L’URBANISTICA  DI  TERMOLI

di Pino D'ERMINIO

Panoramica

La città di Termoli non ha una forma, un impianto, un disegno che rifletta un’intenzione ed una logica urbanistica. Essa è caratterizzata da un totale disordine edificatorio. Una città frammentata, dispersa in più insediamenti edilizi, scollegati gli uni dagli altri. Una città insensata, nel senso letterale di priva di senso, che non sia quello dello sfruttamento del territorio secondo le esigenze dei costruttori ed a volte secondo il caso. È la Termoli che si è sviluppata in particolare a partire dagli anni ’70 del XX secolo, complice un improvviso potente incremento demografico, dovuto alla creazione del nucleo industriale di Termoli e di quello di San Salvo, che ha portato al raddoppio dei residenti, dai 15.659 del 1971 ai 30.255 del 2001. L’incremento demografico è proseguito fino al 2015, quando si è raggiunto il massimo di 33.739 residenti, dopo di che è iniziato un lento declino, fino ai 31.980 residenti del 2023.

Eppure la città si era dotata di un P.R.G. progettato per 54.000 abitanti, adottato nel 1971 ed approvato nel 1972, aggiornato con una Variante Generale, adottata nel 1975 ed approvata nel 1977, tutt’ora vigente. Nuove ipotesi di variante al P.R.G. sono state proposte nel 1990, nel 1995, nel 2003 e nel 2005, senza arrivare a conclusione, con un’ipotesi addirittura di 128.000 residenti. Com’è possibile che il P.R.G. non abbia funzionato?

Fino al 2009 il grimaldello principale utilizzato dalla speculazione edilizia è stato quello delle riclassificazioni, complici gli amministratori cittadini e regionali. Ai costruttori che chiedevano di modificare (riclassificare) la destinazione d’uso di un terreno, ad esempio da verde pubblico a residenziale o da agricolo a ricettivo, il Comune metodicamente non rispondeva; decorsi i termini di legge, l’istanza passava alla Regione che nominava un commissario ad acta, il quale nella quasi totalità dei casi approvava la riclassificazione. Il costruttore otteneva il suo scopo e l’amministrazione comunale non si assumeva la responsabilità della riclassificazione.

In sede di Conferenza Stato-Regioni, il 31 marzo 2009 è stata raggiunta un’intesa, c.d. “Piano Casa 2”, finalizzata ad incentivare l’edilizia, che ha consentito alle Regioni di approvare norme temporanee (durata massima 18 mesi) per migliorare la qualità architettonica e l’efficienza energetica degli edifici, in cambio di incrementi delle cubature. I Piani Casa regionali, benché inizialmente temporanei, sono stati prorogati più volte dalle Regioni. In Molise, grazie alla legge regionale 30/2009 (Piano Casa Molise), entrata in vigore dal 2010, non solo è diventato possibile incrementare a dismisura (fino al 90%) le cubature o le metrature, ma anche variare la destinazione d’uso delle aree, indipendentemente da quanto previsto dagli strumenti urbanistici comunali. La Regione Molise è stata quella fra tutte che ha prorogato più a lungo il Piano Casa, tanto che è dovuta intervenire la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 163 del 19 aprile 2023, che ha dichiarato incostituzionale l’ennesima proroga al 31/12/2024, disposta con la legge regionale 7/2022, art. 6 – commi 2 lettera a), 3, 6 lettere b) e d), numeri 1) e 2), 11 lettere b) e c), 12 lettera d) e 14 (lettera b) – e art. 8 – comma 1.

Un altro sistema largamente adottato è quello di eludere il DM 1444/1968 per quanto attiene alle aree standard da cedere al Comune per il verde, i parcheggi ed i servizi pubblici. Il decreto stabilisce che le aree standard devono essere contigue a quelle di edificazione, tranne i casi in cui ciò sia materialmente impossibile, tipicamente nei centri storici. Nella prassi corrente del Comune di Termoli il DM 1444/1968 viene disapplicato, consentendo anche in zone di espansione la monetizzazione delle aree da cedere, oppure accettando la cessione di aree ubicate in tutt’altra zona della città, vanificando lo scopo della norma, che è quello di garantire uno sviluppo equilibrato e confortevole degli insediamenti urbani.

