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LE INUTILI SPESE MILITARI GLOBALI. I NUMERI DEL SIPRI SMONTANO LA VUOTA, INUTILE E DANNOSA RETORICA BELLICISTA.

di Michele BLANCO 3 Maggio 2025
Scritto da Michele BLANCO

I recenti dati sulle spese militari globali diffusi dal SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) non possono che portare ad una seria riflessione lucida e, più che mai, necessaria, capace di smascherare definitivamente la falsissima narrazione mainstream che invoca un immediato e massiccio riarmo. I numeri, nella loro ovvia oggettività, raccontano una realtà ben diversa e sollevano molti importanti interrogativi.

Gli Stati Uniti si confermano leader mondiali incontrastati della spesa militare, con quasi mille miliardi di dollari nel 2024, rappresentando il 37% del totale delle inutili spese militari nel nostro pianeta.

La NATO nel suo complesso, Stati Uniti compresi, cuore pulsante dell’alleanza occidentale, assorbe il 55% della spesa globale, toccando i 1506 miliardi di dollari.

Confrontando queste cifre con quelle ufficiali di Cina (314 miliardi) e Russia (149 miliardi), emerge un enorme divario che ad essere sinceri è letteralmente impressionante. La spesa totale della NATO, cioè dell’alleanza occidentale, supera di oltre tre volte la somma di quella dei due Paesi spesso additati come le principali minacce. Si pensi alla narrazione dei mezzi di disinformazione di massa, tutti di proprietà, o comunque controllati, dagli stessi azionisti delle fabbriche d’armi si vuole dare per scontata l’idea che siamo in pericolo perché l’Europa sta per essere invasa dalla Russia,

Ancora più eclatante è il dato relativo agli ultimi dieci anni: i Paesi europei membri della NATO hanno speso complessivamente 1800 miliardi di euro in più rispetto alla Russia. Questa cifra, sbalorditiva nella sua entità, rende quanto meno difficile sostenere l’urgenza di un riarmo dettato da una presunta inferiorità militare nei confronti della Federazione Russa.

Inoltre bisogna sempre ricordare che la federazione Russa ha 143,8 milioni di abitanti (2023), ma al tempo stesso è la nazione più grande per estensione territoriale al mondo, con ricchezze minerarie incredibili, ha il problema che territori immensi come la Siberia sono scarsamente popolari. Solo i paesi aderenti all’Unione Europa hanno 449,2 milioni (2024) di abitanti, una invasione è assolutamente improbabile. In questi giorni il filosofo tedesco Habermas ha evidenziarlo con forza in un’intervista pubblicata recentemente dalla rivista “Internazionale”, (del 4/10 aprile 2025, n. 1608 anno 32, pp. 46-51), in cui mette in guardia l’Europa da un riarmo che distrugga quel poco di integrazione sociale e di “welfare State” che è rimasto nelle politiche degli Stati europei. Il pericolo che paventa per l’Europa è quello “dell’abolizione della politica”, vale a dire uno svuotamento delle democrazie liberali in gusci vuoti, senza partecipazione e senza spazio di comunicazione libera e agire politico. Trasformare lo Stato e le istituzioni in dispositivi di sola gestione economica, significa avere una concezione dei cittadini solo come consumatori e come capitale umano da sfruttare. In questa prospettiva, non è difficile arrivare a considerare le persone soggetti. Oggi vorrebbero sostituire l’etica della pace, che è il bene sociale più alto, con l’ideologia della guerra contro i presunti nemici.

Di fronte a questi numeri, sorge una importante domanda: questa spesa colossale è stata forse orientata più a beneficio dell’industria bellica e dei fondi finanziari che detengono quote significative nel settore, piuttosto che a un’effettiva esigenza di sicurezza collettiva?

Malgrado questo scenario dipinto chiaramente dai dati del SIPRI, assistiamo a un coro quasi unanime, composto dai burocrati tecnocrati europei e dai loro lacchè politici dei vari stati Europei, che chiedono un ulteriore aumento, quanto inutile e dannoso, delle spese militari a livello europeo, con cifre che ballano intorno agli 800 miliardi di euro per il riarmo. Questa richiesta, alla luce dei numeri, appare non solo ingiustificata ma suona come una vergognosa presa in giro. I dati non mentono: la spesa militare occidentale, e in particolare quella della NATO, è già a inutili e dannosi, ripeto, livelli stratosferici, incomparabilmente superiori a quelli di tutti i competitor globali.

Sarebbe arrivato il momento di smettere di alimentare la retorica della paura e del riarmo indiscriminato e iniziare a chiedere conto delle ingenti somme spese per fondi destinati alla difesa. Tutti questi soldi devono andare in spesa sociale, sanitaria, per le infrastrutture e per la formazione. I numeri del SIPRI ci offrono un punto di partenza assolutamente inequivocabile per un dibattito serio e basato sui fatti, lontano dalle sirene della guerra e più vicino alle reali esigenze di sicurezza sociale, sanitaria, e della prosperità collettiva dei cittadini italiani e europei. 

3 Maggio 2025 0 Commento
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Politica

BASTA CON L’EUROPA DELLE ÈLITE. DEVONO DECIDERE I CITTADINI EUROPEI 

di Michele BLANCO 2 Maggio 2025
Scritto da Michele BLANCO

Tutti noi dobbiamo essere favorevoli all’affermarsi di un’idea di cittadinanza che si riconosce nei valori della Costituzione, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e guarda ad un’Europa portatrice di una civiltà politica fondata sulla giustizia sociale e su un modello di sviluppo equo e sostenibile: in una parola, un’Europa lontana anni luce da quella odierna che la baronessa von der Leyen e le classi dirigenti attuali vanno ridisegnando snaturandone l’essenza profonda. Il compito e il ruolo più importante dell’Unione Europea, secondo i motivi fondamentali per cui è nata, sarebbe stato di cercare di evitare sempre la guerra e mediare per preparare la pace. Tutto questo con il proposito di difendere i diritti umani fondamentali sia all’interno dell’Unione che nel resto del mondo, tanto da avere l’autorità morale per essere mediatrice tra le nazioni in conflitto. Ma questo non si è verificato.

Oggi bisogna denunciare apertamente questa Unione Europea che vuole trascinare gli europei in una guerra senza fine con la Russia. I fatti sono questi: il presidente americano Donald Trump ha offerto in maniera ultimativa un piano di pace sull’Ucraina che è tutto favorevole a Vladimir Putin, il quale peraltro sta già vincendo la guerra sul campo e si prepara a una nuova offensiva nel periodo estivo. Il presidente ucraino Volodymir Zelensky e l’Unione Europea da parte loro hanno apertamente rifiutato l’offerta di Trump e vogliono proseguire il conflitto armato. Il piano proposto da Trump prevede al primo punto che la Nato non accetterà l’Ucraina come suo membro; al secondo punto che la Crimea verrà riconosciuta formalmente come regione russa a tutti gli effetti e che i territori attualmente occupati dai russi rimarranno di fatto occupati dai russi e entreranno nella federazione Russa, prima o poi. Evidente che questo piano rappresenta la piena sconfitta dell’Ucraina e della politica di Zelensky, che ha sempre irresponsabilmente puntato a una impossibile “vittoria”, sulla Russia di Putin, che sembrava impossibile a tutti i commentatori seri e onesti fin dal primo momento.

