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Aprile 2022

Politica

LA VITTORIA DI MACRON E LA LEZIONE FRANCESE SU CUI RIFLETTERE PER RIPENSARE IL CAMMINO EUROPEO VERSO GLI STATI UNITI D’EUROPA

di Giuseppe LUMIA 27 Aprile 2022
Scritto da Giuseppe LUMIA

In Francia Macron è stato confermato Presidente e il Front national della Le Pen è stato ancora una volta sconfitto. 

Il contesto in cui si è svolta questa competizione non è stato naturalmente dei più agevoli: alla pesante crisi sociale ed economica interna che continua a soffiare forte si sono aggiunte la controversa gestione della pandemia e l’attuale e drammatica guerra in Ucraina. 

La Francia ha scelto. Adesso ci sono diversi spunti di fondo su cui possiamo riflettere insieme, al di là delle dinamiche interne alla società francese. 

Chiamiamole le “Tre Lezioni” per il cammino dell’Europa.

LA PRIMA È LA “LEZIONE MACRON”. Riguarda il suo successo e quindi la sua riconferma. Macron ha avuto il coraggio di rompere con la tradizionale riserva delle leadership francesi verso l’Europa. La Grandeur Francese finalmente lascia il passo a un futuro della Francia proiettato verso un percorso più decisamente europeista anche sul piano militare ed economico oltre che sociale e culturale. Ma attenzione, Macron propone più di ogni altro leader europeo una svolta rispetto all’attuale ingessata e spenta Unione Europea, per riformarla in senso più avanzato possibile, cioè in senso Federale. È in questo momento il leader più netto e disponibile a ripensare e riprogettare l’Europa in direzione degli Stati Uniti d’Europa e della sua funzione di promozione dello sviluppo sostenibile ambientalmente e socialmente. Non sarebbe male, nel futuro assetto Federale, inserire il semipresidenzialismo, per l’elezione diretta del Presidente europeo. 

LA SECONDA È LA “LEZIONE LE PEN”. Il suo risultato elettorale, ancora una volta ragguardevole, rimane soprattutto figlio della crisi profonda in cui versa da anni il ceto medio-basso. Il suo impoverimento e le diffuse disuguaglianze sono sempre l’humus per alimentare il populismo e il sovranismo soprattutto di destra. È così un po’ in tutto l’Occidente. L’Europa deve comprendere che il suo futuro è negli Stati Uniti d’Europa, perché solo in tale dimensione potrà rivitalizzare le forme della rappresentanza democratica e metterla nella condizione di dare uno sbocco democratico alla gravissima crisi di uguaglianza e di benessere del ceto medio-basso. 

LA TERZA È LA “LEZIONE MÉLENCHON”. Il suo buon risultato elettorale, al primo turno, ha a che fare con la crisi della sinistra tradizionale, sia riformista che radicale. Il modello neoliberista non è capace di affrontare le sfide tremende dell’attuale globalizzazione: cambiamento climatico, disuguaglianze diffuse, guerre in espansione come quella dell’Ucraina e di ben altri 70 Paesi… Neanche ricorrendo alle vecchie soluzioni si potrà recuperare un forte ruolo di governo per i progressisti. La sinistra europea deve allora ripensarsi per essere all’altezza del compito di promuovere una nuova governance dello sviluppo sostenibile. Il banco di prova è ancora una volta la sua capacità di misurarsi con un’Europa che diventi presto Stati Uniti d’Europa, in grado così di incidere nel contesto globale, promuovere la pace e cambiare il modello di sviluppo.

27 Aprile 2022 0 Commento
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Economia e Finanza

LA DIPENDENZA ENERGETICA DELL’ITALIA DALL’ESTERO E, IN PARTICOLARE, DALLA RUSSIA

di Pino D'ERMINIO 26 Aprile 2022
Scritto da Pino D'ERMINIO

L’aggressione militare della Russia all’Ucraina ha portato all’ordine del giorno il tema delle sanzioni da comminare all’aggressore; tra queste, l’Ucraina insiste con forza sull’interruzione immediata degli acquisti di metano e di petrolio dalla Russia, spalleggiata in ciò dagli USA, dal Regno Unito e dalla Polonia. In questo articolo esamino fino a che punto questa richiesta sia concretamente applicabile nel caso dell’Italia.

