l'Eguaglianza
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Aprile 2025

Editoriali

PRIMO MAGGIO 2025: IL CORAGGIO DELLA EGUAGLIANZA

di Vincenzo NOTARANGELO 30 Aprile 2025
Scritto da Vincenzo NOTARANGELO

Quest’anno il Primo Maggio, festa internazionale dei lavoratori, cade in un momento storico che ci impone di tornare con forza a parlare di uguaglianza. In un mondo in cui le disuguaglianze economiche, sociali e ambientali si stanno aggravando — anche a causa di nuove crisi geopolitiche, della transizione digitale e dei cambiamenti climatici — il senso di questa giornata non potrebbe essere più attuale e necessario.

I dati diffusi poche settimane fa dall’Oxfam parlano chiaro: nel 2025 l’1% più ricco della popolazione mondiale possiede quasi il 60% della ricchezza globale, mentre la povertà relativa è tornata a crescere anche nei Paesi occidentali, inclusa l’Italia. Le nuove forme di lavoro, tra piattaforme digitali e contratti precari, hanno minato la dignità lavorativa conquistata in decenni di lotte sindacali. Le lavoratrici e i lavoratori della logistica, della cura, del turismo — spesso migranti o giovani — continuano a essere invisibili, malpagati e senza tutele reali.

Eppure, a fronte di questa realtà, sentiamo ogni giorno raccontare che la crescita economica basta a risolvere ogni problema. Ma crescita per chi? E a quale prezzo per il pianeta, già stremato da disastri climatici che colpiscono sempre i più poveri?

Oggi più che mai il Primo Maggio deve essere un momento non di retorica, ma di rilancio politico e culturale. Dobbiamo affermare che uguaglianza non significa solo redistribuire il denaro, ma redistribuire il potere: il potere di decidere sui luoghi di lavoro, sul territorio, sul proprio tempo di vita. È ora di riaffermare il diritto a un salario minimo dignitoso, alla sicurezza, a un futuro per le nuove generazioni che non sia fatto solo di stage e contratti a termine.

Serve una sinistra che abbia il coraggio di ripartire dalle radici profonde del conflitto sociale, che sappia costruire coalizioni ampie tra lavoratori, studenti, precari, movimenti ecologisti e femministi. Perché senza giustizia sociale non ci sarà giustizia climatica, e senza giustizia climatica nessuna vera libertà.

Il 1° Maggio è una occasione per ricordare le lotte di chi ha conquistato diritti che oggi diamo per scontati. 

Tuttavia il Primo Maggio non deve essere solo una memoria: deve tornare a essere un progetto di trasformazione. Un giorno per ribadire che, come diceva Rosa Luxemburg, “chi non si muove, non sente le catene”.

Quest’anno, camminiamo insieme. Per l’eguaglianza. Per il lavoro. Per la vita.

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Sociale

SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA BRITANNICA: “LA DEFINIZIONE LEGALE DI DONNA È RIFERITA AL SESSO BIOLOGICO” 

di Anna Maria DI PIETRO 30 Aprile 2025
Scritto da Anna Maria DI PIETRO

Con una recente sentenza emessa all’unanimità da cinque giudici, il più alto Tribunale del Regno Unito ha stabilito che può definirsi donna solo chi lo è biologicamente, cioè dalla nascita, mettendo un punto, non tanto fermo, a un’annosa vicenda. 

Nel 2018, il Governo scozzese, interpretando la Equality Act, legge del 2010 sulle pari opportunità e contro ogni tipo di discriminazione, aveva stabilito che nei consigli di amministrazione degli enti pubblici doveva esserci una rappresentanza femminile pari al 50%, includendo nella percentuale anche le donne trans in possesso del GRC, il certificato diriconoscimento di genere, scatenando la reazione del collettivo femminista “gender critical” For Women Scotland, che si era opposto a tale decisione con un ricorso, ottenendo con questa sentenza, dopo vari gradi di giudizio, che le persone transgender vengano escluse da tutti quei contesti riservati alle donne, quali  bagni pubblici, spogliatoi, reparti ospedalieri, gare sportive, carcere femminile, ecc. Dunque, la Corte Suprema Britannica ha chiarito che il Parlamento di Edimburgo aveva male interpretato la legge del 2010, in cui i termini “sesso” e “donna” si riferiscono a una donna biologica e al sesso biologico, senza poter ricomprendere altro genere.

Nonostante le rassicurazioni di lord Patrick Hodge, vicepresidente della Corte, che ha garantito la tutela delle donne trans da ogni discriminazione, la decisione rappresenta un freno all’ideologia gender, un passo indietro per quei diritti conquistati a fatica in un percorso sempre a ostacoli. 

Al di là dell’esultanza delle femministe, che hanno visto accogliere la propria istanza, e del rammarico degli attivisti per i diritti Lgbt, vanno fatte alcune considerazioni.

Intanto, bisogna sottolineare una contraddizione. Poniamo il caso contrario, quello di una donna che ha completato la transizione diventando uomo: come dovrà orientarsi, nei vari contesti, visto che secondo la recente sentenza conta il sesso biologico e non l’identità acquisita? 