Appare necessario avviare la progettazione di un nuovo P.R.G., che ponga rimedio, per quanto possibile, all’attuale caos edilizio di Termoli e favorisca la ricucitura dell’abitato.

Il Paese Vecchio

Da alcuni decenni il Paese Vecchio è sparito dalla toponomastica cittadina, sostituito da un improbabile Borgo Antico. Il sostantivo “borgo” è assente dalle parlate meridionali e tipico del centro-nord. Quanto all’aggettivo “vecchio”, esso sarà sembrato disdicevole, in quanto associato a cosa spregevole e malandata. Eppure a Firenze nessuno pensa di ridenominare Palazzo Vecchio o Ponte Vecchio. Cambiare nome ai luoghi non è un fatto neutro, ma ne muta il significato storico. Ribattezzare Borgo Antico il Paese Vecchio è un segno del basso livello culturale di coloro che hanno amministrato Termoli nel recente passato e che continueranno a farlo, almeno nel prossimo futuro.

L’agglomerato del Paese Vecchio ha avuto la sua fioritura nel XII e XIII secolo, periodo al quale risalgono i due più importanti monumenti cittadini: la Cattedrale, in stile romanico pugliese, ed il Castello Svevo, edificato all’epoca di Federico II, probabilmente ampliando un torrione normanno parallelepipedo a pianta quadrata, poi integrato in una sezione inferiore troncoconica. L’insediamento sorgeva su un promontorio che era quasi un’isola, visto che dal lato di terra (sud) esisteva il Canale Portiglione (nei secoli colmato con terra di riporto). Le difese del paese erano completate da un muro di cinta sul versante sud, che si è conservato, e da una serie di torri, di cui resta quella ora detta Belvedere ed alcuni resti della Torre Tornola.

Nel XX secolo il Paese Vecchio ha assunto sempre più una connotazione popolare, che ha avuto il suo culmine negli anni ’70, in cui il quartiere risultava estremamente degradato. Con gli anni ’80 si è avviato un processo di recupero urbano, sostenuto anche da contributi comunali, che ha determinato un risanamento edilizio, benché filologicamente poco rispettoso, e la trasformazione del quartiere da trascurato e popolare a principale richiamo turistico urbano, dotato di attività ricettive, di ristorazione e di bar-gelaterie.

Nell’ambito del citato recupero urbano si è realizzato un inappropriato rifacimento della pavimentazione, sostituendo l’esistente pavé in porfido rosso con lastre in pietra di Apricena, forse ritenute più “medievali”, che hanno il non trascurabile difetto di diventare estremamente scivolose quando piove. L’amministrazione comunale ha successivamente cercato di ridurre il problema sbuccellando la pavimentazione, con esito nullo.

Il Paese Vecchio ha subito due pesanti interventi peggiorativi, uno all’inizio del XX secolo e l’altro all’inizio del XXI, che hanno ormai cancellato la natura di promontorio proteso nel mare del sito. Il primo deriva dalla costruzione del porto, dove il molo di sopraflutto (cd. Nord) è stato inserito alla punta del promontorio e sviluppato verso est, successivamente ingrandito ed allungato, con la conseguenza che l’area ai piedi del Paese Vecchio da quel lato si è interrata ed ora è occupata dalle strutture portuali. Tale scelta risulta scellerata non solo dal punto di vista paesaggistico, ma anche funzionale, perché l’imboccatura del porto (ora modificata a seguito degli ampliamenti) obbligava ad entrare e ad uscire esponendo il bordo delle imbarcazioni a nord-ovest, dunque al maestrale, vento prevalente a Termoli e spesso impetuoso, il che ha causato alcuni naufragi. Sarebbe stato opportuno incardinare il molo di sopraflutto dove oggi è collocato quello di sottoflutto (cd. Sud), godendo della protezione dal maestrale offerta dal promontorio stesso.

