AMBIENTE  CONTRO  PAESAGGIO

di Rossano PAZZAGLI

Un pretesto per toccare (in silenzio) i principi fondamentali della Costituzione

È la prima volta che si mette a mano alla parte più importante della Costituzione Italiana, quella dei primi dodici articoli definiti Principi fondamentali. Nel 2022 il Parlamento con l’accordo di tutti i partiti ha infatti cambiato l’articolo 9 della Carta, e quasi nessuno lo sa.

La modifica tocca materie di grande rilievo come il paesaggio e l’ambiente, centrali nell’orizzonte culturale e politico del nostro tempo. Dunque, la Costituzione è stata cambiata nella sua parte fondamentale, per la prima volta nella storia repubblicana e senza coinvolgimento dell’opinione pubblica e della società in genere.  Prima al Senato della Repubblica e poi, in ultima lettura, alla Camera dei Deputati con 468 voti favorevoli, un solo contrario e 6 astenuti è stata approvata la legge costituzionale che ha modificato l’articolo 9 e l’articolo 41 della Costituzione repubblicana. Lo ha fatto aggiungendo un terzo comma all’articolo 9 della Costituzione.

L’articolo originario scritto nella Costituzione del 1947 era composto da due commi chiari e semplici da intendere:

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”

La modifica dell’articolo 9 consiste nell’aggiunta del comma seguente:

“[La Repubblica] Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

Inoltre all’articolo 41 – quello che riconosce la libertà e al tempo stesso le limitazioni dell’iniziativa economica privata – è stato aggiunto al secondo comma che l’iniziativa economica privata non può recare danno «alla salute» e «all’ambiente»; e al terzo comma, che l’attività economica pubblica e privata può essere indirizzata e coordinata a fini anche “ambientali”.

Tutto bene dunque? Potrebbe infatti sembrare che il richiamo costituzionale al valore della tutela ambientale, della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali sia da tutti apprezzato come ulteriore impegno della Repubblica. Eppure, non mancano le perplessità legate al rischio che questo passaggio istituzionale possa configurarsi come una sorta di atto di facciata, in linea con il generale greenwashing che sta investendo tanta parte dell’economia, della politica e della comunicazione; o che addirittura il nuovo articolo possa prefigurare un conflitto tra paesaggio e ambiente, generando complicazioni interpretative e una sorta di cedevolezza del paesaggio nei confronti dell’ambiente. Di sicuro desta preoccupazione come precedente che rompe un principio tacito ma radicato: l’intoccabilità dei primi dodici articoli della Carta.

Non sono mancate le voci risentite, qualcuno ha parlato di “manomissione” dell’articolo 9, mentre altri si sono chiesti: che bisogno c’era? Visto che la Costituzione, dopo la riforma del 2001 conteneva già un riferimento esplicito all’ambiente, precisamente nell’articolo 117 – quello che ripartisce le competenze legislative tra Stato e Regioni – che alla lettera s) riserva allo Stato la potestà legislativa sulla “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.

Non è male, insomma, interrogarci sulle reali motivazioni di questa modifica e sui suoi possibili effetti, sul perché il Parlamento abbia avvertito la necessità di essere così solerte nell’approvazione di una modifica che, in quanto approvata a larga e qualificata maggioranza, non ha avuto nemmeno bisogno del passaggio popolare del referendum confermativo, come invece è avvenuto per la riforma di altre parti della nostra Costituzione.

Perché, infine, i politici sentono più spesso l’urgenza di modificare la Costituzione anziché impegnarsi per attuarla?  Se lo chiedeva autorevolmente anche Liliana Segre nel discorso di insediamento del Senato della Repubblica dopo le elezioni del 25 settembre 2022: “Naturalmente, anche la Costituzione è perfettibile – ha detto la senatrice a vita – e può essere emendata (come essa stessa prevede all’articolo 138), ma consentitemi di osservare che se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione – peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi –  fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice”.

L’effettiva attuazione dell’articolo 9 avrebbe dovuto essere l’obiettivo prioritario, non la sua modifica.

Quell’articolo non fu scritto da un giorno all’altro, ma fu il prodotto di un dibattito importante in seno alla prima commissione dell’Assemblea costituente: come ogni altro articolo dei Principi fondamentali, era il frutto di una profonda riflessione sull’Italia che si voleva costruire dopo la lunga parentesi del fascismo e della guerra. Qui invece nessun dibattito pubblico, poca o nulla informazione. Non vogliamo mettere in discussioni le buone intenzioni della riforma, perché è chiaro a tutti che quella ecologica è una grave e grande questione, non solo italiana ovviamente, ma planetaria. Quindi è bene ribadire la necessità della tutela dell’ambiente. Ma cosa la ostacolava? Perché si è voluto cambiare la Costituzione?

La modifica sembra ispirata a una concezione della tutela dell’ambiente tutta declinata in chiave di “transizione ecologica”, nozione indefinita e equivoca, dietro la quale si cela una nuova, pretesa, rivoluzione industriale, all’insegna della crescita e della competizione, cioè concepita nell’ambito dello stesso modello che ha generato la crisi ambientale che si vorrebbe risolvere.

Non a caso il ministro Roberto Cingolani, primo fautore di questa visione ipocritamente ecologica e industrialista, si è affrettato a definire la data della definitiva modifica dell’art. 9 come “giornata epocale”.   

Intanto, il rischio è che questo cambiamento depotenzi la tutela del paesaggio o che, in una in una malintesa concezione dei due termini, ambiente e paesaggio entrino in contrasto tra di loro (si pensi ad esempio alla forsennata realizzazioni di impianti energetici nelle campagne), ingenerando appunto una confusione interpretativa che potrebbe andare a incrinare la lunga e ormai secolare tradizione italiana di tutela del paesaggio, inteso non soltanto come bellezze naturali, quindi in una accezione estetica, ma anche come risorsa apicale e fattore di identità nazionale.

Autore

  • Rossano Pazzagli è professore all’Università del Molise, dove insegna Storia moderna e Storia del territorio e dell’ambiente. Direttore della Scuola di Paesaggio “Emilio Sereni presso l’Istituto Cervi, è anche vicepresidente della Società dei Territorialisti e fa parte dell’Officina dei Saperi.

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