Da ieri mi ronza in testa la frase di Piero Calamandrei: “Se volete andare in pellegrinaggio dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne, nelle carceri, nei campi, dovunque è morto un italiano per riscattare la nostra libertà, perché è lì che è nata questa nostra Costituzione”.
Politica
Mario Draghi il nemico del popolo non deve presiedere la prossima Commissione europea.
Basti ricordare: “Mario Draghi? Impossibile immaginarlo a Palazzo Chigi. È un vile affarista che venderà l’economia italiana”. Lo ha detto l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga durante la trasmissione Unomattina.(il 24 gennaio 2008, ANSA).
Per anni si è soffiato sulla sanità convenzionata e sulla sanità integrativa tanto da lasciare un grande potere economico ai privati nel campo dei servizi sanitari, che al bisogno hanno “offerto” solo servizi privati a pagamento.
Lo scorso 7 gennaio a Roma in Via Acca Larentia, durante la commemorazione di tre giovani appartenenti al MSI, uccisi nel 1978 da un gruppo armato dell’estrema sinistra, si levano, centinaia di braccia tese al richiamo del “presente”, la polizia interviene? No.
UNA RIFLESSIONE SU PARTECIPAZIONE POPOLARE, DEMOCRAZIA E ELEZIONI IN SARDEGNA
La reale applicazione delle regole democratiche nella prassi politica, sociale ed economica viene in realtà progressivamente svuotata, in primo luogo, dalla reale partecipazione democratica dei cittadini, che negli ultimi anni è, sempre più, diminuita. Nella gran parte dei paesi democratici.
Il mondo attuale si distingue per alcuni dati non certamente confortanti, almeno per chi ritiene giusto un mondo con meno disuguaglianze, come il fatto che le prime 500 società quotate a Wall Street stanno registrando utili record e distribuiscono dividendi formidabili ai propri azionisti, a cominciare dai grandi fondi finanziari. Ma nel nel frattempo, l’economia giapponese e quella britannica sono in piena recessione, la Germania arranca e il resto dell’Europa stenta ad arrivare ad una crescita dell’1%. In quasi tutto il pianeta anche nel 2023 i salari sono diminuiti e la produzione continua a spostarsi,
I fautori dell’autonomia differenziata sostengono che non esiste il rischio di spaccare l’Italia in 21 staterelli (le 19 regioni e le due province autonome di Trento e Bolzano), ciascuno con diverse quantità e qualità dei servizi pubblici, perché ovunque saranno garantiti i livelli essenziali delle prestazioni (LEP). La tesi è meramente propagandistica. La sua fallacia può essere dimostrata non solo con argomenti logici, che potrebbero essere non capiti, specialmente da chi non vuole capire, ma anche con fatti concreti, che – ha detto Lenin – hanno la testa dura.
I fatti da prendere a modello sono quelli che hanno caratterizzato e tutt’ora caratterizzano il servizio sanitario nazionale. Istituito con la legge 833/1978 con una governance centralizzata, è stato successivamente regionalizzato ed aziendalizzato (dalle USL alle ASL) a partire dal DLgs 502/1992 e poi dal DLgs 517/1993, dalla legge 419/1998, dal DLgs 229/1999, per culminare con la riforma del Titolo V della costituzione (legge cost. 3/2001) che ha affidato alle regioni ed alle province autonome la competenza esclusiva della organizzazione e regolazione dei servizi sanitari pubblici regionali, mentre allo Stato centrale resta la competenza nel definire gli indirizzi generali ed i LEA, cioè i livelli essenziali delle prestazioni assistenziali, che sono a tutti gli effetti antesignani dei LEP. I LEA sono stati introdotti dal DLgs 56/2000 (cd. federalismo fiscale) e disciplinati dal DM 12/12/2001.
I LEA ed i LEP altro non sono che una “bilancia” creata per misurare le prestazioni erogate; ma costruire uno strumento del genere è affare piuttosto complesso ed incerto nella sua capacità di misurazione. All’inizio i LEA si fondavano su un set di un centinaio di indicatori; nel 2014 la Conferenza Stato Regioni condivise che tali indicatori non fornivano un quadro sufficientemente attendibile dei servizi sanitari regionali e si decise – nelle more della ridefinizione dei criteri – di adottare una griglia di 33 indicatori, riferiti a tre aree: prevenzione, assistenza distrettuale (detta anche “territoriale”) ed assistenza ospedaliera. Finalmente il DM 12/03/2019 ha introdotto i nuovi LEA, applicati dal 2020. Il nuovo set è costituito da 88 indicatori, ma per le valutazioni politico-economiche si è scelto di usare solo 22 indicatori, detti core (in italiano “centrali”): 8 nell’area prevenzione, 8 in quella distrettuale e 6 nell’ospedaliera. Che fatica! E a distanza di una ventina d’anni dalla loro istituzione non sappiamo ancora quanto i LEA siano affidabili. Quanto sarebbe complessa ed opinabile la determinazione di sistemi di misurazione di 10 o 20 LEP?