Se Zelensky accettasse l’ultimatum di Trump dovrebbe ammettere di avere sbagliato tutta la sua politica ispirata dalle amministrazioni degli Stati Uniti “democratiche” infatti ha fatto in modo che l’Ucraina abbandonasse la sua neutralità, stabilita da accordi, di Minsk, firmati dall’Ucraina, per chiedere l’adesione alla Nato, che negli ultimi anni è diventata sempre più un’organizzazione bellica dichiaratamente antirussa, che ha fatto e provocato continue guerre illegali, e quasi sempre perse, in Serbia, Afghanistan, Iraq, Siria e Libia.

Zelensky ha così contribuito in maniera decisiva a sfidare il colosso russo, con il quale il suo paese aveva firmato chiari accordi, e a purtroppo sacrificato l’ intera Ucraina spingendola in una guerra che poteva e doveva essere evitata fin dall’inizio. Il problema è che ora la guerra è persa e c’è la resa finale dei conti. Come afferma Trump, Zelensky “può avere la pace, oppure può combattere per altri tre anni prima di perdere l’intero Paese”.

Mi sembra utile ricordare che il conflitto è iniziato nei primi anni 90. Fin dalla caduta dell’URSS la Nato a guida americana ha iniziato il confronto non pacifico con la Russia minacciando di accettare l’Ucraina tra i suoi membri, e quindi di portare i suoi missili alle porte della Russia, e sobillando e pagando i governi di Kiev perché rinunciassero alla neutralità militare; dopo il mascherato golpe dell’EuroMaiden e la cacciata del legittimo eletto democraticamente presidente, perché ritenuto filorusso, i vari governi filoccidentali di Kiev, finanziati lautamente da americani e europei, hanno abbandonato la neutralità fidando nell’appoggio armato della Nato e degli Stati Uniti d’America. La Nato ha cinicamente fatto credere ai governi ucraini di proteggerli direttamente dalla Russia, ma poi nella realtà ha anche sempre negato il suo intervento per evitare lo scontro diretto con Mosca, e quindi ha lasciato il campo libero all’intervento di Putin. In pratica la Nato ha alimentato una guerra per procura tra America e Russia con il sangue degli ucraini. Per ragioni di sicurezza nazionale e per impedire l’ingresso di Kiev nella Nato Vladimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina e di infrangere il diritto internazionale, come del resto la Nato aveva più volte fatto come in occasione del bombardamento della Serbia e del riconoscimento del Kossovo; infine, nonostante il supporto in armi e in dollari e in euro del presidente americano Joe Biden e degli europei, la Russia è ormai prossima a vincere completamente la guerra, cioè a annettersi tutto il Donbass, dove la popolazione residente parla russo come prima lingua e da sempre sono filorussi. Ora la Russia potrebbe, se la guerra continua ad oltranza, arrivare a conquistare territori dove la popolazione è assolutamente ucraina e addirittura arrivare ad Odessa e chiudere il Mar Nero all’Ucraina. Dopo centinaia di migliaia di inutili morti ucraine e russe, Trump, furbescamente, per non rimanere incastrato in un conflitto che non intende più sostenere e che potrebbe portare a uno scontro atomico, vuole chiudere la guerra con un piano di pace favorevole al suo amico Putin, nel tentativo di allontanarlo dall’alleanza con la Cina e magari di spartirsi, oltre le ricchezze ucraine, anche l’Artico.

L’Europa, con in prima fila Germania e Francia, rimane oggi schiacciata nella posizione più pericolosa che possa esserci, quella di volere continuare una guerra a oltranza che avrebbe dovuto evitare e che potrebbe portare alla sconfitta totale dell’Ucraina, o anche a rischi di utilizzo di armi nucleari.

La dirigenza europea sembra impazzita, oltre ad essere assolutamente incapace, basti pensare al paradosso è che i paesi europei, i dirigenti non il popolo, non vogliono la pace ma, incredibilmente vogliono partecipare ai negoziati. Inoltre la baronessa von der l’Europa vorrebbe che la pace fosse fatta alle condizioni poste dagli ucraini quando invece l’Ucraina ha perso la guerra e non ha più persone da mandare al massacro e la forza di difendersi. Ma è chiaro e è sempre stato cosi, che le condizioni di pace vengono dettate purtroppo dai vincitori e non dai vinti. Ora si tratta di capire se le condizioni di pace offerte da Trump potrebbero essere realisticamente modificate nel prossimo futuro a favore del popolo Ucraino, ma è assai dubbio che Zelensky potrebbe ottenere condizioni migliori se volesse proseguisse il conflitto. Le condizioni di Trump sono certamente negative per Kiev, ma, sembra evidente che andando avanti tutto potrebbe peggiorare ulteriormente.

È chiaro che riconoscere ufficialmente l’annessione della Crimea alla Russia è un brutto colpo per il diritto internazionale, ma il problema è che anche l’indipendenza del Kossovo dalla Serbia ottenuta con i bombardamenti è stato un colpo micidiale per il diritto internazionale. Malgrado questo tutti i paesi del G7, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Corea del sud, Arabia Saudita e Turchia, hanno riconosciuto il Kossovo indipendente, mentre al contrario tutti i paesi fondatori dei Brics, Brasile, Cina, India, Russia, Sud Africa, e anche Indonesia e Mexico, hanno rifiutato il riconoscimento formale, chiaramente rispettando così il diritto internazionale.

Purtroppo in nome della Unione europea l’Alto rappresentante per la politica estera, la estone Kaja Kallas, ha dichiarato che “L’UE non riconoscerà mai la Crimea come russa. La Crimea è l’Ucraina”. La Kallas è stata nominata da Ursula von der Leyen ma non è mai stata eletta da nessun cittadino europeo e dunque nella realtà rappresenta se stessa e la von der Leyen. Il problema è che neppure la tedesca Ursula von der Leyen, capo della Commissione UE, è stata mai eletta dai cittadini europei. La stessa Unione Europea è tanto più ipocrita considerando che in base al Trattato di Maastricht non ha nessuna competenza sulla politica estera europea, e conseguentemente la Kallas non avrebbe neppure diritto di parola. I paesi europei sono assolutamente indipendenti riguardo la politica estera e la difesa. Inoltre, cosa gravissima e disumana, la Kallas e la UE non hanno mai condannato i massacri indiscriminati e gli stermini di donne e bambini compiuti dal governo Netanyahu in nome della lotta al terrorismo di Hamas, contro tutte le norme del diritto umanitario e del diritto internazionale.

Il problema fondamentale è che l’Europa della “baronessa” von der Leyen potrebbe portare verso la guerra con la Russia e vuole riarmarsi senza avere mai tentato di negoziare con Putin.