Nel 2020 il consumo energetico lordo dell’Italia è stato pari a 144 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), in decremento rispetto al triennio precedente, per effetto della riduzione del PIL 2020 dell’8,9%, conseguente alla pandemia da covid-19 (gra. 1); nel 2021, tenuto conto dell’incremento del PIL del 6,6%, tale consumo dovrebbero essere in ripresa.

Gra. 1 – Consumo energetico lordo dell’Italia in Mtep – 2017-2020

(Elaborazioni su dati MiSE, Il bilancio energetico nazionale, anni 2018 e 2020.)

L’Italia ha una forte dipendenza energetica dall’estero, intorno al 77% del consumo energetico lordo; nel 2020 la dipendenza è scesa al 73,8%, perché la riduzione della domanda si è scaricata sulle importazioni, ma dovrebbe risalire con la ripresa della domanda.

La fonte energetica principale per l’Italia è il gas naturale – ovvero metano (tetraidruro di carbonio) di origine fossile – che nel 2020 ha coperto il 40,5% dei consumi energetici lordi, mentre le fonti energetiche rinnovabili rappresentano di gran lunga la componente principale di origine nazionale (gra.2).

Gra. 2 – Fonti del consumo energetico lordo dell’Italia nel 2020

(Elaborazioni su dati MiSE, Il bilancio energetico nazionale 2020.)

Il metano è una fonte energetica di primaria importanza anche per la sua versatilità (gra 3); infatti, è prevalentemente distribuito in rete, ma contribuisce anche alla produzione di circa la metà dell’elettricità (gra. 4) ed a produzioni industriali.

Gra. 3 – Utilizzo del metano in Italia nel 2020

(Elaborazioni su dati MiSE, Il gas distribuito alle regioni 2020)

Gra. 4 – Fonti di produzione dell’elettricità in Italia nel 2020

(Elaborazione su dati ARERA, Relazione 2021, pag. 84.)

Proprio sul gas naturale l’Italia sconta una fortissima dipendenza dalla Russia, che nel 2020 ci ha fornito ben il 42,9% del metano importato, notevole è anche il ruolo dell’Algeria; si noti la fortissima concentrazione dei fornitori, visto che i primi cinque hanno soddisfatto il 93,3% della domanda (gra. 5).

Gra. 5 – Quote di mercato dei fornitori del gas naturale importato dall’Italia nel 2020

(Elaborazioni su dati MiTE, La situazione energetica nazionale 2020.)

Nel caso della Russia e dell’Algeria fa premio la disponibilità di gasdotti, che consentono un trasferimento economico della risorsa dal paese di produzione all’Italia. Per la stessa ragione e per la ricchezza dei suoi giacimenti, la Libia potrebbe essere un partner più importante dell’Algeria, se non fosse dilaniata da una guerra civile di cui non si vede la fine, complicata da appetiti economici e geopolitici di numerose nazioni.

Specialmente l’Algeria, ma anche Quatar e Norvegia, possono incrementare le forniture di gas naturale all’Italia, ma coprirebbero una fetta relativamente modesta delle attuali forniture russe. Da altri fornitori c’è poco da aspettarsi, in termini sia di disponibilità, che di qualità, che di costo della risorsa. L’Italia dovrebbe dunque puntare su un incremento della produzione nazionale da energie rinnovabili, quantomeno per coprire la metà circa di produzione elettrica oggi affidata al metano fossile.

Nel medio termine (quattro o cinque anni), considerati gli aspetti amministrativi, progettuali e tecnici, un notevole incremento della produzione elettrica da rinnovabili si può ottenere specialmente dal fotovoltaico, dall’eolico e, in misura minore, dalle biomasse, mentre per l’idroelettrico ed il geotermico i margini di incremento sono modesti (fig. 6).

Gra. 6 – Composizione della produzione elettrica da energie rinnovabili in Italia nel 2020

(Elaborazioni su dati MiTE, La situazione energetica nazionale 2020.)

Per l’Italia la rinuncia immediata al gas naturale russo determinerebbe un tracollo economico di proporzioni difficili da calcolare, ma sicuramente a due cifre, che vanificherebbe la manovra espansiva affidata al PNRR, la quale – è bene ricordarlo – si regge su circa 170 miliardi di euro di nuovo debito.

