con il tipico linguaggio volgare e violento che lo caratterizza. Ricordiamo che Calenda ha proposto di sconfiggere la Russia usando gli ucraini come carne da macello con i risultati disastrosi, con distruzioni e centinaia di migliaia di morti, che abbiamo davanti agli occhi. Calenda che non riconoscere il suo fallimento, insulta i suoi critici di continuo. Quindi mi sembra evidente che Calenda sia un individuo che si dichiara liberale ma che, nella sua vita quotidiana, non si comporta in modo coerente con i principi liberali: ad esempio, un individuo che si dichiara liberale ma che non rispetta la libertà di opinione degli altri o che giudica negativamente chi non condivide le sue posizioni.

Inoltre il Calenda non prende mai posizione contro una società che ha un alto livello di disuguaglianze economiche o un sistema politico che è soggetto a corruzione. Egli potrebbe essere definito come “liberale a parole”, ma mai nei fatti.

Infatti secondo la visione filosofica di uno dei fondatori del liberalismo Jonh Locke, già nel diciassettesimo secolo, è lo stesso stato che nasce da una libera associazione di individui allo scopo

di tutelare il diritto naturale alla vita, alla libertà di culto e alla proprietà. Ma lo scopo finale è quello di creare una società equa fondata sul rispetto dei diritti di tutte le persone, dissidenti inclusi, e dei doveri. Nel libro più importante del liberalismo politico ed economico il maggior pensatore liberale Adam Smith scrisse: «Nessuna società può essere fiorente e felice se la maggior parte dei suoi membri è povera e miserabile», in A. Smith, La ricchezza delle nazioni, Milano, Mondadori, 2009, libro I, cap. 8, p. 169. Perché mai, al giorno d’oggi, Calenda e noi tutti dovremmo fare finta di non saperlo?

28 Maggio 2025 0 Commento
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Politica

UN PREMIO ASSEGNATO SENZA NESSUN MOTIVO

di Michele BLANCO 22 Maggio 2025
Scritto da Michele BLANCO

Incredibile Il Politecnico di Torino ha deciso di premiare Mario Draghi con il “PoliTO Foresight and Innovation International Award”. Sul sito si legge che il riconoscimento è rivolto a personalità che abbiano contribuito, con idee e visione strategica, a promuovere la crescita e l’innovazione.

Ma Draghi non ha mai fatto nulla di tutto questo, anzi il contrario assoluto. Draghi è stato il liquidatore della fiorente industria pubblica italiana, Ha infatti svenduto l’industria pubblica quand’era direttore generale del Tesoro. Inoltre sempre come direttore del Tesoro fino al 2004, è stato responsabile dei 40 miliardi di perdite dovute ai contratti derivati sui Btp sottoscritti dal Tesoro. Nessuno altro paese Ue ha perso miliardi così per questi derivati. Solo l’Italia. E Draghi era il direttore del Tesoro che li ha proposti e gestiti. Le sue ricette economiche hanno prodotto solo non crescita economica con la stagnazione, depressione, lavori precari. Ma ancor di più la grave compressione salariale (oggi in Italia abbiamo gli stipendi più bassi di qualsiasi nazione avanzata) e una vera e propria macelleria sociale. Egli ha contribuito, in modo determinante a tagliare le spese sociali e per l’istruzione.

Draghi un individuo che, senza vergogna, ci ha chiesto di scegliere tra i climatizzatori e la pace; che ha garantito che le sanzioni economiche avrebbero colpito solo la Russia (invece hanno gravemente danneggiato quasi esclusivamente l’Unione Europea, Italia compresa). Oggi vuole ancora tagliare ospedali e assistenza per aumentare le spese militari.

In realtà non esiste alcuna ragione, nessuna, per cui la storia dovrebbe ricordare positivamente quest’uomo. Se mai sarà ricordato solo per aver contribuito a mantenere in vita un sistema politico antidemocratico, ostile al benessere dei popoli e, addirittura, come affamatore della gente, come accaduto letteralmente in Grecia.