Oltre alle suddette difficoltà tecniche, c’è un difetto concettuale di fondo dei LEA come dei LEP: l’aggettivo “essenziale”, che confligge con il principio costituzionale dell’eguaglianza dei cittadini e del loro diritto a prestazioni uniformi dei servizi pubblici. Realisticamente, uniformi non può voler dire identiche, ma analoghe sì. Quali sono i punteggi dei nuovi LEA? Essi vanno da zero a 100 e si considerano “sufficienti” 60 punti. Un intervallo di 40 punti, tra la sufficienza e l’eccellenza, autorizza ad affermare che ai cittadini di regioni diverse viene fornito un servizio analogo, oppure è la presa d’atto formale della discriminazione territoriale tra i cittadini? Dal grafico seguente, che mostra i punteggi LEA core relativi al 2021 (ultimi dati disponibili), si nota una grande variabilità da regione a regione; non solo, è evidente che tra il servizio sanitario dell’Emilia Romagna e quello della Basilicata c’è un divario enorme, pur essendo quest’ultima oltre la soglia dei 60 punti in tutte le aree; per non parlare della Valle d’Aosta e della Calabria, che sono sotto soglia in tutte le aree, o del Molise, che consegue il peggiore punteggio nazionale nell’area ospedaliera.
LEA core 2021 per aree nelle regioni e province autonome italiane
(Fonte: Ministero della Salute, Monitoraggio LEA 2021, pag. 23.)
Mettere sullo stesso piano la sanità dell’Emilia Romagna e quella della Basilicata vuol dire falsificare smaccatamente la realtà e lo dicono gli stessi indici LEA. Peggio ancora per chi è sotto la soglia considerata sufficiente. Come si salvaguardano i cittadini che risiedono in quelle regioni? In che modo i LEA/LEP li garantirebbero? Evidentemente i LEA/LEP non garantiscono un bel niente ed è già tanto se riescono a stimare in modo decente il livello delle prestazioni erogate.
L’esperienza più che trentennale della regionalizzazione del servizio sanitario pubblico si è dimostrata un fallimento, con gravi ripercussioni sulle popolazioni delle regioni più arretrate. Nonostante questo, con l’autonomia differenziata si vuole estendere la regionalizzazione alle seguenti materie: «giudici di pace»; «norme generali sull’istruzione»; «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali»; «rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale». In tutte queste materia lo Stato centrale si limiterebbe a determinare i principi fondamentali.
Così si sfascia l’Italia. La cosa al tempo stesso tragica e ridicola è che l’autonomia differenziata è promossa con forza da partiti che ad ogni piè sospinto si ammantano del tricolore.
“Tra le molte concezioni della rappresentanza … una cosa sola va rigidamente affermata: che l’Assemblea eletta sia la più capace a costituire un Governo … atto a risolvere nel modo più rapido, fermo e univoco tutte le molteplici questioni che nell’azione quotidiana si presentano, non impacciato da preventive compromissioni, non impedito da divieti insormontabili, non soffocato da dissidi, non viziato nella origine da differenze ingenite di tendenze e di indirizzi”.
Queste parole potrebbero essere attribuite benissimo ad uno dei tanti sostenitori delle riforme che, negli ultimi decenni, sono state dirette ad assicurare l’artificiale formazione di una maggioranza parlamentare ampia, al fine di (tentare di) garantire la stabilità del governo.
Nel corso di un’intervista di Fabio Fazio sul canale 9, durata quasi un’ora (52,33 minuti), il Santo Padre, Papa Francesco, per i primi venti minuti ha parlato della guerra, delle guerre, portando esempi per dire con sempre più forza e far capire che la guerra è solo distruzione e morte. Basta vedere le immagini che arrivano dall’Ucraina o da Gaza per rendersene conto e capire che la guerra è così, distrugge e uccide. E, a tale proposito, ha ricordato, le centinaia di morti al giorno a Gaza e in Ucraina, e, tornando alla seconda guerra mondiale, i ventimila giovani che hanno lasciato la propria vita sulle spiagge della Normandia.
“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione” (art. 67 della Costituzione).
Che cosa c’è di più “patriottico”, allora, dell’esposizione di una bandiera diversa dal tricolore nel Senato della Repubblica, in occasione dell’approvazione di un disegno di legge volto a dare a una sola parte della Nazione (quella più ricca) ancora più risorse di quante non ne abbia già?
Dovremmo cominciare a pretendere che le parole tornino ad essere utilizzate nel loro senso proprio. Al più presto.