L’intervento peggiorativo recente è doppio. Per prima cosa, alla base del muraglione del Paese Vecchio ancora a perpendicolo sul mare (lato ovest), si è deciso di realizzare una passeggiata, larga una decina di metri, quando poteva eventualmente realizzarsi una meno invasiva passerella ancorata agli scogli, larga al massimo un paio di metri. Per seconda, a metà del lato ovest dell’ex promontorio è stato collocato ortogonalmente un pennello di scogli, che ha causato l’insabbiamento dell’area retrostante, mentre in precedenza il bagnasciuga arrivava all’altezza del Castello.

Il centro città

All’attuale centro città venne dato un impianto urbanistico tra la fine del IXX e l’inizio del XX secolo secondo i principi della città romana, ordinata sul cardo (nord-sud) e sul decumano (est-ovest), ancorché l’area interessata non fosse quadrangolare, bensì un triangolo isoscele, avente come ipotenusa la linea ferroviaria e come cateti, a nord e ad est, i due litorali. Nel 1901 a Termoli si contavano poco più di 5.000 abitanti, che nel 1921 erano saliti a quasi 6.000, le case erano al massimo a tre piani fuori terra e la motorizzazione di massa era di là da venire. L’impianto viario – ordinato ed ortogonale – è stato realizzato con una larghezza che oggi appare modesta, mentre all’epoca sembrava perfino esagerata, tanto che le strade principali vennero denominate “corso”. Il reticolo stradale tracciato più di un secolo fa è oggi fortemente limitativo della circolazione veicolare, più ancora che della possibilità di parcheggiare. A seguito dell’impennata demografica, si è pensato di incrementare la disponibilità di parcheggi in Centro restringendo la larghezza dei marciapiedi dei “corsi”. Tale provvedimento si è rivelato insufficiente per quanto attiene i parcheggi ed indifferente per la circolazione.

La dotazione edilizia del Centro è stata pesantemente incrementata, sempre a partire dagli anni ’70 del XX secolo, con interventi paesaggisticamente ed architettonicamente scandalosi. Il massimo del peggio si è raggiunto con Palazzo Narducci, uno scatolone di 12 piani fuori terra, che si affaccia su Piazza Vittorio Veneto (per i termolesi Piazza Monumento), che è la piazza principale della città, racchiusa tra edifici a tre piani fuori terra. Le difficoltà di traffico e di parcheggio in Centro si sono acuite con l’incremento delle volumetrie e del numero dei residenti, ma specialmente in conseguenza dell’afflusso periodico di residenti nei quartieri periferici e di turisti, che si recano in Centro dove sono massicciamente localizzati i bar, i servizi di ristorazione e le strutture ricettive.

Di recente è stato promosso ed avviato in finanza di progetto un intervento che prevedeva la realizzazione di una galleria stradale dal porto all’inizio del litorale nord e la demolizione del colle del Piano di Sant’Antonio fin sotto al Municipio e del fabbricato fatiscente edificato nel 1982 ai piedi del Pozzo Dolce, per realizzare al loro posto un complesso edilizio polifunzionale, da adibire per metà, tutta sotterranea, a parcheggio pubblico a rotazione, dato in concessione per 30 anni al promotore, e, per l’altra metà, affacciata verso il mare, da dare in “comodato d’uso perpetuo” al promotore, dove realizzare 10 appartamentini ricettivi, esercizi commerciali, box e parcheggi privati, ed infine, sul Pozzo Dolce, un teatro con 780 poltrone. L’intervento è stato fatto proprio dalla successiva  amministrazione comunale, con esclusione del tunnel. L’intervento – che fino ad ora non si è realizzato per motivi che qui non mette conto illustrare – è ancora in predicato e verrà probabilmente riproposto dalla nuova sindacatura, che ha stravinto le comunali dell’8 e 9 giugno 2024, in dichiarata continuità con la sindacatura precedente.

L’intervento cosiddetto di “rigenerazione urbana” del Piano di Sant’Antonio e del Pozzo Dolce (area al piede), se realizzato, costituirebbe un Grande Scempio, che deturperebbe in modo irreversibile uno dei punti più significativi di Termoli, dal punto di vista paesaggistico e storico, amputando il colle del Piano di Sant’Antonio, che verrebbe abbassato da 20 m s.l.m. a 4 m. Questo crimine paesaggistico ed urbanistico viene propagandato come la soluzione dei problemi di parcheggio in Centro; invece, se realizzato, non solo non migliorerà la parcheggiabilità, ma peggiorerà anche la gestione del traffico, in quanto il nuovo parcheggio a rotazione e le attività ricettive, commerciali e ricreative funzioneranno da attrattori di maggiore traffico veicolare, aggravando una situazione già critica.