Probabilmente verrà giustamente dimenticato. Come tutte le figure inutili, minori, incapace di prevedere assolutamente nulla e, in realtà una personalità assolutamente mediocre e nefasta per la vita di decine di milioni di persone, in Italia e in Europa.

22 Maggio 2025 0 Commento
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Politica

PERCHÉ BISOGNA ANDARE A VOTARE

di Michele BLANCO 22 Maggio 2025
Scritto da Michele BLANCO

Purtroppo molti, anche con motivi non del tutto infondati non vanno a votare, alle ultime elezioni abbiamo registrato che più del 50% degli avente diritto, si è astenuto. Certo che siccome “non vado a votare perché sono tutti uguali” ci troviamo con l’occupazione degli under 24, in discesa dello – 0,7%. Attualmente in Italia ci troviamo con la produttività a – 1,4% e con il potere d’acquisto a – 4,4%.

Abbiamo italiani a rischio povertà in aumento al 23,1%.

Tantissimi italiani che non si curano, le statistiche ci dicono il 9,9 %.

I giovani laureati sono costretti ad espatriare, il +21,2%, per avere condizioni di lavoro adeguate, in riconoscimento e retribuzione, persone qualificate e capaci che in Italia farebbero fatica, senza raccomandazioni, a lavorare in un call center.

In Italia siamo subissati dalla disinformazione, con la libertà d’informazione scesa a livelli critici da paesi del terzo mondo, nessuno ci informa, perché il governo non vuole, che gli sbarchi sono aumentati del 130%.

Fino a pochi anni fa una sottosegretaria allo sport si è dimessa per uno scontrino che mancava alla rendicontazione, oggi una ministra in carica si è intascata, anche la cassa integrazione dei suoi dipendenti e non ci pensa per nulla a dimettersi.

Il governo vuole eliminare i controlli ordinari antimafia per il ponte sullo stretto di Messina. Oltre a non togliere le accise, come da promessa “solenne” in campagna elettorale, le hanno addirittura aumentate.

La Corte dei Conti ha bocciato il Governo Meloni sul PNRR per i ritardi, tagli e priorità sbagliate.

Il ministro ai trasporti ha dirottato il 70% dei fondi alla manutenzione stradale, tutti sappiamo le pessime condizioni delle strade provinciali, ma nessuno si ribella.

Certamente farci smettere di votare è proprio quello che vogliono, perché per le elezioni politiche non c’è il quorum, in meno votano e meglio è per loro, come per i referendum o per le elezioni di un condominio, possono governare anche con soli due voti.

Probabilmente, a furia di non scegliere, qualcun altro sceglie per noi.

Tutte le percentuali citate sono Dati ISTAT pubblicati il 22 maggio 2025.

22 Maggio 2025 0 Commento
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Politica

DRAGHI NON SI SMENTISCE MAI

di Michele BLANCO 19 Maggio 2025
Scritto da Michele BLANCO

Ancora, mi dispiace, ma bisogna ricordarlo che aveva ragione da vendere l’ex presidente della Repubblica Cossiga quando gli diede del “vile affarista”.

L’ex Presidente della Repubblica, durante una trasmissione condotta da Luca Giurato su Rai1, disse le seguenti parole nei confronti del sempre sulla breccia, Mario Draghi: “È un vile, un vile affarista non si può nominare presidente del Consiglio dei Ministri chi è stato socio della Goldman & Sachs, grande banca d’affari americana. E male, molto male, io feci ad appoggiarne, quasi a imporne la candidatura a Silvio Berlusconi, male molto male”.

Cossiga poi rincarò la dose: “È il liquidatore dopo la famosa crociera sul «Britannia» dell’industria pubblica, la svendita dell’industria pubblica italiana quand’era direttore generale del tesoro e immaginati che cosa farebbe da presidente del Consiglio dei Ministri svenderebbe quel che rimane: Finmeccanica, l’Enel, l’Eni e certamente i suoi ex comparuzzi di Goldman & Sachs”.

