LA SANITÀ TERRITORIALE SECONDO IL PNRR

di Pino D'ERMINIO

Linee generali

La Linea di intervento Assistenza Territoriale del PNRR (Missione 6, Componente 1) è stata presentata come un salto di qualità verso una sanità più vicina ed attenta alla comunità. Per l’Assistenza Territoriale

si prevede l’investimento di 7 miliardi in sei anni (2021-2026), su tre sottolinee: Case della Comunità (CdC), Ospedali della Comunità (OdC), Assistenza Domiciliare (AD). È sorprendente che gli investimenti approvati per le tre sottolinee siano radicalmente diversi da quelli indicati nella proposta di PNRR presentata alle Camere: l’investimento complessivo è rimasto invariato, ma le CdC sono scese da 4 miliardi a 2, gli OdC sono scesi da 2 miliardi ad 1, mentre l’AD è salita da 1 miliardo a 4.

Vediamo nel merito cosa prevede il decreto ministeriale del 23 maggio 2022, n. 77 (detto anche DM 71), che – in applicazione del PNRR – ha stabilito “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale”, pubblicato sulla GU del 22/06/2022, con entrata in vigore il 7 luglio.

L’assistenza territoriale fa capo al Distretto Sanitario, che è un’articolazione della ASL e serve un bacino «di circa 100.000 abitanti, con variabilità secondo criteri di densità di popolazione e caratteristiche orografiche del territorio.» «Nell’ambito delle risorse assegnate, il Distretto è dotato di autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria, con contabilità separata all’interno del bilancio della ASL.» Il Distretto dispone di una Centrale Operativa Territoriale (COT), funzionante 7 giorni su 7 e 24 ore su 24, affidata a 5-6 Infermieri ed 1-2 unità di supporto. La COT «svolge una funzione di coordinamento della presa in carico della persona e raccordo tra servizi e professionisti coinvolti nei diversi setting assistenziali».

L’assistenza domiciliare

L’assistenza domiciliare è stata introdotta nel 2000 (DPR 270/2000) e svolge l’importante compito di fornire a domicilio assistenza medica, infermieristica, fisioterapica ed di sostegno sociale. Essa può essere attivata a seguito di un ricovero (dimissioni protette), oppure a favore di soggetti fragili, affetti da patologie croniche. Le prestazioni di AD sono erogate da società in appalto, con la collaborazione del medico di assistenza primaria (cd. medico di famiglia), interfacciandosi con il Distretto Sanitario tramite il Nucleo Cure Primarie (NCP). Visto che l’AD è data in appalto, non si capisce chi e come dovrebbe beneficiare dei 4 miliardi di finanziamenti del PNRR.

Le Case della Comunità

Le Case della Comunità (CdC) dovrebbero rappresentare l’innovazione organizzativa e gestionale di maggiore impatto. Esse in realtà altro non sono che le Case della salute previste dalla Finanziaria 2007 (L 296/2006) e dal decreto attuativo del 10/07/2007 (Ministra Turco), dove c’è già tutto:

  1. «All’interno della struttura devono trovare collocazione gli studi dei Medici di Medicina Generale (MMG) e deve essere garantita la continuità assistenziale 7 giorni su 7 e per le 24 ore attraverso il lavoro in team con i medici di continuità assistenziale (MCA) [ex guardia medica, ndr] e di emergenza territoriale (MET) [ambulanze, ndr]»;
  2. «Sono parte integrante della Casa della salute gli ambulatori della Specialistica ambulatoriale. [affidati ai cd. Specialisti Ambulatoriali Interni (SAI), ndr]»;
  3. «Nella Casa della salute deve, inoltre, essere adeguatamente rappresentato il personale appartenente alle professioni sanitarie, con particolare riferimento a quello afferente alle aree della riabilitazione e della prevenzione.»;
  4. «Presso la Casa della salute deve essere presente un servizio di ambulanze per il pronto intervento sul territorio»;
  5. «Nella Casa della salute deve essere attivato l’ambulatorio infermieristico e l’ambulatorio per le piccole urgenze che non richiedano l’accesso al PS Ospedaliero.»;
  6. «[…] nella struttura deve essere presente lo Sportello Unico di Accesso all’insieme delle prestazioni ad integrazioni socio assistenziale.»;
  7. «In contiguità con lo sportello unico di accesso deve essere allocato il Centro Unico di Prenotazioni (CUP).»;
  8. «[…] l’organizzazione e la gestione del servizio di Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) è una delle funzioni che deve trovare allocazione all’interno della casa della salute.»;
  9. «La Casa della salute deve rappresentare il luogo della partecipazione democratica»;
  10. «Nella Casa della salute deve trovare implementazione la telemedicina e il teleconsulto».

Il decreto legge 158/2012 (Ministro Balduzzi) ha introdotto due nuove modalità organizzative, che potrebbero essere interpretate come alternative alle Case della salute oppure come un di cui delle stesse: le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) e le Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP). Nelle AFT possono riunirsi più medici di assistenza primaria, che lavorino a turno fornendo i servizi su archi temporali più ampi di quelli praticati negli studi medici singoli; nelle UCCP possono riunirsi medici SAI. Le AFT e le UCCP sono collocate in strutture comuni messe a disposizione ed attrezzate dalle ASL. La costituzione delle AFT e delle UCCP è su base volontaria ed i medici interessati sono parasubordinati convenzionati con le ASL.