Il Centro può essere reso più vivibile e meno inquinato, non incrementando, ma limitando l’afflusso veicolare, creando una ZTL. La possibilità delle persone di accedere al Centro sarebbe comunque consentita e addirittura favorita, creando una cintura di parcheggi pubblici a rotazione multipiano in aree immediatamente contigue ad esso. Un’area idonea è quella di Piazza Donatori di Sangue, dove anche l’amministrazione Roberti ha ipotizzato la realizzazione di un multipiano su un’area attualmente adibita a parcheggio a raso per circa 130 autoveicoli. L’opera che si vorrebbe realizzare è su tre livelli (interrato, piano terra e lastrico solare), con la capienza di 244 stalli. In tal modo l’incremento netto di parcheggi sarebbe soltanto di 114 stalli. Se invece l’opera venisse realizzata su cinque livelli (due sottoterra, due fuori terra ed il lastrico solare) si creerebbero 408 stalli, con un incremento netto di 278 parcheggi, rispetto all’attuale. È utilizzabile inoltre l’area lungo Viale Trieste attualmente occupata dai binari ferroviari 7 ed 8, di cui si prevede la dismissione. Qui sarebbe possibile realizzare un nuovo parcheggio su tre livelli, in grado di accogliere almeno 400 veicoli, dal quale si raggiungerebbe immediatamente il Centro attraverso l’esistente sottopasso ferroviario. In aggiunta alla realizzazione di parcheggi in aree immediatamente contigue al Centro, bisognerebbe riorganizzare, potenziare ed incentivare il trasporto pubblico locale, oggi poco utilizzato, perché male progettato e gestito con autobus in cattivo stato, alcuni dei quali di classe Euro 2 o 3, che quindi non potrebbero proprio circolare. Bisognerebbe altresì mettere a disposizione parcheggi scambiatori periferici, collegati con il Centro tramite navette.

Le periferie

Esse vanno migliorate rispettando, per le nuove edificazioni, la lettera e lo spirito del DM 1444/1968. Dal lato fisico, vanno approvati i progetti di ricucitura e limitati quelli ulteriormente espansivi dell’area urbana. Un ruolo decisivo deve assumere il trasporto pubblico locale, riprogettato, potenziato e munito di autobus adeguati, che colleghi con percorsi rapidi e frequenti le periferie con il Centro e tra loro, disincentivando l’uso dell’auto privata.

Un esempio di pessima lottizzazione è quella denominata “Il Faro”, autorizzata definitivamente nel 2021, che prevede la realizzazione in una zona artigianale-commerciale, in fondo a Via Corsica (porta sud di Termoli), di “piastre” commerciali, su due piani fuori terra di 13.859 mq e di 55.661 mc, sormontate da tre torri residenziali di 10, 12 ed 8 piani, per 16.158 mq e 50.089 mc, per 853 abitanti insediabili. La lottizzazione si è avvalsa delle deroghe e delle premialità consentite dal Piano Casa Molise, ma poteva comunque essere rifiutata dal Comune di Termoli per via dell’esorbitante carico urbanistico che il complesso eserciterà sulla rotatoria antistante, già sottoposta ad un intenso traffico, dove convergono Via Corsica, le statali Adriatica e Bifernina ed il casello dell’autostrada Bologna-Canosa.