In realtà la stragrande maggioranza dei cittadini italiani ed europei siano contrari alla guerra e all’aumento inaudito delle spese militari, preferendo in modo assoluto l’aumento delle spese in sanità, istruzione e sociali, ma i governanti europei e italiani fanno l’esatto contrario, tagliano le spese sociali e aumentano sconsideratamente le inutili spese militari.

Bisogna opporsi fermamente al riarmo dell’Europa che non ha mai voluto avviare negoziazioni e non vuole la pace. Non c’è difesa europea possibile senza una pace vera e duratura. Non cè Unione Europea senza la democrazia e il voto dei cittadini europei su tutte le questioni importanti.

È arrivato ora il momento di rispolverare il motto del filosofo Kant: “Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!” Sono felice di sapere che la maggioranza degli italiani usi la propria intelligenza e si dichiari contro la guerra e l’inutile riarmo. 

2 Maggio 2025 0 Commento
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Politica

LE HAI MAI VISTE LE LACRIME DEL LAVORO?

di Marco MADDALENA 1 Maggio 2025
Scritto da Marco MADDALENA

Le lacrime di chi dopo anni e anni di servizio si sente dire che è troppo vecchio (ma troppo giovane per la pensione) e che costa pure troppo e quindi è più conveniente licenziarlo … 

Le lacrime della giovane laureata con il massimo dei voti e con una tesi di laurea sperimentale che si vede proporre un tirocinio di qualche centinaia di euro sulla “carta” ma di fatto a tempo pieno ….. 

Le lacrime del tempo determinato a ciclo continuo che ad ogni scadenza contrattuale non spera più alla stabilizzazione ma almeno all’ennesimo rinnovo ….. 

Le lacrime del rider perché a causa delle recensioni negative si spinge oltre le proprie possibilità ed ha avuto un incidente e mentre lo caricano su un’ambulanza quella pizza si raffredda ….. 

Le lacrime di chi il primo maggio non può godersi un giorno di festa ma deve lavorare perché proprio il primo maggio qualcuno deve comprarsi uno spazzolino ….. 

Le lacrime del gio- vane artigiano che pensava che aprire una partita IVA lo avrebbe liberato e reso un poco “imprenditore” proprio come le imprese multinazionali, però non ha trovato il “paradiso fiscale” ma scadenze che non può pagare …. 

Le lacrime dei familiari che alla vigilia della festa dei Lavoratori devono piangere la perdita di un familiare. 

1 Maggio 2025 0 Commento
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Politica

BISOGNA ESSERE CONTRO IL RIARMO, PERCHÉ É INUTILE E PERICOLOSO

di Michele BLANCO 20 Aprile 2025
Scritto da Michele BLANCO

Il mondo contemporaneo lo si può osservare a partire dalla guerra in Ucraina, ai massacri indiscriminati in Medio Oriente e in molte altre parti del mondo, la vittoria elettorale di Trump, la Germania con l’esito delle sue elezioni, l’inesorabile “avanzata delle destre” un po’ ovunque, la ormai certa e constatata inesistenza politica dell’Europa, con il “dibattito” unidirezionale a favore del riarmo, voluto dai mass media che sono di proprietà di chi possiede e fa profitti con l’industria bellica.

Il “nuovo ordine mondiale” immaginato da alcuni e temuto da altri non è che il disordine di un capitalismo neoliberista che da cinquant’anni continua a essere l’ideologia dominante sempre tra alti e bassi, impennate e sprofondamenti, senza apparente via d’uscita, che oggi vorrebbero propinarci con la preparazione propagandistica alla guerra e alle inutili spese militari.

Questa forsennata accelerazione subito impressa dal nuovo governo USA alla politica interna e internazionale non è frutto della volontà di potenza del Presidente Trump e dei suoi miliardari accoliti. In questi ultimi anni l’imperialismo USA ha visto progressivamente erodere il proprio passato totale predominio mondiale, a favore di altri poteri e forze statali e alleanze, come la Cina e i paesi BRICS. Lo scontro diretto ha visto confrontarsi da anni gli eserciti della Russia e quelli dell’Ucraina spalleggiata, con gradi diversi di coinvolgimento economico e militare, dai vari Stati della NATO, con in prima fila Regno Unito e – fino alla fine dell’amministrazione Biden – degli USA. L’Unione Europea si è dimostrata in questo contesto nient’altro che un mercato economico e tutt’altro che una entità politica unitaria, democratica e indipendente. La sudditanza europea agli USA si manifesta anche nella scopiazzatura dello slogan trumpiano “Make America Great Again” (MAGA), che diventa, “Make Europe Great Again” (MEGA). Tra MAGA e MEGA c’è davvero poco da scegliere!

È appunto su questo scenario che si prepara una nuova possibile guerra con l’aumento delle spese militari.

Le misure annunciate e praticate dalla nuova amministrazione USA, che tanto scandalizzano e impauriscono le “anime belle” dei presunti democratici di tutto il mondo sono l’espressione delle reali esigenze nazionali dell’economia degli Stati Uniti d’America. Al tempo stesso, quelle misure mostrano e dimostreranno l’insolubile contraddittorietà delle ricette economiche per “uscire dalla crisi”: liberismo|protezionismo, globalizzazione|nazionalismo, eterno vicolo cieco di inflazione-deflazione-stagflazione, ecc. In un modo o nell’altro, presto o tardi, sono sempre le leggi del capitale, che consistono sempre nella spasmodica ricerca del profitto, la necessità di rimettere in moto l’accumulazione, la “regola aurea” della competizione fra capitali nazionali, la legge dello sviluppo ineguale ad affermarsi e a esigere il conto finale. Ricordiamo che alla cerimonia d’insediamento di Trump, lo schierarsi di magnati dell’industria (soprattutto hi-tech) alle spalle del neo-presidente è stata interpretata da tutti i media come l’accorrere dei grandi nomi dell’economia USA a rendere omaggio. Ma nella realtà erano lì piuttosto a ricordargli chi fossero i veri padroni e quale fosse il copione da interpretare.

Nel sistema capitalistico i crediti vanno riscossi, i debiti vanno pagati, magari sotto forma di metalli preziosi per l’industria e terre rare.

In tutti questi anni, l’industria delle armi non ha mai smesso di crescere, il commercio internazionale di armamenti, alla luce del sole o sottobanco, non ha mai smesso di funzionare a pieno regime, e tutti i conflitti più o meno recenti hanno sempre visto impegnati in prima linea i colossi dell’industria militare. Oggi ancor di più, con il calo dell’industria automobilistica, cresce a dismisura quella militare.

Nell’Unione Europea, poco unita e composta da tanti Stati, schiacciata dalle grandi potenze come USA, Russia e Cina, si torna a parlare di una forza armata unitaria, sovranazionale. Il rischio reale è che nell’interesse del grande capitale assisteremo alla riconversione delle economie nazionali in economie di guerra, e questo rappresenta il vero pericolo perché potrà capitare che, da un giorno all’altro, il primo cannone cominci a sparare. Non a caso, il neo cancelliere tedesco, Merz, dichiara di volersi svincolare dalla sudditanza agli Stati Uniti.