Esaminando i consumi energetici da petrolio, troviamo una situazione molto diversa rispetto a quella del gas naturale; infatti, il numero dei fornitori dell’Italia è meno concentrato: i primi cinque nel 2020 hanno coperto il 68,4% del greggio importato (gra. 7)

Gra. 7 – Quote di mercato dei fornitori di petrolio greggio importato dall’Italia nel 2020

(Elaborazioni su dati MiTE, La situazione energetica nazionale 2020.)

Relativamente al greggio, il peso delle forniture russe nel 2020 è stato importante, ma non schiacciante ed è rimpiazzabile da altri fornitori. Per il successo di questo “gioco” sono importanti gli aspetti economici e ancora di più quelli geopolitici. Faccio l’esempio del petrolio iraniano: nel 2015 l’Italia non ha acquistato nulla da quel paese, nel 2016 ha acquistato 2,4 Mt (milioni di tonnellate), nel 2017 9,3 Mt, nel 2018 6,0 Mt, nel 2019 e nel 2020 di nuovo zero. Considerato che nel 2020 abbiamo acquistato 10,0 Mt dall’Azerbaigian, si capisce come la possibilità di sostituire immediatamente le forniture russe di greggio sia legata più al consenso od al veto degli USA, che a ragioni economiche o tecniche.

26 Aprile 2022 0 Commento
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Sociale

VIVA IL 25 APRILE

di Vincenzo NOTARANGELO 25 Aprile 2022
Scritto da Vincenzo NOTARANGELO

Per ricordare che la libertà e la democrazia che abbiamo e la pace ed il benessere di cui godiamo “è il fiore del partigiano, morto per la libertà” …

25 Aprile 2022 0 Commento
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Politica

SIAMO REALISTI, LOTTIAMO PER LA PACE

di Gianni PRINCIPE 15 Aprile 2022
Scritto da Gianni PRINCIPE

Riflessioni attorno alla tesi dell’inevitabilità della guerra in Ucraina

[Nei giorni in cui i credenti festeggiano la Resurrezione e gli antifascisti la Liberazione]

Il prezzo che Gran Bretagna e Francia, alla fine della Prima Guerra Mondiale, hanno imposto con il trattato di Versailles agli sconfitti, soprattutto alla Germania, è stato ritenuto in sede di ricostruzione storica un errore, che ha avuto il suo peso nel determinare la crisi sociale e politica della Repubblica di Weimar. Crisi su cui si è innestata la presa del potere da parte dei nazionalsocialisti.

Di questa valutazione nessuno si è mai sognato di pensare che potesse essere un modo per attenuare, o addirittura giustificare, gli orrori del nazismo. È stata piuttosto di insegnamento, alla caduta del nazifascismo, nel momento in cui si chiudevano i conti con le nazioni che si erano rese responsabili degli orrori che sappiamo. La storia precedente era stata maestra.

La Germania è stata divisa e ha subito una limitazione di sovranità, un prezzo che in altra forma e con diversi sviluppi è stato pagato anche dall’Italia e dal Giappone: tuttavia non possono esservi dubbi sul fatto che il trattamento non è paragonabile a quello riservato alla stessa Germania, all’Austria e all’Ungheria nel 1918. La nascita dell’ONU e il varo della Dichiarazione Universale stavano a segnare un’idea di assetto mondiale ben diversa rispetto al precedente dopoguerra.

Oggi molti studiosi, della storia contemporanea e delle dinamiche geopolitiche, convergono su un giudizio critico attorno al modo in cui, alla conclusione della guerra fredda, è stato impostato il rapporto con gli stati dell’ex Unione Sovietica e in particolare con la Russia. Al centro delle analisi critiche vi sono le scelte delle amministrazioni che si sono susseguite alla guida degli USA quanto all’aspirazione a svolgere un ruolo egemonico, come potenza economica e militare, in un mondo che ritenevano tendesse a un assetto unipolare. Il rapporto con la Russia ha occupato in questa visione un posto centrale, non tanto per la sua dimensione economica quanto per il fatto di essere l’unica potenza che disponeva di un arsenale nucleare paragonabile a quello USA.