Certamente Draghi personaggio sopravvalutato, pompato dalla stampa di regime, molto scarso come politico ed ancor più incapace come economista, sempre in totale malafede e al servizio dei grandi capitalisti e della finanza mondiale neoliberista.

In questi giorni sentite le parole che è riuscito a dire, contraddicendo tutto se stesso, e soprattutto, senza provare alcuna vergogna, questo individuo ha affermato che: “I prezzi elevati dell’energia e le carenze della rete sono, in primo luogo, una minaccia per la sopravvivenza della nostra industria, un ostacolo importante alla nostra competitività e un onere insostenibile per le nostre famiglie”.

Dimenticando che egli è tra i maggiori responsabili delle sanzioni alla Russia che hanno causato l’esplosione dei prezzi dell’energia e , di conseguenza, la grande inflazione di questi ultimi anni. Bisogna che tutti noi ricordiamo quando con la sua faccia ineffabile ci annunciava che con le sanzioni l’Unione Europea e i suoi alleati Usa e Regno Unito (forse era meglio dire padroni invece di alleati), avrebbero fatto fallire la Russia da li a poco.

Bisogna che tutti ricordiamo quando all’ONU, davanti al mondo intero, diceva che le sanzioni erano state devastanti per l’economia Russa? Ma erano bugie e falsità. La crescita economica della Russia nel 2024 è stata del 4,3% ha superato tutte le più rosee aspettative e ha portato il PIL russo a un aumento del 4,1%. Mentre la Germania che prima delle sanzioni era considerata la locomotiva d’Europa ora si trova in queste condizioni: l’economia tedesca ha iniziato il 2023 con un calo del PIL di -0,1% (dopo il -0,4% a fine 2022) e nel 2° trimestre è rimasta stagnante: sta dunque subendo una recessione e il PIL supera il livello pre-pandemia solo di 0,2%.

Adesso smentendo se stesso si sveglia dalle sue false dichiarazioni del passato e viene a dirci che i prezzi dell’energia sono una minaccia alla sopravvivenza dell’industria e insostenibili per le famiglie. Ma non si ricorda che l’aumento dei prezzi dell’energia è direttamente colpa sua. E la stampa italiana non se lo ricorda?

Ci troviamo in una grave fase di deindustrializzazione e impoverimento sociale, a causa delle scelte sbagliate, oserei dire scellerate, e guerrafondaie di Draghi. Oggi ancora Draghi rappresenta un pericolo per noi tutti. Infatti l’ex primo ministro italiano è preoccupato: Il riarmo «Se non viene gestito correttamente, quello che succederà è che la Germania si riarmerà ma gli altri no», ha detto Draghi.

Attenzione quindi l’ineffabile Draghi ci dice che la Germania si è mossa per sbloccare centinaia di miliardi di euro di spese per la difesa, finanziate tramite debito, quindi anche noi dobbiamo fare debiti per favorire i ricchissimi proprietari delle industrie delle armi.

Secondo questo individuo dobbiamo tagliare ulteriormente la spesa sociale per buttare miliardi in inutili spese militari. Mala tempora currunt, sed peiora parantur.

19 Maggio 2025 0 Commento
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Politica

ULTIMO RAPPORTO ISTAT: AUMENTANO LE DISUGUAGLIANZE

di Michele BLANCO 18 Maggio 2025
Scritto da Michele BLANCO

Il Governo Meloni non ha mantenuto nessuna, a parte l’abolizione del reddito di cittadinanza, delle promesse fatte in campagna elettorale: dal «blocco navale» contro i migranti all’abolizione della Legge Fornero, fino alla cancellazione delle accise sui carburanti, che sul diesel sono addirittura aumentate. Solo un impegno solenne è stato mantenuto: il centrodestra aveva garantito una stretta ai sussidi contro la povertà, e stretta effettivamente è stata, con il grande aumento delle persone in povertà assoluta e relativa. Meloni e il suo governo sono passati, letteralmente, dalle parole ai fatti e hanno dichiarato guerra totale ai poveri. Stanno effettivamente rovinando la vita a milioni di persone indifese e non tutelate da nessuno.