In 50 anni hanno sempre più limitato la redistribuzione sociale della “ricchezza”, con la manipolazione delle coscienze voluta dall’ideologia neoliberista, arrivando a cancellare ogni possibilità di aspirare ad avere una diversa organizzazione sociale. Oggi più che mai i cittadini europei devono tornare a difendere nell’immediato le proprie condizioni economiche (salari, stipendi, pensioni…) e sociali (casa, salute, vivibilità dei quartieri, degrado ambientale) e contemporaneamente non accettare in nessun modo l’idea della guerra che come l’esempio del Medio Oriente ha portato a mattanze al fronte, stragi nelle retrovie e a fine di Stati dove prima della guerra si viveva in modo dignitoso almeno dal punto di vista economico e sociale come la Siria e la Libia.

20 Aprile 2025 0 Commento
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Politica

SECONDO L’ISTAT: “L’ABOLIZIONE DEL REDDITO CITTADINANZA HA FATTO AUMENTARE LE DISUGUAGLIANZE”

di Michele BLANCO 19 Aprile 2025
Scritto da Michele BLANCO

In un interessante libro, ovvero “La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi. Vero!” Laterza, 2014, di Marco Revelli si certificava già nel 2014 che «le diseguaglianze hanno continuato a crescere, la crisi economica globale è gravissima e lo stato ambientale del pianeta continua a peggiorare».
La sostituzione del Rdc con l’Assegno di inclusione ha ridotto le disponibilità economiche per 850mila famiglie. L’incide Gini è passato dal 30,25% del 2023 al 30,40% del 2024. Ma con le attuali politiche del Governo Meloni hanno prodotto un aumento, certificato dall’istituto nazionale di statistica, delle disuguaglianze in Italia: nel nostro Paese l’indice Gini – utilizzato a livello internazionale per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito – è aumentato dal 30,25% del 2023 al 30,40% del 2024. Lo certifica l’Istat nel suo “rapporto sulla redistribuzione del reddito in Italia” pubblicato il 17 marzo 2025. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, «le modifiche al sistema di tasse e benefici introdotte nel corso del 2024 diminuiscono in lieve misura l’equità della distribuzione dei redditi disponibili delle famiglie». In particolare, la sostituzione del Reddito di cittadinanza con l’Assegno di inclusione ha ovviamente e in modo significativo ridotto le disponibilità economiche per circa 850mila famiglie e questo peggioramento, nel complesso, non è stato compensato, in nessun modo, dagli interventi effettuati dal governo sul sistema fiscale e contributivo. Inoltre, sempre secondo l’Istat, a fine 2023 in Italia si contavano 2,2 milioni di famiglie in povertà assoluta, pari a 5,7 milioni di individui, ossia il 9,7% dell’intera popolazione italiana. Si tratta di persone che non hanno denaro sufficiente per comprare beni di prima necessità, cioè cibo e vestiti. I fatti ci dicono che dal primo gennaio 2024 il Reddito di cittadinanza è stato sostituito da una nuova misura di contrasto alla povertà denominata Assegno di inclusione (Adi): in questo modo sono state escluse dal sussidio le persone “occupabili” secondo i parametri adottati dal Governo, ossia tutti coloro che vivono in un nucleo familiare in cui non ci sono disabili, minorenni o persone sopra i 60 anni e che non sono seguiti da programmi di assistenza socio-sanitaria. Gli esclusi, se non arrivano ai 6mila euro di Isee, hanno diritto al Supporto per la Formazione e il Lavoro (Sfl): un contributo di 350 euro mensili (saliti a 500 euro dal 2025) che si può percepire per un massimo di 12 mesi non rinnovabili a condizione di iscriversi a programmi di politiche attive del lavoro. Il Reddito di cittadinanza raggiungeva tra gli 1 e gli 1,5 milioni di nuclei familiari, mentre oggi l’Assegno di inclusione arriva a poco meno di 760mila nuclei, a cui vanno sommati i circa 100mila individui che hanno diritto al Supporto per la Formazione e il Lavoro. Secondo i dati dell’Istat, nel 2024 l’abolizione del Reddito di cittadinanza, che peraltro era già stato depotenziato nel corso del 2023, con la misura sostitutiva dell’Assegno di inclusione ha comportato un grave peggioramento dei redditi disponibili per circa 850mila famiglie, pari al 3,2% delle famiglie residenti in Italia. La perdita media annua per queste famiglie è stata di 2.664 euro e ha interessato esclusivamente le famiglie che appartengono alla fascia più povera della popolazione. In tre quarti dei casi, circa 620mila famiglie, il nucleo familiare ha totalmente perso il diritto al sussidio, mentre il restante quarto di nuclei, composto da circa230mila famiglie, è risultato svantaggiato dal nuovo metodo di calcolo del sostegno economico.

Calcolando in valori assoluti, con le leggi dell’attuale governo hanno avuto benefici maggiori le fasce della popolazione più benestanti: il quinto più ricco delle famiglie italiane ha potuto ricevere 866 euro in più. In valori percentuali, invece il quinto più ricco ha visto migliorare il proprio reddito dello 0,9%. Inoltre certifica l’Istat che poco meno di 1,2 milioni di famiglie hanno registrato una perdita che è stati pari in media a circa 2mila euro. La stragrande maggioranza di questi nuclei rientra nel quinto più povero della popolazione italiana. La sostituzione del Reddito di cittadinanza con l’Assegno di inclusione ha prodotto, stando sempre ai calcoli dell’Istat, un aumento di oltre 0,2 punti dell’indice di Gini. Questo impatto negativo sulle disuguaglianze solo parzialmente è stato compensato dal lieve effetto positivo connesso alla riforma dell’Irpef e al taglio dei contributi, che complessivamente avrebbero ridotto l’indice di Gini di 0,05 punti. In conclusione, quindi, nel 2024 in Italia l’indice di Gini è aumentato da 30,25% a 30,40%. Con una sola chiara e certa affermazione non confutabile: con il Governo della “patriota e cristiana” Meloni, le disuguaglianze inesorabilmente aumentano. 

19 Aprile 2025 0 Commento
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Politica

GLI ARGENTINI SONO NEI GUAI

di Michele BLANCO 18 Aprile 2025
Scritto da Michele BLANCO

Purtroppo, come volevasi dimostrare, in Argentina i lavoratori hanno perso potere d’acquisto con i prezzi alle stelle. Il tutto dovuto al circolo vizioso di un’economia progettata per arricchire chi è già ricco, non i semplici cittadini.

Si è passati dall’austerity alla miseria sempre più diffusa in soli 15 mesi di governo presieduto da Javier Milei in Argentina.