A differenza del precedente che ho richiamato all’inizio, queste valutazioni non sono state accolte come un monito, non hanno inciso sulle scelte. E ora che ci si trova difronte alla tragedia ucraina e agli orrori che stanno costellando l’invasione da parte della Russia di uno stato sovrano confinante, chi osa richiamarle è accusato di condiscendenza, se non di complicità, verso quegli atti criminali. Il fatto che la guerra sia stata decisa e mossa da Putin significa che era sua intenzione farla. Il fatto che la guerra sia in corso significa che l’unica prospettiva perché non si concluda con una resa di chi subisce l’invasione è che l’invasore sia sconfitto. Se le cose stanno in questo spazio angusto, in cui la libertà di scelta tra alternative è esclusa, a che pro riandare alla storia di trenta e più anni fa? Si fa solo il gioco del macellaio criminale.

Un’ampia parte del mondo, pur non appoggiando l’invasione, non accetta questo assunto. Che, nel cosiddetto mondo occidentale, è condiviso da tutti i governi, uniti nell’agire in base ad automatismi derivati dal postulato privo di alternative che ho sintetizzato: più sanzioni per fiaccare l’aggressore, più armi per aumentare la capacità di reazione dell’aggredito, pronti a una escalation se l’aggressore alza il livello dell’offensiva. Come andrà a finire? Non si sa, ma non si può fare altro.

Anche nel mondo occidentale però i popoli, gli uomini e le donne che assistono a questi eventi – e ne subiscono le conseguenze – non sono molto convinti del postulato: un’ampia area reagisce chiedendo che si cambi strada e si lavori per la pace. Ma come?

Se la persona che in questo momento occupa il vertice della maggiore potenza mondiale (o quanto meno di quella che ambisce o presume di esserlo), Joe Biden, l’”anziano del villaggio” globale, avvertisse la responsabilità di rappresentare non solo i suoi (potenziali) elettori ma il futuro dei suoi simili, dovrebbe passare il suo tempo ad arrovellarsi sulla risposta a questa domanda.

Forse è troppo pretendere che abbia le qualità, oggi rare a vedersi, di visione lungimirante di un altro “anziano del villaggio” come Bergoglio, che stigmatizza la guerra in corso come una pazzia, non avendo né divisioni corazzate da convertire al peacekeeping né testate nucleari da smantellare. Ci si dovrebbe però aspettare da lui e dalla sua schiera di consiglieri almeno l’ambizione di dimostrarsi davvero leader a livello globale e non guardiani e tutori, passivi, di interessi distruttivi.

Tra l’altro, se drizzasse le orecchie per cogliere le voci, forse troppo poco stentoree, del coro, forse ancora troppo sguarnito, di chi persegue la pace come obiettivo che davvero non ha alternative, troverebbe qualche idea di soluzione di una certa corposità. Dovrebbe però alzare lo sguardo verso un orizzonte più lontano e più alto. O, magari, ripercorrere l’elenco delle motivazioni in base a cui è stato assegnato qualche recente premio Nobel per la pace.

Provate a immaginare un Presidente USA che una mattina parlasse alla sua nazione e al mondo dicendosi disposto ad aprire una trattativa, nel momento in cui Putin arrestasse le sue armate, non solo per assicurare uno status internazionalmente garantito alla neutralità e all’integrità territoriale dell’Ucraina e all’autodeterminazione del suo popolo, ma per lavorare a una revisione profonda dello statuto dell’ONU in direzione di un suo potere di interdizione e di sanzione effettivo e – udite, udite – allo smantellamento contestuale, sotto il controllo dell’ONU, di tutti gli arsenali nucleari. Una prospettiva che – va da sé – renderebbe qualunque alleanza militare superflua, anzi alternativa e incompatibile con il ruolo dell’ONU. Che lo facesse spontaneamente, per primo, senza aspettare mosse altrui, sfidando tutti gli attori globali, a partire da Putin, a dare una risposta impegnativa.

Non so se sbaglio, ma ho l’impressione che un coro di commenti, di gente che conta, di seguaci del postulato senza alternative, bollerebbe questa idea come pura utopia, illusione infantile. Eppure, a ben vedere, poiché si tratta di immaginare un gesto autonomo, non soggetto ad alcuna condizione esterna, che porrebbe ogni altro interlocutore nella condizione di dover accettare la sfida o, altrimenti, andare contro il sentire delle grandi masse, considerarla pura utopia ha un significato che il bimbo della favola del re nudo coglierebbe con chiarezza. Siamo nelle mani di re, a partire da quello della nazione più potente, che non hanno uno straccio di idea su come garantire un futuro accettabile per l’umanità di cui si ergono a guida. Per questo non sono portatori neanche di una qualche idea per porre fine all’attuale massacro di un popolo fermando chi ne è responsabile, se non una sua continuazione, e probabile estensione, fino alla vittoria di uno dei contendenti senza alcuna possibilità di prevederne la durata e le conseguenze.

