EGUAGLIANZA  NELLA  POVERTÀ

di Vincenzo NOTARANGELO

L’Italia è una nazione solo per ricchi e benestanti. La povertà sempre più diffusa, non solo nelle tradizionali regioni del meridione, anche nelle aree più ricche. E per povertà estrema, non si intende solo la mancanza di reddito sufficiente, che la Banca mondiale fissa a 1,90 dollari al giorno, ma una situazione di vita in cui la maggior parte dei diritti dell’uomo sono

negati. Le famiglie italiane che vivono nella povertà assoluta sono quasi 2 milioni con oltre 5,5 milioni di individui coinvolti, mentre 1,5 milioni sono i bambini interessati. Lo stato sociale italiano si è dimostrato impotente rispetto al fenomeno perché pensato in un altro periodo storico dove le priorità erano alte. Infatti il nostro sistema di welfare assicura una tutela in presenza di determinate condizioni occupazionali (diminuzione o perdita del lavoro) o personali (inabilità al lavoro, eta avanzata, perdita del coniuge lavoratore) mentre non dedica particolare attenzione a tutta una serie di situazioni individuali (caro affitti, genitorialità ecc.) ugualmente meritevoli di sostegno. Eppure in passato alcune misure, si pensi al presalario, erano state pensate nella direzione giusta per dare sostegno ai bisognosi e garantire il c.d. ascensore sociale. In tempi più recenti il reddito di cittadinanza ha rappresentato lo strumento immaginato per contrastare la povertà dilagante. La sua abolizione, dopo solo 3 anni di sperimentazione, lascia sorpresi poiché rappresenta un indietreggiamento rispetto alla conquista ottenuta verificatosi nel più assoluto silenzio dei politici di ogni schieramento. Perché se i poveri sono sempre nei pensieri del Padre Eterno tanto da essere i primi nel regno dei cieli, sono anche gli ultimi nei pensieri della nostra classe politica. La crescita economica è stata a lungo considerato il grimaldello per rimuovere tutti i mali della società e, pertanto, la povertà si risolveva con la creazione di posti di lavoro che avrebbero eliminato l’indigenza. Tuttavia il lavoro non è più centrale nell’attuale società poiché i lavoratori, anche se a tempo indeterminato, non riescono a far fronte alle esigenze di vita; inoltre sempre maggiore è l’esercito dei precari malpagati e degli inoccupati e disoccupati. Ed allora, se la questione è reale, quali sono le ragioni del silenzio della sinistra in Italia? La risposta è nell’aver cercato di evitare l’etichetta di “assistenzialista” finendo per abbracciare tesi neo-liberiste, divenute dominanti in Italia con il berlusconismo, che vedono nella povertà un difetto del singolo che quasi si è procurato la condizione di difficoltà in cui versa. Oggi alla destra liberista ed antistatalista è subentrata una destra post-missina che si è definita per lungo tempo “destra sociale” ma che in sostanza, rinnegando la sua stessa origine ideologica, è indifferente al problema. La sinistra dovrebbe avere più coraggio e riappropriarsi delle sue ragioni fondative, tornando a proporre politiche laburiste e cattoliche a favore delle masse di poveri, indigenti e non abbienti. Serve con urgenza un modello di sviluppo che ponga l’inclusione sociale al centro della politica pubblica  italiana  perché l’attuale modello liberista ha mostrato tutti i suoi limiti. La priorità deve essere la promozione dell’uguaglianza. 

Autore

Potrebbe piacerti anche

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da parte di questo sito web.

?>