L’economia argentina in caduta libera sta diventando un caso di studio emblematico degli effetti distruttivi di un neoliberismo dogmatico e slegato alla effettiva realtà economica e sociale. I dati sul consumo interno, riportati dal quotidiano argentino Pagina|12, dipingono un quadro piu che drammatico, costantemente in 15 mesi consecutivi di caduta libera delle vendite, con un calo del 5,4% su base annua a marzo 2024. Un tracollo senza precedenti, persino peggiore dei periodi più duri del governo Macri (2015-2019), che segna il totale inappellabile fallimento delle assurde politiche economiche di Milei.

Il crollo dei consumi, riflette un vero e proprio impoverimento accelerato della popolazione. Ipermercati (-7,1%) e piccoli negozi di quartiere (-3,7%) sono deserti, la gente non ha più liquidità nemmeno per gli acquisti essenziali. Settori come le bevande alcoliche (-18%) o la pulizia della casa (-2%) rivelano una società costretta a rinunciare per prima ai beni non strettamente necessari alla sopravvivenza. La vecchia e inutile retorica della “libertà economica” si scontra con una realtà effettiva in cui i salari, negoziati al ribasso su pressione governativa, non coprono più i prezzi dei generi alimentari, già schizzati dopo la svalutazione del 2023 incautamente imposta dal Fondo Monetario Internazionale.

Milei ha cercato di mascherare il disastro con una mossa degna di un manuale di manipolazione statistica: modificare la formula di calcolo dell’inflazione, riducendo artificiosamente il peso degli alimenti (in picchiata al rialzo) a favore dei servizi (meno dinamici). Una truffa politica, non ovviamente una soluzione economica.

Il governo ha festeggiato la rimozione del “cepo cambiario” (controllo cambiario), condizione posta dal FMI per accedere a prestiti miliardari. Ma a quale prezzo? Le riserve della Banca Centrale argentina, gonfiate artificialmente da un +50% grazie ai primi fondi FMI, nascondono una trappola: l’accordo vincola il Paese fino al 2029, con ulteriori tranche di debito (3.000 milioni nel 2024 e 5.000 milioni fino al 2029) subordinati al rispetto di tagli fiscali suicidi. Intanto, settori chiave come l’edilizia e l’automotive registrano aumenti di prezzi a doppia cifra, mentre il potere d’acquisto dei cittadini evapora.

L’ex presidente Cristina Fernández de Kirchner ha colto nel segno definendo queste politiche una “estafa” (truffa): un déjà-vu dei fallimenti storici, dal “blindaje” di De la Rúa (2001) alle ricette del FMI che hanno sempre solamente storicamente aggravato le crisi. Milei ripropone sempre lo stesso copione: svalutazione, inflazione importata, contrazione della domanda interna e dipendenza totale da creditori esteri. Un circolo vizioso che trasforma il debito in una camicia di forza, strangolando qualsiasi prospettiva di crescita economica.

La narrativa di Milei, centrata sull’equilibrio fiscale ottenuto sempre a scapito del benessere sociale e delle spese per il benessere dei cittadini, proprio come accade in questi anni in Europa, ignora volutamente che la recessione autoinflitta è il vero motore inarrestabile del deficit. Senza consumi, senza produzione, senza domanda, l’economia ovviamente si contrae, riducendo drasticamente gettito fiscale e rendendo insostenibile qualsiasi aggiustamento contabile. Oggi l’Argentina è un Paese in cui i poveri superano il 50% della popolazione, l’industria locale soffoca e l’unico “successo” è l’inutile e dannosa approvazione di istituzioni finanziarie internazionali complici della devastazione.

Il neoliberismo fuori tempo massimo di Milei non è solo fallimentare: è un vero e proprio atto criminale. Prometteva libertà e ha solo portato povertà; vantava stabilità e ha scatenato caos inflazionistico; celebrava il libero mercato mentre svendeva il Paese al Fondo Monetario Internazionale. L’Argentina, ancora una volta, dimostra che il fanatismo neoliberista, con il suo odio per gli interventi dello Stato, il suo culto dell’austerity e la sua subordinazione alla finanza globale, non è una politica economica, ma un atto di assurda violenza sociale e odio per i cittadini meno ricchi.

Infatti il calo del reddito della popolazione non è stato per nulla omogeneo, per il 20% più ricco la flessione dei redditi in termini reali è stata molto minore rispetto alla media, mentre il 20% più povero ha subito il calo più significativo. Solo nel primo anno della presidenza Milei nel periodo la disuguaglianza (misurata con l’indice di Gini) nella distribuzione del reddito è aumentata. Quasi due bambini su tre sotto i 14 anni vivono in condizioni di povertà, ma il governo ha comunque ridotto le risorse destinate all’infanzia. Milei si è “distinto” solo perché ha eliminato i sussidi che venivano gestiti da organizzazioni sociali.

Anche la sanità pubblica è sotto forte pressione. Oltre ai tagli di bilancio, soprattutto agli stipendi dei lavoratori degli ospedali che dipendono dal governo federale, si è verificato un aumento di domanda di prestazioni. Infatti, l’aumento dei prezzi delle assicurazioni sanitarie private dopo la liberalizzazione ha spinto molti argentini a rivolgersi all’assistenza pubblica.

L’istruzione ha registrato una riduzione di risorse che è stata circa del 50% su base annua. L’amministrazione Milei ha eliminato il Fondo nazionale per l’incentivazione degli insegnanti, ha sospeso gli interventi infrastrutturali alle scuole e ha tagliato drasticamente i programmi di borse di studio per gli studenti, ovviamente i più colpiti sono gli studenti provenienti dalle classi sociali più povere.

18 Aprile 2025 0 Commento
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Politica

L’INUTILE  ALLEANZA

di Michele BLANCO 17 Aprile 2025
Scritto da Michele BLANCO

Trump ha introdotto i dazi sulle merci importate, ma la Cina aumenterà il suo PIL del 5,6%, in netto aumento, addirittura smentendo le previsioni precedenti, mentre il mondo è a rischio recessione, il nostro paese l’Italia si è visto ridurre le previsioni del suo PIL dall’OCSE allo 0,7% nel 2025 e allo 0,9% nel 2026, con una riduzione rispettivamente di 2 e 3 decimi rispetto alle previsioni di appena pochi mesi fa a dicembre 2024.

E in questo contesto bisogna ricordare l’effetto delle sanzioni alla Russia che incredibilmente ha visto far schizzare in alto il Pil di quel paese e incrementare in modo massiccio l’export verso Cina e India, con queste nazioni con tre miliardi di abitanti circa, che comprano dalla Russia a prezzi stracciati e poi vendono gas e petrolio all’Europa, a prezzi ovviamente aumentati.

Un aumento del PIL cinese di questa portata ha del portentoso visto la stagnazione dell’economia mondiale. Tutti i paesi esportatori che hanno buon senso vedendosi bloccate le loro merci, prodotti e servizi verso l’ USA si sono rivolte altrove, in primis, Cina e India ma anche tutti gli altri paesi Brics. E questo Trump non lo aveva capito?