Tutto questo è certificato dall’Istat, che da circa un anno è presieduto dall’economista Francesco Maria Chelli, nominato su indicazione del ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo e quindi certamente in nessun modo tacciabile di avversione nei confronti dell’esecutivo.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto nazionale di statistica italiano sulla redistribuzione del reddito in Italia, le politiche del Governo hanno allargato grandemente le disparità economiche nel nostro Paese: l’indice Gini, utilizzato a livello internazionale per misurare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito, è aumentato dal 30,25% del 2023 al 30,40% del 2024, che significa, al di la dei freddi numeri, un grande aumento de disuguaglianza con tutti gli effetti negativi che ne conseguono.

Infatti anche se «Le modifiche al sistema di tasse e benefici introdotte nel corso del 2024 diminuiscono in lieve misura l’equità della distribuzione dei redditi disponibili delle famiglie», si legge nel rapporto. E a incidere profondamente in negativo è stata, in particolare, la revisione delle politiche di contrasto alla povertà.

Questo perché dal primo gennaio 2024, il Governo ha abolito del tutto il Reddito di cittadinanza. Prima se il Reddito di cittadinanza raggiungeva in media tra gli 1 e gli 1,5 milioni di nuclei familiari, l’Assegno di inclusione, introdotto dal governo Meloni, arriva a poco meno di 760mila nuclei, a cui vanno sommati i circa 100mila individui che hanno diritto al Supporto per la Formazione e il Lavoro.

Quindi secondo i calcoli dell’Istat la sostituzione del Rdc con l’accoppiata Adi-Sfl ha comportato un peggioramento dei redditi disponibili per circa 850mila famiglie, pari al 3,2% delle famiglie residenti in Italia. La perdita media per questi nuclei è stata di 2.664 euro nel 2024 e ha interessato esclusivamente la fascia più povera della popolazione.

«Le modifiche al sistema di tasse e benefici introdotte nel corso del 2024 diminuiscono in lieve misura l’equità della distribuzione dei redditi disponibili delle famiglie», si legge nel rapporto. E a incidere in negativo è stata, in particolare, la revisione delle politiche di contrasto alla povertà.

L’esecutivo ha previsto che chi rimane tagliato fuori dall’Adi, se non arriva a 6mila euro di Isee, può richiedere il Supporto per la Formazione e il Lavoro (Sfl): un contributo di 350 euro mensili – salito a 500 euro dal 2025 – che tuttavia si può percepire per un massimo di dodici mesi non rinnovabili e a condizione di iscriversi a programmi di politiche attive del lavoro.

Ebbene, se il Reddito di cittadinanza raggiungeva in media tra gli 1 e gli 1,5 milioni di nuclei familiari, l’Assegno di inclusione arriva a poco meno di 760mila nuclei, a cui vanno sommati i circa 100mila individui che hanno diritto al Supporto per la Formazione e il Lavoro.

Più precisamente, secondo i calcoli dell’Istat la sostituzione del Rdc con l’accoppiata Adi-Sfl ha comportato un peggioramento dei redditi disponibili per circa 850mila famiglie, pari al 3,2% delle famiglie residenti in Italia. La perdita media per questi nuclei è stata di 2.664 euro nel 2024 e ha interessato quasi esclusivamente la fascia più povera della popolazione.

In tre quarti dei casi (620mila famiglie) il nucleo familiare ha totalmente perso il diritto al sussidio, mentre il restante quarto di nuclei (230mila) è risultato svantaggiato dal nuovo metodo di calcolo del sostegno economico.

