CONTRO I LICENZIAMENTI INDIVIDUALI ILLEGITTIMI

di Pino D'ERMINIO

Dei licenziamenti individuali nelle imprese private si occupa la legge 604/1966. Essa – al primo comma dell’art. 8 – nel testo storico originale, disponeva che, in caso di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo illegittimo, l’imprenditore può cavarsi d’impiccio «versando una indennità da un minimo di cinque ad un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione, avuto riguardo alla dimensione dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro ed al comportamento delle parti». Tutela piuttosto modesta per il lavoratore licenziato illegittimamente.

La legge 108/1990 (Governo Andreotti) – art. 2, comma 3 – ha modificato IN PEGGIO la norma del 1966, DIMEZZANDO le indennità minima e massima e dunque alleggerendo il risarcimento già modesto dovuto dall’imprenditore, in caso di ricorso illegittimo al licenziamento per giusta causa o giustificato motivo. Sempre la legge 108/1990 ha aggiunto un periodo all’art. 8 della legge 604/1966, che nelle le imprese con più di 15 dipendenti porta il risarcimento massimo a 10 mensilità, se il lavoratore ha un’anzianità di servizio superiore a 10 anni, od a 14 mensilità, se l’anzianità di servizio va oltre 20 anni.

Il quesito referendario di abrogazione parziale dell’art. 8 della legge 604/1966 prevede: I) la cancellazione del periodo riferito alle imprese con più di 15 dipendenti, per le quali, con il primo quesito referendario, si ristabiliscono le tutele dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori; II) fermo restando il risarcimento minimo di 2,5 mensilità, l’eliminazione del limite massimo di 6 mensilità, delegando al giudice di quantificare il risarcimento, beninteso «avuto riguardo alla dimensione dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro ed al comportamento delle parti». 

In questo modo si pone un freno all’abuso pretestuoso dei licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo nelle unità produttive fino a 15 dipendenti, che esulano dalle tutele previste dall’art. 18 del (martoriato) Statuto dei lavoratori. La questione è rilevante, dato che le cessazioni del lavoro per giusta causa e giustificato motivo sono le più numerose, dopo le dimissioni volontarie. Nel 2023 i licenziamenti “disciplinari” – cioè per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, a seguito di grave inadempimento del lavoratore – hanno rappresentato il 5% del totale dei rapporti cessati sia nelle imprese fino a 15 dipendenti, che in quelle oltre; le percentuali sono invece molto diverse nel caso dei licenziamenti cosiddetti “economici”, alias per giustificato motivo oggettivo – cioè per «ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa» (L 604/1966, art. 3) – che hanno generato il 27% delle cessazioni dei rapporti di lavoro nelle unità lavorative fino a 15 dipendenti e solo il 13% nelle altre. Pur considerando una maggiore fragilità delle microimprese, una percentuale di licenziamenti economici doppia (anche negli anni ante 2023) rispetto alle altre imprese lascia pensare che nelle microimprese il ricorso a tale forma di licenziamento sia non sempre limpido.

  • Giuseppe (Pino) D’Erminio è nato a Termoli il 26 aprile 1950; dal 1981 al 2004 ha vissuto tra Bologna, Pavia e Pescara; nel 2005 è tornato ad abitare a Termoli. È laureato in Economia e commercio. Ha lavorato nel marketing assicurativo: dal 1974 al 1995 presso direzioni di compagnie, successivamente e fino al 2016 come formatore e consulente libero professionista. Conclusa la carriera lavorativa, collabora con gruppi civici locali. Gestisce il blog “antennatermoli.blogspot.com”, dove scrive di questioni locali; su argomenti più generali pubblica sul periodico L’Eguaglianza.

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