Al momento è un fenomeno di breve durata, dovuto una reazione legata al buon senso e istintiva, ma tutto questo non significa che non possa avere anche una durata maggiore e, in prospettiva, divenire strategica. Non sempre i giochetti al massacro di Trump e le sue intemperanze possano avere risposte del tipo “lui è cosi, poi si calmerà”; i mercati, è una legge del capitalismo, hanno bisogno di certezze, per permettere agli investitori di investire i loro capitali ed è strano che Trump non la conosca. Nel caso contrario non investono. E nel lungo periodo i paesi come Cina e India possono rendere stabile lo scambio commerciale che oggi sembra assumere aspetti non definitivi, di transitorietà. Molto modestamente ritengo che oggi l’unica via giusta, o quantomeno razionalmente possibile, per paesi come l’Italia e i tutti paesi UE è cercare alternative per le esportazioni al mercato statunitense, questa è la logica del mercato, possa piacere o meno. Se gli Usa non sono più affidabili non significa che dobbiamo entrare in recessione economica per colpa di Trump.

Oggi nel mondo ci sono tutte le premesse per un equilibrio geopolitico multilaterale con la fine  delle nazioni sotto protettorati, come è stato per l’Italia, la Germania e il Giappone dalla fine della seconda guerra mondiale. Sarebbe auspicabile, per chi ci governa, invece di andare con il cappello in mano a chiedere pietà e misericordia, prendere atto della nuova realtà effettiva e pensare finalmente al bene dei cittadini.

Sull’argomento il famoso economista francese Thomas Piketty ritiene senza mezzi termini che: «Usa non più affidabili, l’Europa promuova un altro modello di sviluppo»

L’analisi dell’economista francese pubblicata su Le Monde: «Da un punto di vista storico, c’è un solo precedente analogo ad oggi, il deficit commerciale delle principali potenze coloniali tra il 1880 e il 1914».

Sui dazi che vuole introdurre Trump, Piketty dice che per certi versi non siamo di fronte a una novità: la campagna militare contro l’Iraq all’inizio nei primi anni Duemila ha creato una destabilizzazione nell’intera regione con cui dobbiamo ancora fare i conti, scrive per fare un esempio. Ma, aggiunge, «la crisi attuale è nuova, perché mette in discussione il cuore stesso del potere economico, finanziario e politico del paese [gli USA], che appare come confuso, governato da un capo instabile e irregolare, senza alcuna forza di richiamo democratico».

Il cuore della questione, scrive Piketty, è il fatto che il Pil della Cina ha superato quello degli Stati Uniti già nel 2016 e attualmente è più alto del 30%. Non solo. In base ai calcoli di economisti di varia provenienza, Pechino raggiungerà il doppio del Pil degli Usa entro il 2035. «La realtà è che gli Stati Uniti stanno perdendo il controllo del mondo», è la ovvia conclusione di Piketty. Ma cosa ancora più grave, aggiunge, è l’accumulo di deficit commerciali che ha portato il paese a un debito estero pubblico e privato di una portata senza precedenti: 70% del Pil nel 2025. Con «l’aumento dei tassi di interesse potrebbe portare gli Stati Uniti a dover versare al resto del mondo flussi di interessi considerevoli, a cui erano finora sfuggiti grazie alla loro presa sul sistema finanziario mondiale».

Inoltre continua Piketty: «Da un punto di vista storico, va notato che l’enorme deficit commerciale degli Stati Uniti – circa il 3-4% del Pil in media ogni anno dal 1995 al 2025 – ha un solo precedente per un’economia di queste dimensioni: è approssimativamente il deficit commerciale medio delle principali potenze coloniali europee (Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi) tra il 1880 e il 1914». E su Trump, aggiunge, «è in fondo solo un leader coloniale impedito come l’Europa del passato, vorrebbe che la pax americana fosse ricompensata con sussidi versati dal resto del mondo riconoscente, in modo da finanziare eternamente i suoi deficit. Il problema è che il potere statunitense è già in declino, e che l’epoca non si presta più affatto a questo tipo di colonialismo brutale e senza ritegno».

E l’Europa, di fronte a tutto questo? L’Europa, dice Piketty, deve sostenere una profonda riforma della governance del Fmi e della Banca Mondiale, in modo da uscire dall’attuale sistema e dare il giusto posto a paesi come il Brasile, l’India o il Sudafrica. «Se continua ad allearsi con gli Stati Uniti per bloccare questo processo irrimediabile, allora i Brics costruiranno inevitabilmente un’architettura internazionale parallela, sotto la guida della Cina e della Russia». L’Ue – aggiunge – ha commesso un grave errore nel 2024 opponendosi alla proposta di giustizia fiscale promossa al G20 dal Brasile, e votando contro l’istituzione all’Onu di una convenzione quadro sulla tassazione equa, ancora una volta con gli Stati Uniti, «tutto questo per preservare il monopolio dell’Ocse e del club dei paesi ricchi su queste questioni ritenute troppo importanti per essere lasciate ai più poveri».

L’Europa, conclude il ragionamento Piketty, deve finalmente riconoscere il suo ruolo negli squilibri commerciali mondiali. «È facile stigmatizzare le eccedenze oggettivamente molto eccessive della Cina, che come gli occidentali prima di lei abusa del suo potere per sottopagare le materie prime e inondare il mondo di beni manifatturieri». Ma il fatto è che l’Europa tende anche a sottoinvestire sul suo territorio: «Ci vorrà molto di più del rilancio militare e di bilancio tedesco o della mini-tassa sul carbonio alle frontiere attualmente previste perché l’Europa contribuisca finalmente a promuovere un altro modello di sviluppo, sociale, ecologico ed equo». 

17 Aprile 2025 0 Commento
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Politica

MATTARELLA FIRMA LA LEGGE LIBERTICIDA

di Michele BLANCO 12 Aprile 2025
Scritto da Michele BLANCO

Il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, ha sempre giustificato e sostenuto i decreti per invio di armi in Ucraina. Ma se era giusto inviare le armi all’Ucraina “perché si doveva difendere da un invasione” allora si dovrebbero inviare le armi anche ai palestinesi di Gaza e Cisgiordania perché continuamente invasi, e bombardati da Israele, che ha ucciso 15 operatori sanitari della croce rossa. Invece Mattarella ha ricevuto per due volte al Quirinale il presidente di Israele Isaac Herzog mentre era in corso un vero e proprio genocidio del popolo Palestinese.

Il presidente Mattarella che condanna la Russia sempre e, spesso, a sproposito, non ricorda che finora gli unici a lanciare due bombe atomiche su città abitate da civili sono stati gli Stati Uniti d’America.

Invece il presidente Mattarella non ha mai condannato esplicitamente il criminale di guerra Netanyahu, ricercato per crimini orrendi dal tribunale penale internazionale, ma ha paragonato la Russia al Terzo Reich. Infatti per lui in Giappone a Hiroshima davanti 200 mila morti della bomba atomica statunitense, il problema atomico è solo rappresentato dalla Russia senza mai menzionare gli unici veri carnefici nucleari della storia dell’umanità.