Il rapporto Istat sulle disuguaglianze analizza in particolare gli effetti della Legge di Bilancio 2024, dimostrando che in valori assoluti, ci hanno guadagnato maggiormente le fasce della popolazione più benestanti: il quinto più ricco delle famiglie si è messo in tasca 866 euro in più. In valori percentuali, invece, il quinto più ricco ha visto migliorare il proprio reddito dello 0,9%.

Quindi l’effetto combinato della riforma dell’Irpef e del taglio contributivo ha peggiorato i redditi disponibili per circa 300mila famiglie (l’1,2% dei nuclei residenti in Italia). Per queste, la perdita annua è stata in media di 426 euro, riconducibile in larga parte al venir meno del diritto al trattamento integrativo dei redditi da lavoro dipendente (il cosiddetto “Bonus Irpef”).

Per 1,2 milioni di nuclei famigliari, si è registrato una perdita, che è stata pari in media a circa 2mila euro. La totalità di questi nuclei rientra nel quinto più povero della popolazione italiana, che ci ha rimesso oltre il 23% del proprio reddito.

Adottando i parametri di Eurostat, istituto europeo di ricerca, l’Italia è il terzo Paese nell’Unione europea con il maggior livello di disuguaglianza, dietro solo a Bulgaria e Lettonia.

18 Maggio 2025 0 Commento
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Politica

PEPE MUJICA UNA GRANDISSIMA PERSONA E UN VERO RIVOLUZIONARIO CHE HA CAMBIATO LA POLITICA

di Michele BLANCO 16 Maggio 2025
Scritto da Michele BLANCO

Il Presidente Pepe Mujica è riuscito come pochi a cambiare il modo di fare politica è diventato, con grande merito, un personaggio politico globale pur essendo stato presidente di un piccolo paese, l’Uruguay. La sua è una storia di politica e passione, che dovrebbe essere conosciuta, una storia tra mito, realtà e costante lotta alla povertà, tra istituzioni e movimenti sociali. È stato un guerrigliero, ha cercato di fare la rivoluzione. È stato torturato, isolato, incarcerato e rinchiuso in un vero e proprio buco per 12 anni, poi uscito nel 1985 ha ripreso la lotta democratica. Fino nel 2010 è diventato presidente dell’Uruguay. Mujica ha riassunto la sua vita politica cosi, “ho visto alcune Primavere che hanno finito per essere inverni terribili. Noi esseri umani siamo dei gregari. Non possiamo vivere da soli. Perchè la nostra vita sia possibile, dipendiamo dalla società. Una cosa è rovesciare un governo o bloccare le strade. Ma creare e costruire una società migliore è una questione completamente diversa, c’è bisogno di organizzazione, disciplina e lavoro a lungo termine. Non confondiamo le due cose. Voglio metterlo in chiaro: mi sento vicino a questa energia giovanile, ma penso che non possa andare da nessuna parte se non diventa più matura”.

Durante il suo mandato presidenziale, tra le tante altre meritevoli cose ha combattuto strenuamente contro la povertà e le disuguaglianze, ha rinunciato al 90 per cento del suo stipendio, cercato di dare a tutti maggiori servizi sociali e assistenza sanitaria gratuita, ha legalizzato l’aborto e i matrimoni omosessuali, ma ha anche dato spazio al green washing del capitalismo verde.

Egli ha sempre sostenuto che nessuna persona è perfetta, Pepe non ha mai fatto finta di esserlo ma ha rifiutato la ricchezza e le comodità. Sicuramente è stato uomo di potere, ma sempre umile è rimasto a vivere nella sua fattoria alle porte di Montevideo e non ha mai girato con i macchinoni, non ha mai comprato vestiti di lusso. Era contro il consumismo e non solo ha detto frasi del tipo “Se avessi tante cose, dovrei occuparmene. La vera libertà è avere poche cose, il minimo”, ma ha anche cercato di viverle davvero, in prima persona queste parole, le ha rese reali, fattuali. Riteneva che “povero non è colui che possiede poco. Il vero povero è colui che necessita sempre tanto e desidera sempre di più”.