Un’indagine del Servizio Studi della Camera, riferita al 2020, ha rilevato la presenza di 493 Case della salute, con realtà disomogenee tra le regioni per numerosità (se ne contavano 124 in Emilia Romagna e zero in Lombardia, Campania e Puglia), modalità organizzative e servizi forniti. Entro il 2026 le “nuove” Case della Comunità (CdC), alias le “vecchie” Case della salute, dovrebbero diventare 1.350, una ogni 40.000-50.000 abitanti (2 o 3 ogni Distretto). Nelle CdC è prevista la presenza medica 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, se sono hub (ad intensità medio-alta), e 12 ore su 24 e 6 giorni su 7, se sono spoke (ad intensità bassa); la presenza infermieristica è di 12 ore su 24, 7 giorni su 7, per le hub, e di 6 giorni su 7 per le spoke.

Gli Ospedali di Comunità

L’Ospedale di Comunità è stato introdotto dal DM 70/2015 (Ministra Lorenzin), che così lo descrive: «E’ una struttura con un numero limitato di posti letto (15-20) gestito da personale infermieristico, in cui l’assistenza medica è assicurata dai medici di medicina generale o dai pediatri di libera scelta o da altri medici dipendenti o convenzionati con il SSN; la responsabilità igienico-organizzativa e gestionale fa capo al distretto che assicura anche le necessarie consulenze specialistiche.» La funzione dell’OdC è di «Prende in carico pazienti che necessitano: di interventi sanitari potenzialmente erogabili a domicilio ma che necessitano di ricovero in queste strutture in mancanza di idoneità del domicilio (strutturale e familiare); di sorveglianza infermieristica continuativa.» La citata indagine del Servizio Studi della Camera ha rilevato l’esistenza nel 2020 di 163 OdC, con 3.163 posti letto. Secondo il DM 77/2022 dovrebbe esistere un OdC ogni 50.000-100.000 abitanti (ma il DM 20/01/2022 – attuativo del PNRR – ne prevede solo 400, uno ogni 150.000 abitanti circa), il personale dell’OdC è indicato in «9 Infermieri, 6 Operatori Sociosanitari, almeno 1-2 unità di Altro personale sanitario e un Medico per almeno 4,5 ore al giorno 6 giorni su 7

La presunta dicotomia tra ospedale e territorio

Nell’Assistenza Territoriale modello PNRR, che segue l’impostazione del 2007, c’è un grave difetto “ottico”; essa si basa sull’assioma che i servizi sanitari considerati “territoriali” e quelli ospedalieri costituiscano due realtà separate, se non addirittura contrapposte. C’è chi ha elogiato questa visione come la fine di un deleterio “ospedalocentrismo”. Un ospedale è costituito da strutture immobiliari, da attrezzature e macchinari biomedici e, prima di tutto, da personale – medico, infermieristico ed amministrativo – portatore di competenze sanitarie tra le più alte disponibili sul territorio. Questo avviene perché sull’ospedale convergono un gran numero di casi, a diversi stadi delle patologie. Il personale medico ed infermieristico ospedaliero gestisce non solo i ricoveri, ordinari o in acuzie, ed il pronto soccorso, ma anche gli ambulatori specialistici, sia per attività diagnostica, che per trattamenti in day hospital/surgery; di conseguenza, esso sviluppa una grande esperienza, sia diretta che attraverso lo scambio informale tra colleghi. Questo patrimonio di esperienze e di competenze andrebbe il più possibile integrato con gli altri servizi per la salute presenti sul territorio; invece l’Assistenza Territoriale riproposta nel PNRR lo ignora ed anzi lo ghettizza, puntando tendenzialmente ad escludere l’ospedale dall’attività ambulatoriale specialistica, relegandolo alla gestione dei ricoveri e del pronto soccorso. È sbagliato esternalizzare i servizi di diagnostica specialistica e di assistenza domiciliare – affidandoli a personale convenzionato, a strutture accreditate, a società in appalto – sperperando le sinergie che risulterebbero da una organizzazione diretta ed unitaria a livello del Distretto Sanitario. Il luogo di lavoro del medico e dell’infermiere dipendente della ASL deve essere l’intero Distretto Sanitario di appartenenza, non uno specifico ospedale. C’è infine una questione di giustizia sociale: garantire parità di trattamento tra il personale sanitario “ospedaliero”, dipendente della ASL, e quello “territoriale”, inquadrato come parasubordinato oppure dipendente da società private accreditate o appaltatrici.

Autore

  • Pino D'ERMINIO

    Giuseppe (detto Pino) D’Erminio è nato a Termoli il 26 aprile 1950. È laureato in Economia e commercio. Fino al 2016 ha lavorato nel settore assicurativo, area marketing, presso direzioni di compagnie e come consulente. Ha aderito al Manifesto ed al Pdup, quando furono costituiti. Successivamente è stato delegato sindacale per alcuni anni nel Consiglio d’azienda dell’impresa dove lavorava. Negli ultimi anni ha collaborato e collabora tuttora con associazioni e gruppi civici.

    Pino D'ERMINIO pino.derminio@gmail.com

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