Ora Sergio Mattarella ha appena firmato il decreto sicurezza, la legge più liberticida mai avuta nell’Italia repubblicana, dal 1945 ad oggi. Ora chiunque dissente dal governo è letteralmente un criminale. Chi protesta per qualsiasi motivo, anche giustissimo, viene considerato un nemico dello Stato da perseguire penalmente. Questo decreto, sicuramente anticostituzionale, vuole distruggere qualsiasi tentativo di qualsiasi cittadino italiano di dire al potere politico, a chiunque detenga il potere politico, che non è semplicemente d’accordo con le sue scelte.

Il decreto in questione attacca, negandoli, i principali diritti costituzionali al dissenso, come la libertà di manifestazione del pensiero e di manifestazione, e assurdamente legittima gli abusi di potere. Fa totalmente a pezzi l’uguaglianza, anche formale, dei cittadini davanti alla legge e limita le stesse libertà di riunione e associazione, che venivano riconosciute da secoli in tutti gli stati di diritto, persino nella Prussia del diciottesimo secolo.

In questo decreto, inoltre, è previsto che gli agenti dei servizi segreti possano entrare e comandare le organizzazioni criminali. Purtroppo nella storia dell’Italia, dove tra strategia della tensione, stragi, poteri occulti, sabotaggi, illegali dei servizi segreti si è addirittura arrivati a “legalizzare” queste pratiche reazionarie, a questo punto è in pericolo reale l’intera vita democratica del nostro Paese.

È assolutamente evidente che questo decreto non andava firmato. Ma Mattarella l’ha incredibilmente firmato nonostante il chiaro contenuto non costituzionale. Molti dubbi sorgono, a questo punto, perché l’articolo 91 della Costituzione dice: “il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione…”, ora dobbiamo chiederci, visto che Mattarella era anche professore di diritto pubblico, a quale Costituzione presta osservanza? Di uno Stato Costituzionale di diritto o a una costituzione di uno stato autoritario diverso dalla repubblica italiana?

12 Aprile 2025 1 Commento
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Politica

L’UE È UN GATTINO DI CARTA

di Pino D'ERMINIO 10 Aprile 2025
Scritto da Pino D'ERMINIO

Ai tempi della guerra in Vietnam – conclusa il 30 aprile di 50 anni fa con la vittoria dei vietcong – uno slogan antimperialista definiva gli USA una tigre di carta. Se guardiamo allo smarrimento delle capitali europee, a seguito della guerra pseudocommerciale scatenata da Trump, viene da dire che l’UE è un gattino di carta.

Esaminiamo preliminarmente le motivazioni e gli scopi che hanno spinto il presidente degli States a scatenare una guerra mondiale economico-politica, camuffata da commerciale, che mette nel mirino principalmente la Cina e l’UE. La bilancia delle partite correnti comprende gli scambi dei prodotti fisici (bilancia commerciale), dei servizi e dei cosiddetti trasferimenti (rimesse degli emigranti, pensioni, donazioni, contributi). Il saldo della bilancia delle partite correnti degli USA è negativo dal 1982, con l’eccezione del 1991, quando ha registrato un lieve attivo (pari allo 0,05% del loro PIL), incluso il quadriennio 2017-2020 della precedente presidenza Trump.

Secondo le teorie economiche basate sul mercato, lo squilibrio negativo delle partite correnti è corretto “naturalmente” dalla mano invisibile, con il deprezzamento della valuta del paese deficitario, il che equivale ad una riduzione dei prezzi delle sue esportazioni ed al fenomeno contrario per le importazioni, con conseguente aumento delle prime e riduzione delle seconde. Tale processo non è senza costi per il paese interessato, che peggiora le ragioni di scambio ed importa inflazione. Per gli USA tale aggiustamento “naturale” non è avvenuto, nonostante più di 40 anni di disavanzo del saldo delle partite correnti, perché essi sono il paese egemone economicamente, finanziariamente, politicamente, militarmente ed il dollaro statunitense è la valuta di riferimento delle transazioni mondiali di beni e servizi e del mercato dei capitali. Da oltre 40 anni gli USA “non pagano dazio” e sfruttano la maggiore convenienza di prodotti importati, senza subire ricadute inflattive e deprezzamento della loro valuta. L’esatto contrario di quanto sbraita Trump, che accusa il mondo intero di approfittare degli USA.

Allora perché Trump e gli ambienti economico-sociali che lo circondano hanno deciso di scatenare una guerra mondiale dei dazi? Il vero obiettivo è invertire il fenomeno della delocalizzazione delle unità produttive verso paesi con costi di produzione più bassi. Più fabbriche e più uffici in patria vogliono dire più occasioni di lavoro per i residenti e maggiore autonomia strategica dagli altri paesi. Credo che l’obiettivo principale sia l’autonomia strategica, figlia delle paranoie di un impero in lento declino, che vede minacciata la sua supremazia dalla Cina, ma anche dall’amica UE. Da un punto di vista strettamente economico, le mosse dell’amministrazione Trump sono un suicidio, oltre che un danno all’economia mondiale. Riportare la produzione delle Nike dal Vietnam in patria vuol dire raddoppiare o triplicare il loro costo di produzione, con conseguenze disastrose sulle vendite, sul conto economico e sui profitti dell’impresa; nel breve periodo si genera un incremento delle entrate fiscali USA, ma a prezzo di danneggiare la capacità competitiva di una multinazionale “di casa” e, a cascata, del sistema paese. Medesimo discorso vale per le Tesla prodotte in Cina e per le attività all’estero di tutte le multinazionali made in USA. Le retribuzioni pagate in patria cresceranno ed anche questo porterà un maggiore prelievo fiscale, ma tali incrementi saranno erosi dalla crescita dell’inflazione, spinta dal maggiore costo sia delle produzioni nazionali che delle importazioni.

Nel 2024 il disavanzo delle partite correnti USA ha raggiunto 926 miliardi US$, con un saldo negativo di 1.210 miliardi US$ nella bilancia commerciale, positivo di 293 miliardi US$ nei servizi e negativo di 9 miliardi US$ nei trasferimenti. Ai primi due posti del suddetto disavanzo USA si trovano la Cina (inclusa Hong Kong), con 273 miliardi US$ (29,5% del totale), e l’UE con 236 miliardi di US$ (25,5% del totale). All’interno dell’UE i paesi con maggiore avanzo delle partite correnti sugli USA sono l’Irlanda (87 MldUS$), la Germania (85 MldUS$) e l’Italia (46 MldUS$), che sommati rappresentano il 92% dell’avanzo dell’UE verso gli USA. La situazione è particolarmente grave per l’Irlanda, che indirizza negli USA il 46% delle sue esportazioni, ma difficile anche per la Germania e l’Italia, che collocano negli USA entrambe il 22% delle loro esportazioni (per l’Italia il primo mercato è la Germania, seguita dagli USA e dalla Francia).

