Nel novembre 1970 comincia in Cile un radicale processo di trasformazione politica, economica e sociale, portato avanti nel rispetto della legge e delle regole costituzionali.
La via cilena al socialismo, spiegava il neo eletto presidente Salvador Allende, contrapponeva alla dittatura del proletariato un “metodo pluralista, previsto dai classici del marxismo, ma finora mai applicato”, un metodo, che non è la democrazia borghese ma è un sistema di transizione al socialismo ove, nella legalità, le norme giuridiche risponderanno alle esigenze di un popolo che lotta per edificare una nuova società.
Iniziavano così 1.000 giorni di riforme: dalla espropriazione delle proprietà maggiori di ottanta ettari alla riforma agraria con sovvenzioni e sgravi per contadini e piccoli imprenditori. Si introduceva una sorta di tassa sulle plusvalenze e veniva avviato un programma di nazionalizzazione delle principali industrie private, delle banche, delle compagnie di assicurazione e di tutte quelle attività che condizionavano lo sviluppo economico e sociale del paese: energia elettrica, trasporti ferroviari, aerei e marittimi, comunicazioni, siderurgia, industria del cemento, della carta.
Contemporaneamente si stabiliva l’aumento dei salari e delle pensioni minime, il prezzo fisso del pane, la garanzia per legge di mezzo litro di latte per ogni bambino, l’elargizione gratuita di cibo, la riduzione degli affitti ed, ancora, provvedimenti a favore dell’emancipazione delle donne, incentivi contro l’analfabetismo, l’istruzione e le cure mediche di base alla fascia più povera della popolazione ed un programma per ridistribuire la ricchezza a vantaggio degli indigenti, tra cui gli amerindi Mapuche. Dirà a riguardo l’allora segretario di Stato americano Henry Kissinger “Non vedo alcuna ragione per cui ad un paese dovrebbe essere permesso di diventare marxista soltanto perché il suo popolo è irresponsabile. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli”.
Il sogno di eguaglianza si spezza quasi 3 anni dopo, era l’11 Settembre 1973, quando le forze armate cilene, con l’aiuto degli USA, guidarono una sanguinosa “restaurazione reazionaria” che avrebbe prodotto un profondo cambiamento del tessuto economico-sociale e culturale del paese all’insegna delle teorie ultraliberiste di un gruppo di economisti raccolti intorno alla figura di Milton Friedman. Inizia un’epoca caratterizzata da brutali metodi repressivi e scelte quanto meno discutibili in materia economica che porteranno il Cile nel baratro più profondo.
Le dittature del Sudamerica ed, in particolare, quella cilena di Pinochet offrono una amara lezione per tutti, comprese per quelle forze e nazioni cosiddette democratiche che le hanno sostenute. Lasciarsi sedurre dalle promesse di ordine e patria dell’estrema destra porta a conseguenze catastrofiche, ieri come oggi.