Pepe è sempre stato contro la guerra e le spese militari, iconica la sua affermazione: “Usciremo dalla preistoria dell’umanità soltanto quando non ci saranno più armi ed eserciti”.

La sua casa era aperta, ha ricevuto il re di Spagna, e giornaliste e giornalisti indipendenti. Ha fatto da mangiare a persone comuni e militanti di tutto il mondo, certo piccoli gesti, certo, ma di cui si trova poca traccia nella storia. Come ogni uomo di potere è stato anche fatto oggetto di critiche, ha vissuto le contraddizioni, ha strappato, litigato, e chissà anche che altro e su questo disse “Il potere non cambia le persone, rivela solo chi sono veramente”. Nello stesso tempo ha vissuto la politica in maniera assolutamente diversa, ha saputo stare sempre dalla parte della povera gente, degli esclusi, dalla parte del popolo di Cuba, così come ha criticato altri leader di sinistra sudamericani quando riteneva, giustamente, che sbagliavano lo ha fatto con Ortega, Maduro, Morales e Cristina Kirchner per tante cose, in primis ha detto loro che non hanno avuto il coraggio di costruire una successione, democratica. Egli espresse con forza che: “Una delle principali fonti di conoscenza è il senso comune. Il problema è quando metti l’ideologia al di sopra della realtà. La realtà ti arriva come un pugno e ti fa rotolare per terra…”

Per questo il suo Uruguay non è diventato socialista, e forse lui stesso non ha mai voluto lo diventasse, ha di certo cambiato la politica in modo profondo, come nel suo discorso d’addio al Senato, quando decise di lasciare la politica attiva. Ma di certo la vittoria di Orsi al ballottaggio 2024 alle presidenziali è stata, da tutti attribuita a lui. Ha fatto tutto ciò che poteva per riportare il Fronte Amplio (la sinistra) al potere. La sua ultima vittoria, il suo regalo al suo popolo. Pepe Mujica è morto ma restano i suoi discorsi e tra tutto la capacità, unica nel continente, purtroppo, fatto di caudillos, di aver saputo costruire una successione di sinistra e democratica, aver formato un ceto politico giovane, preparato, capace di portare politiche democratiche, partecipative e egualitarie. E solo per questo è un grandissimo esempio di onestà e dedizione verso il popolo. Egli disse che “Trionfare nelle vita non è vincere, ma rialzarsi e ricominciare ogni volta che si cade”, una frase bellissima, potente, iconica detta da chi ha deciso che la sua vita sarebbe stata lotta politica a favore dei poveri, ed è stato pronto ad affrontare le sue scelte, come un uomo vero, che mise in pratica le sue parole: “La ricompensa per la politica è l’amore della gente. Chi ama i soldi non dovrebbe essere eletto”. Grazie per il tuo esempio, onore a una grande persona, un profondamente uomo giusto. Una persona che ha affermato che “La vita é un’avventura meravigliosa e la felicità é dare contenuti alla vita e non lasciare che te la rubino.” Di se stesso ha scritto in modo esatto e preciso, come pochi riuscirebbero a fare: “Appartengo a una generazione che voleva cambiare il mondo, sono stato schiacciato, sconfitto, polverizzato, ma sogno ancora che valga la pena di lottare perché le persone possano vivere un po’ meglio e con un maggiore senso di uguaglianza” José Mujica (1935-2025).