La Cina ha immediatamente deciso di rendere agli USA pan per focaccia e si può essere certi che manterrà la posizione. L’UE invece … La Commissione europea dice di avere un piano A ed un piano B; fa sapere di avere addirittura un bazooka, che per il momento non imbraccia, ma che “è sul tavolo”; raccomanda di evitare prima di tutto il panico (che è il modo migliore per scatenarlo). Il piano A propone agli USA di azzerare i dazi reciproci sui prodotti industriali. Considerato che il disavanzo USA è principalmente sui prodotti industriali, mentre sui servizi essi sono in avanzo, perché Trump dovrebbe gradire il piano A? Una proposta da cretini, alla quale gli USA non si sono peritati neanche di rispondere. Il piano B consiste nello stilare una lista a più stadi di beni e servizi da gravare con dazi ritorsivi. D’intesa con la Commissione europea, la lista è stata approvata il 9 aprile da un comitato “tecnico” dei 27, con il voto contrario dell’Ungheria. Il primo elenco dovrebbe valere 3,9 miliardi di US$ di incremento dei dazi, il secondo ed il terzo sono stimati in 13,5 miliardi US$ ed il quarto 3,5 miliardi US$; in totale 20,9 miliardi US$, non proprio un colpo sonoro. I tre stadi dovevano entrare in vigore rispettivamente il 15 aprile, il 16 maggio ed il 1° dicembre, ma la Commissione europea li ha congelati il giorno successivo all’approvazione, dopo che il 9 aprile Trump ha annunciato a sorpresa che, bontà sua, applicherà a tutti la tariffa del 10%, sospendendo per 90 giorni le aliquote maggiori. Fanno eccezione i dazi verso la Cina, elevati al 125%. Su una cosa però l’UE si dichiara allarmata: bisogna evitare che la Cina sposti su di noi l’interscambio bloccato con gli USA. Hai visto mai che ci propongano condizioni di import-export vantaggiose? Morbidi con gli USA, duri con la Cina! Notare che in tutto questo parlare e straparlare non è neanche contemplata una discussione in seno al Parlamento europeo.

Trump, con la consueta arroganza e malagrazia, ha detto che aspetta che i governanti degli altri stati vadano uno ad uno a “baciarmi il culo” (letterale). Il Governo italiano raccomanda prudenza. Meloni – anche lei in coda per andare personalmente da Trump – dice di essere ideatrice del piano A – quello da cretini, che chiama “zero per zero” – e che per aiutare le aziende patrie in difficoltà bisogna allentare il patto di stabilità (fare più debito pubblico) e rinviare sine die il Green Deal. Quest’ultimo – l’Accordo verde – andrebbe piuttosto accelerato, sia nelle batterie per auto, dove scontiamo uno svantaggio tecnologico di almeno 10 anni rispetto alla Cina, sia nelle tecnologie energetiche rinnovabili, dove in UE esistono già delle eccellenze. La Germania è il paese più intenzionato a rispondere a tono agli USA. Speriamo che riesca a trainare anche l’Italia e l’UE, altrimenti finiremo “cornuti e mazziati”.

10 Aprile 2025 0 Commento
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Politica

LA GRANDE MANIFESTAZIONE PER LA PACE UN PRIMO PASSO

di Michele BLANCO 6 Aprile 2025
Scritto da Michele BLANCO

Avere 100 mila persone in piazza a Roma a manifestare nell’Italia di oggi è un risultato importantissimo di una grande rilevanza, assolutamente da non sottovalutare. In altre manifestazioni, anche recenti, con viaggio e spuntini gratis, “pompate” dalle televisioni e giornali, erano presenti molto meno di 10 mila persone. Quella del 5 aprile non è stata una manifestazione del un solo movimento 5 stelle, che ha avuto il grande merito di farla, ma la dimostrazione che il sentimento contrario alle inutili spese militari è diffuso oltre ad essere giusto. Nella narrazione dei mezzi di disinformazione di massa, tutti di proprietà, o comunque controllati, dagli stessi azionisti delle fabbriche d’armi si vuole dare per scontata l’idea che siamo in pericolo perché l’Europa sta per essere invasa dalla Russia, ipotesi assolutamente priva di qualsiasi fondamento politico economico e, soprattutto dal punto di vista pratico-militare. La federazione Russa ha 143,8 milioni di abitanti (2023), ma al tempo stesso è la nazione più grande per estensione territoriale al mondo, con ricchezze minerarie incredibili, ha il problema che territori immensi come la Siberia sono scarsamente popolari. Solo i paesi aderenti all’Unione Europa hanno 449,2 milioni (2024) di abitanti, una invasione è assolutamente improbabile. In questi giorni il filosofo tedesco Habermas ha evidenziarlo con forza in un’intervista pubblicata sull’ultimo numero della rivista “Internazionale”, in cui mette in guardia l’Europa da un riarmo che distrugga quel poco di integrazione sociale e di “welfare State” che è rimasto nelle politiche degli Stati europei. Il pericolo che paventa per l’Europa è quello della “abolizione della politica”, vale a dire uno svuotamento delle democrazie liberali in gusci vuoti, senza partecipazione e senza spazio di comunicazione libera e agire politico. Trasformare lo Stato e le istituzioni in dispositivi di sola gestione economica, significa avere una concezione dei cittadini solo come consumatori e come capitale umano da sfruttare. In questa prospettiva, non è difficile arrivare a considerare le persone soggetti. Oggi vorrebbero sostituire l’etica della pace, che è il bene sociale più alto, con l’ideologia della guerra contro i presunti nemici.

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Finalmente abbiamo avuto nella manifestazione del 5 aprile l’affermazione di un’idea di cittadinanza che si riconosce nei valori della Costituzione, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e guarda ad un’Europa portatrice di una civiltà politica fondata sulla giustizia sociale e su un modello di sviluppo equo e sostenibile: in una parola, un’Europa lontana anni luce da quella odierna che la baronessa von der Leyen e le classi dirigenti attuali vanno ridisegnando snaturandone l’essenza profonda. Esiste oggi in Italia un’area di rifiuto della guerra che coincide con la netta stragrande maggioranza della popolazione italiana. Di certo sarebbe riduttivo inscrivere questa moltitudine di persone, che sono al contempo singolari e plurali, in una ideologia o in qualche schema sociologico precostituito. Sono il segno di un grande bisogno di riprendersi la parola dopo una lunga fase di “defezione” o, come avrebbe detto Hirschman, di “exit”, di uscita dallo spazio pubblico. Infatti, la posta in gioco di questa manifestazione non è in primo luogo l’alternativa al governo Meloni che le forze di opposizione sono tenute a preparare. Il tema va molto al di là della congiuntura politica, per quanto importante sia quest’ultima. Saranno gli eventi futuri a confermare o meno il giudizio di Conte secondo cui questa manifestazione getta un primo solido “pilastro” dell’alternativa. Piuttosto, se c’è una lezione da trarre da questa imponente risposta di massa all’appello contro la guerra, è che le soggettività, individuali e collettive, hanno bisogno, come amava dire Hannah Arendt, di apparire in pubblico, cioè nell’agorà della polis (piazze, sezioni, circoli, teatri, ecc.), dove discutere dei problemi della vita quotidiana, non nei talk show televisivi sempre più stereotipati e ripetitivi.

6 Aprile 2025 0 Commento
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