Il terzo quesito del referendum 2025 mira a ridurre la precarietà abolendo le norme che hanno moltiplicato i contratti temporanei. Un SÌ per il diritto al lavoro dignitoso
Negli ultimi anni, il mercato del lavoro italiano ha visto una crescita costante dell’occupazione precaria, in particolare dei contratti a termine. Il terzo quesito del referendum del 2025 interviene proprio su questo nodo, proponendo di abrogare le norme che permettono un uso esteso, flessibile e spesso abusivo dei contratti temporanei.
Votare SÌ significa scegliere un modello di lavoro più stabile, ridurre il ricorso indiscriminato alla precarietà e tutelare milioni di lavoratori, soprattutto giovani, donne e persone con basso potere contrattuale.
Cosa dice il quesito
Il quesito propone di abrogare le parti del Decreto Dignità (e successive modifiche) che:
– consentono contratti a termine fino a 24 mesi anche senza causali per i primi 12 mesi;
– autorizzano rinnovi ripetuti con causali spesso generiche o arbitrarie;
– riducono i vincoli alle proroghe, rendendo più facile per le imprese mantenere i lavoratori in stato di incertezza per anni.
In pratica, si chiede di tornare a una disciplina più restrittiva e più protettiva per i lavoratori.
Perché votare SÌ: le ragioni di una scelta giusta
1. Contro la precarietà strutturale
I contratti a termine sono nati per esigenze temporanee. Ma nel tempo sono diventati la regola anziché l’eccezione, soprattutto per i lavoratori più fragili. Questo crea instabilità economica, incertezza sul futuro e difficoltà nell’accedere a mutui, affitti e progettualità di vita.
2. Un mercato più giusto non è un mercato meno efficiente
La flessibilità non deve diventare sinonimo di ricatto occupazionale. Studi europei mostrano che i mercati del lavoro con maggiori tutele (come in Germania o Francia) non sono meno dinamici. Anzi: il lavoro stabile migliora la produttività e la qualità dei servizi.
3. I giovani meritano un futuro, non un eterno presente precario
Oggi oltre il 60% dei nuovi contratti è a termine, e pochi di questi si trasformano in tempo indeterminato. Il lavoro precario si traduce in precarietà esistenziale. Votare SÌ è un atto di responsabilità verso le nuove generazioni.
4. Il lavoro è un diritto, non una concessione temporanea
La Costituzione italiana riconosce il lavoro come fondamento della Repubblica. Tollerare norme che facilitano lo sfruttamento attraverso contratti brevi, rinnovabili e privi di prospettive va contro il principio di dignità del lavoro.
I numeri della precarietà in Italia:
– Oltre 3 milioni di lavoratori hanno contratti a tempo determinato (ISTAT, 2023)
- – Solo 1 su 4 di questi contratti si trasforma in tempo indeterminato
- – Il 70% dei contratti a termine dura meno di 3 mesi
- – L’Italia è al secondo posto in Europa per uso di contratti a termine tra i giovani (Eurostat, 2022)
Nel mondo del lavoro italiano, i giovani sono i più esposti alla precarietà. I dati parlano chiaro:
– Il 63% dei nuovi contratti tra i 20 e i 34 anni è a tempo determinato (ISTAT, 2023)
– Il 73% di questi contratti ha una durata inferiore ai 6 mesi
– Il tasso di trasformazione in contratti stabili resta sotto il 25%
Questo significa che un’intera generazione è condannata a vivere nell’incertezza, senza prospettive di autonomia economica, casa, famiglia. La precarietà non è una “fase di passaggio” ma per molti è diventata una condizione cronica.
La scuola pubblica: laboratorio di instabilità
Il paradosso più evidente? La scuola, istituzione che dovrebbe costruire il futuro del Paese, è anche uno dei settori più precari:
– Oltre 250.000 docenti vengono assunti ogni anno con contratti a tempo determinato
– Tra questi, circa 100.000 sono “supplenti annuali” (contratti fino al 30 giugno o 31 agosto)
– Molti insegnanti precari coprono posti vacanti e disponibili, che dovrebbero essere a tempo indeterminato
I concorsi si svolgono a rilento e spesso non coprono il fabbisogno reale.
Questo genera una scuola instabile, in cui gli studenti cambiano insegnanti ogni anno e i docenti vivono senza certezze, senza continuità, senza tutele.
Un SÌ per costruire futuro, non precarietà
Il SÌ al quesito n. 3 non è una battaglia ideologica: è una risposta concreta a un problema reale. Restituire dignità e prospettiva al lavoro significa restituire forza alla società tutta. Senza stabilità, non c’è crescita. Senza diritti, non c’è progresso.
Con le attuali condizioni i lavoratori e le lavoratrici a termine sono soggetti a quella che qualcuno ha definito saggiamente “macelleria sociale”, ovvero alla condizione di essere assoggettati implicitamente al datore di lavoro senza la possibilità di esercitare i propri diritti.
Votare SÌ significa dire basta all’abuso sistematico dei contratti a termine. Significa restituire stabilità a chi lavora, investire nella qualità del lavoro e nel benessere di chi assume e di chi produce.
Il 8 e 9 giugno abbiamo l’occasione di cambiare rotta. Un SÌ deciso per dire basta alla precarietà.