16 Maggio 2025 0 Commento
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Politica

IMPRENDITORI O PADRONI?

di Pino D'ERMINIO 15 Maggio 2025
Scritto da Pino D'ERMINIO

Tra i referendum sui quali gli italiani sono chiamati ad esprimersi l’8 ed il 9 giugno il più rilevante, negli effetti pratici, politici e morali, è quello che rivendica il ripristino del diritto al reintegro del lavoratore illegittimamente licenziato per giusta causa o giustificato motivo (come attenuato dalla legge Fornero 92/2012), nelle unità produttive private con più di 15 dipendenti, abrogando le norme con cui il Governo Renzi ha smantellato quasi del tutto la reintegra. Con la controriforma Renzi (decreto legislativo 23/2015) la reintegra è sopravvissuta solo nei casi di licenziamenti “discriminatori” (ad esempio perché si professa una certa religione), vietati per legge, intimati a voce, per inesistente disabilità fisica o psichica del lavoratore ed in cui in giudizio si accerta che il grave inadempimento del lavoratore è materialmente insussistente. In tutti gli altri casi di licenziamento illegittimo, al lavoratore è riconosciuta una indennità risarcitoria.

Con la controriforma Renzi si è realizzato un ribaltamento di paradigma: mentre prima la reintegra era la tutela ordinaria ed eccezionale quella risarcitoria, dopo vale l’esatto contrario. Tale ribaltamento ha un significato profondo: il lavoratore, da soggetto sociale ed umano, verso il quale l’impresa ha delle responsabilità, è declassato a merce, a mera “forza lavoro” o “risorsa umana” – come si dice con espressioni disgraziate e diffuse – è appiattito alla dimensione economica, come una materia prima, una macchina od una qualunque fornitura. L’ideologia sottostante è che chi detiene la proprietà dell’impresa, per ciò stesso, è nel suo ambito padrone assoluto di tutto e di tutti, di cui può disporre a piacimento, pagando si capisce il relativo prezzo.

Si tratta di un’ideologia organica al neoliberismo – dilagato in Occidente a partire dagli anni ’80 del XX secolo – che ha modificato gli assetti organizzativi ed il clima delle imprese. Sono finiti in soffitta i principi che annoveravano tra i fattori chiave di successo delle imprese la partecipazione dei dipendenti, il loro senso di appartenenza ad una comunità, la loro fidelizzazione e crescita professionale. È prevalsa invece la precarizzazione del lavoro, ché anche gli assunti a tempo indeterminato sono precari, in quanto licenziabili ad nutum, mettendogli in mano quattro soldi di risarcimento. La precarizzazione implica un grave indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori e, di conseguenza, il peggioramento delle loro condizioni economiche e normative, che è l’obiettivo (raggiunto) dei padroni. Nelle imprese medie e grandi si è realizzato uno stacco netto tra l’alta direzione ed il resto dei dipendenti. Il vertice dell’impresa è l’unico organo ritenuto pensante e volitivo, colmato di soldi, benefit e tutele. Così è normale che Carlos Tavares nel 2024 abbia guadagnato 35 milioni di euro, di cui 23 milioni di stipendio e 12 di buonuscita, benché non abbia capito niente della direzione che stava prendendo il mercato dell’auto, causando a Stellantis un danno enorme, che stanno scontando i lavoratori del gruppo.

La precarizzazione e riduzione a merce dei lavoratori è anche un danno all’economia in generale, perché sottoutilizza e disincentiva la stragrande maggioranza dei lavoratori; ma questo ai padroni non cale: per loro quello che conta è detenere nell’impresa il potere assoluto, che gli permette di spremere i dipendenti. Il regime assolutistico nelle imprese non è un problema solo delle imprese, ma riguarda l’esercizio materiale della democrazia nell’intera società. Un lavoratore perennemente sotto la spada di Damocle del licenziamento, ancorché illegittimo, è un cittadino meno libero. Così anche la società è meno libera se lo è la larga maggioranza dei cittadini.

Nel panorama italiano non tutti gli imprenditori si sono mutati in padroni. Benché minoritari, esistono imprenditori modello, che non a caso sono anche leader nei loro settori. Sarebbe utile ed opportuno che nella circostanza dei referendum anch’essi facessero sentire la loro voce. Inquietante è infine il silenzio di tanti politici sedicenti di centro o addirittura di sinistra, mentre quelli apertamente di destra, incluso il Presidente del Senato, invitano senza remore a boicottare i referendum.