Eppure, ai ciechi si dà la patente di realisti e a chi vede lontano di visionari.

15 Aprile 2022 0 Commento
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Cultura

DAL FOLKLORE AL SINFONISMO. VIAGGIO NEL TEMPO CON LA GUIDA DI ALEXIAN SANTINO SPINELLI

di Santino Alexian SPINELLI 12 Aprile 2022
Scritto da Santino Alexian SPINELLI

Al Teatro Sperimentale di Pesaro si è celebrata ieri la Giornata internazionale dei rom, sinti e caminanti con un evento artistico culturale originale e di grande spessore con musicisti rom professionisti e qualificati. Un concerto etno-sinfonico che ha segnato il passaggio storico della musica rom dal folklore al sinfonismo dopo 600 anni di presenza delle comunità romanès in Europa e in Italia.
Sul palco Alexian Santino Spinelli alla fisarmonica solista, e i suoi figli, Gennaro al violino solista, Giulia al violoncello ed Evedise all’arpa con l’Alexian Group, hanno interagito con i solisti dell’Orchestra Europea per la Pace e con l’Orchestra Sinfonica G. Rossini, diretta dal M° Nicola Russo.
Il valore culturale del progetto ha avuto anche un importante riconoscimento istituzionale con il video saluto del Direttore generale dell’UNAR, l’Ufficio nazionale Anti discriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Triantafillos Loukarelis e con il video messaggio di Musli Alievski presidente di Stay Human membro del Direttivo Nazionale dell’Unione Delle Comunità Romanès in Italia (UCRI), la più importante organizzazione di rom e sinti in Italia oggi.
La serata è stata anche l’occasione per ufficializzare il sostegno da parte di Pesaro Creative City UNESCO al riconoscimento della Musica Rom come Patrimonio Immateriale dell’Umanità: sul palco insieme al presidente dell’ Orchestra Sinfonica Rossini Saul Salucci ha portato i saluti dell’amministrazione comunale il vice sindaco e Assessore alla Bellezza Daniele Vimini.

Santino Spinelli, in arte Alexian, è un Rom italiano di antico insediamento, musicista, compositore, docente universitario, poeta, scrittore e saggista, recentemente nominato Commendatore dal Presidente Sergio Mattarella, in virtù della sua instancabile opera di diffusione della cultura romanì, ha condotto il pubblico in un viaggio suggestivo, tra suoni e parole, sulle tracce di un popolo millenario.
Dopo l’esecuzione dell’inno delle popolazioni Rom, “Gelèm Gelèm”, il concerto è proseguito con le musiche composte da Alexian Santino Spinelli, oltre che con l’esecuzione sinfonica di brani rom celebri. Il momento più toccante del concerto è arrivato con il “Melologo”, brano del violinista e membro dell’Orchestra Rossini Marco Bartolini, composto appositamente per l’occasione, un connubio di musica e poesia in cui Spinelli ha decantato, in lingua italiana e romanì, le poesie da lui scritte “Auschwitz”, “Per non dimenticare” e “Fiore della Morte” a commemorare il Samudaripen, lo sterminio di oltre 500.000 Rom e Sinti vittime del nazifascismo.

L’evento ha partecipato all’iniziativa “Lo spettacolo dal vivo a sostegno dell’Ucraina”, promossa dal Consorzio Marche Spettacolo, per sostenere le popolazioni ucraine colpite dalla guerra, in collaborazione con l’UNHCR. Il concerto era inserito nel cartellone di Sinfonica 3.0, la stagione invernale organizzata dall’Orchestra Sinfonica G. Rossini, insieme all’Assessorato alla Bellezza del Comune di Pesaro e all’azienda Xanitalia.
Il concerto ha avuto come sostenitori il Meeting delle Etichette Indipendenti (MEI) di Giordano Sangiorgi, la NOVAGRO di Lanciano di Francesco Pace, l’Accademia dei sensi di Napoli, la Federazione Italiana Circoli Cinematografici (FICC), l’associazione Logos Cultura di Pescara, l’ Anpi di Lecce, Gli amici per UNESCO di Galatina e l’Unione delle Comunità Romanès in Italia (UCRI).

12 Aprile 2022 0 Commento
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