Il verde pubblico

Termoli dispone di un parco comunale di 12,5 ha, contiguo al Centro, che occupa la parte finale del vallone solcato dal torrente Rio Vivo. Su parte della riva destra del torrente sono state realizzate attrezzature sportive, tra cui una nuova piscina olimpionica scoperta, costata 1,4 milioni (0,8 milioni di fondi del Comune e 0,6 milioni europei), data in gestione gratuitamente dal 30 marzo 2023 fino al 31 agosto 2041 a GTM srlu, nell’ambito di una finanza di progetto riguardante il trasporto pubblico locale ed altri interventi. Il gestore privato avrebbe dovuto realizzare la copertura della piscina, cosa che GTM non solo non ha fatto, ma che propone di limitare ad una tettoia aperta ai lati, il che consentirebbe l’uso dell’impianto solo nel periodo estivo. Molti anni fa, dopo gli impianti sportivi, è stato realizzato un teatro all’aperto, denominato Teatro Verde, che necessita di interventi di manutenzione e miglioramento del palco, retropalco e camerini, oltre che della sostituzione delle sedute della platea, da sempre scomodissime. Lungo la riva sinistra del torrente, GTM vorrebbe realizzare 300 nuovi parcheggi (di cui 220 a pagamento), in aggiunta ai 109 esistenti nel parco (tutti gratuiti), il che implicherebbe non solo una riduzione della superficie a verde, ma specialmente l’apertura al traffico veicolare della riva sinistra del torrente, oggi pedonale, salvo il tratto iniziale vicino al cancello di ingresso. Il parco, la cui cura è stata affidata sempre a GTM fino al 31 agosto 2041, è mal tenuto.

Il 30 giugno 2023 sono stati pubblicati i dati del censimento del verde pubblico urbano, dal quale risulta che il patrimonio arboreo consiste in poco più di 8.000 esemplari, di cui circa 1.700 (21%) si trovano nel parco, quasi 2.900 (36%) in giardini pubblici, circa 1.100 (14%) lungo le strade, circa 1.600 (20%) in aree di risulta (vegetazione spontanea) ed il restante 9% è sparso tra aree scolastiche, aiuole e rotatorie stradali. La media complessiva è di un albero ogni quattro abitanti. Il patrimonio arboreo cittadino andrebbe almeno raddoppiato, come andrebbero sviluppati i giardini pubblici di quartiere esistenti e creati di nuovi. Una “villa comunale” andrebbe ricreata sul Piano di Sant’Antonio, consentendo il parcheggio solo sul lato di Via Regina Margherita.

Il porto

L’area portuale è fuori dalla competenza amministrativa del Comune, tuttavia qualche cenno è d’obbligo per l’importanza che l’infrastruttura riveste per le attività di pesca e per il turismo, inclusi i collegamenti con le isole Tremiti. Il porto ha una profondità modesta, al massimo 4,6 metri, ed è classificato di III classe. Un significativo incremento come porto turistico si è avuto con la realizzazione da parte di un privato della Marina di San Pietro.

Un nuovo P.R.P. è stato approvato con la delibera di Giunta regionale n. 352 del 2 ottobre 2017, esso prevede uno sviluppo mastodontico, che comporta non solo l’ampliamento, ma anche il rifacimento quasi totale dell’impianto, fatta eccezione per il molo di sopravento, che verrebbe ulteriormente allungato e prenderebbe la forma di un grande arco. Nelle previsioni del nuovo P.R.P., questo dovrebbe funzionare non solo per le “tradizionali” attività di pesca e turistiche, ma sviluppare notevolmente anche il trasporto merci, che oggi ha un peso modesto. Tra le tante innovazioni, lascia molto perplessi quella di demolire la Marina di San Pietro, e di trasferire il porto turistico al molo di sopraflutti (cd. nord), con la motivazione che sarebbe esteticamente più bello fare ormeggiare di fronte al Paese Vecchio le imbarcazioni da diporto e non quelle da pesca.

Appare poco probabile che tale P.R.P. possa essere realizzato, sia per le sue dimensioni, che richiedono notevolissimi investimenti, sia perché non vengono spiegate le ragioni che renderebbero necessari tali investimenti e la connessione dell’infrastruttura tanto potenziata con l’economia locale.

Autore

  • Giuseppe (detto Pino) D’Erminio è nato a Termoli il 26 aprile 1950. È laureato in Economia e commercio. Fino al 2016 ha lavorato nel settore assicurativo, area marketing, presso direzioni di compagnie e come consulente. Ha aderito al Manifesto ed al Pdup, quando furono costituiti. Successivamente è stato delegato sindacale per alcuni anni nel Consiglio d’azienda dell’impresa dove lavorava. Negli ultimi anni ha collaborato e collabora tuttora con associazioni e gruppi civici.

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