15 Maggio 2025 0 Commento
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Politica

REFERENDUM 2025: IL QUARTO QUESITO E LA RESPONSABILITÀ DEL COMMITTENTE NEGLI APPALTI 

di Matteo FALLICA 14 Maggio 2025
Scritto da Matteo FALLICA

L’8 e 9 giugno 2025, gli italiani saranno chiamati a votare su cinque referendum abrogativi: quattro riguardano lavoro e diritti, uno la cittadinanza. Il quarto quesito tocca un tema delicato e centrale per la sicurezza sul lavoro: la responsabilità del committente in caso di infortuni negli appalti. Il referendum propone di cancellare una parte dell’articolo 26, comma 4 del Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/2008), modificato nel 2023, che oggi recita: «Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.» 

In parole semplici, la legge attuale esonera il committente da responsabilità civile se l’infortunio è causato da un rischio tipico dell’attività svolta dall’appaltatore. Il referendum chiede di abrogare questa esclusione e tornare a un sistema di corresponsabilità più ampia. La norma che si intende eliminare è stata introdotta dal Governo Meloni con la Legge n. 85 del 2023, presentata come una misura per chiarire i confini tra le responsabilità di chi affida un lavoro e chi lo esegue, e per ridurre il contenzioso tra imprese. Ma per sindacati, giuristi, tecnici della sicurezza e numerose amministrazioni regionali, si tratta di un pericoloso arretramento nelle tutele dei lavoratori. Secondo molti esperti, la norma solleva il committente anche quando l’infortunio è prevedibile e legato direttamente alla sua scelta di appaltatore. 

Regioni come Emilia-Romagna, Toscana, Puglia e Campania hanno espresso con atti ufficiali il loro sostegno al Sì, denunciando come questa modifica del 2023 abbia ridotto la protezione dei lavoratori, soprattutto nei settori a rischio come edilizia, logistica, trasporti e manutenzione. 

Tra i sostenitori del Sì, il professor Franco Focareta, docente di Diritto del Lavoro all’Università di Bologna, ha dichiarato: «Il ricorso forsennato agli appalti è tra le principali cause di precarietà e pericolo nei luoghi di lavoro. La norma che limita la responsabilità del committente deresponsabilizza chi innesca la catena dei subappalti. Va abrogata.» In caso di vittoria del Sì, verrebbe ripristinata la corresponsabilità del committente anche per gli infortuni legati ai cosiddetti “rischi specifici”. Ne deriverebbe un maggiore controllo sulla filiera produttiva, una più attenta valutazione dei rischi da parte del committente e un rafforzamento del ruolo del DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze). Ma soprattutto, aumenterebbe la deterrenza verso comportamenti negligenti. Per molti osservatori, la norma oggi in vigore è il frutto di un modello che ha favorito negli anni la frammentazione del lavoro, l’uso massiccio dei subappalti e l’abbassamento delle tutele. E le conseguenze sono visibili ogni giorno nei cantieri, nei magazzini e nelle officine. Come ha ricordato un sindacalista toscano: «Chi muore sul lavoro sono spesso i meno pagati, impiegati nei subappalti a catena. Senza corresponsabilità del committente, il rischio è che nessuno vigili davvero sulla sicurezza.» 

Il quesito pone una scelta netta: vogliamo un sistema in cui chi commissiona un lavoro si assuma anche la responsabilità per la sicurezza, oppure accettiamo che il committente resti estraneo, anche quando le sue decisioni contribuiscono a creare situazioni pericolose? 

Non è forse il momento di cambiare rotta, soprattutto nei settori dove il rischio è strutturale? 

Domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025, i cittadini italiani potranno rispondere. 

14 Maggio 2025 0 Commento
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