Il dibattito è ancora aperto, ma in generale bisogna riconoscere che, nella lotta per i diritti, le persone transgender sono sempre sotto i riflettori, più di altre, dovendo combattere doppiamente contro violenze psicologiche, verbali e fisiche inaudite, discriminazioni in ogni ambito, persino per l’accesso alle cure mediche. Un giudizio continuo che ne mortifica corpo e anima, che le annienta come esseri umani, in base a una dietrologia che le vede come nemiche della tradizione, quella falsa e ipocrita che purtroppo resiste anche al progresso, e che considera i corpi dal punto di vista biologico come automi senza impulsi, senza anima, senza la possibilità di mutare. Come può un tribunale stabilire “chi è” e “cosa prova” un essere umano? E come può entrare nella sua sfera più intima, decidendo cosa può e non può fare, chi deve amare, come deve comportarsi, dove deve collocarsi?

È assurdo che si decida tutto questo in un’aula di Giustizia. È assurdo che chi dovrebbe garantire i diritti, li sgretoli, li annienti. Non si tratta della sconfitta di una parte di società e della vittoria dei conservatori della tradizione che vedono nemici e pericoli in qualunque persona fuori dagli schemi (quelli loro!), ma siamo di fronte a una disfatta generale dei valori umani, del principio di uguaglianza, di solidarietà, a favore della ghettizzazione e dell’isolamento.

Si tratta di una strada pericolosa che produrrà solo altre “periferie” umane e sociali, dove verranno relegate tutte le persone che sono semplicemente se stesse. E riguarda tutti, non solo le persone transgender.

30 Aprile 2025 0 Commento
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Sociale

DIO PERDONA, LA CURIA NO

di Matteo FALLICA 24 Aprile 2025
Scritto da Matteo FALLICA


I papi che hanno pagato il prezzo per una Chiesa povera. Breve autopsia del potere

Papa Francesco è morto. E con lui, forse, si chiude una stagione di coraggio e di rivoluzione silenziosa dentro i palazzi del potere vaticano. Il suo resterà nella memoria come un pontificato che ha avuto l’audacia di mettere in discussione le fondamenta di un sistema secolare, consolidato nei privilegi, nell’opacità e nell’autoconservazione.

Ha cercato una Chiesa più povera, più autentica, spogliata di orpelli e mondanità.

Papa Bergoglio ha denunciato con forza la corruzione del clero, ha fatto processare cardinali, ha preteso trasparenza dove da secoli regnavano silenzio e fumo. Ma la reazione del potere non si è fatta attendere: all’interno della Curia si è presto formata una cordata, un’opposizione organizzata, fatta di boicottaggi, fughe di documenti, veleni. In quel sistema, lui era il corpo estraneo.

La storia della Chiesa è segnata da vari tentativi di riforma della Curia romana, spesso ostacolati proprio da resistenze interne. Nell’epoca moderna, il primo forte scossone fu dato da Giovanni Paolo I, Albino Luciani, eletto il 26 agosto 1978. Il suo pontificato fu brevissimo, poco più di quattro settimane, giusto il tempo per annunciare le sue intenzioni: toccare il cuore del potere, lo IOR, la banca vaticana, da anni al centro di scandali e legami oscuri.

Come prima cosa volle rimuovere monsignor Paul Marcinkus, allora presidente dello IOR, legato a Michele Sindona, mafioso e piduista, e a Roberto Calvi trovato impiccato a Londra nel 1982 senza colpevoli. All’epoca lo IOR era il principale azionista del Banco Ambrosiano e vennero fatte operazioni bancarie ritenute spregiudicate. “Un vescovo non può dirigere una banca”, diceva Luciani. Il vescovo Camisasca, suo biografo, dichiarò: “Voleva cambiare davvero. E sapeva chi doveva togliere di mezzo”. Non ne ebbe il tempo. Papa Luciani morì 33 giorni dopo, il 28 settembre. Morto ufficialmente per infarto, ma non c’è stata alcuna autopsia. E quella morte resta un buco nero nella storia della Chiesa.

Dopo Giovanni Paolo II, che non affrontò mai fino in fondo la questione IOR, toccò a Benedetto XVI provarci. Uomo colto, raffinato, ma isolato. Nel 2010 istituì l’Autorità di Informazione Finanziaria e cercò di riformare la struttura. Ma nel 2012, dopo l’allontanamento del presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi, l’economista laico messo a controllare la finanza vaticana, Ratzinger capì subito che neppure un papa ha il controllo della macchina.  Le condizioni in cui si trovava furono chiare quando dichiarò senza mezzi termini  “Il demonio è dentro queste mura”. E il 28 febbraio 2013, all’improvviso rassegnò le dimissioni pubblicamente. Apparentemente fu una resa; in realtà fu il passaggio del testimone. Papa Ratzinger aveva un chiaro piano in mente e l’uomo chiave del suo piano era il pauperista gesuita Jorge Mario Bergoglio. 

Con Papa Francesco la lotta si trasformò in guerra aperta. Nel dicembre 2014, durante gli auguri natalizi alla Curia, elencò le sue “15 malattie”: la Curia è affetta da “carrierismo, schizofrenia, vanagloria”. Vescovi e cardinali li ha definiti come “accumulatori di beni con un vuoto d’animo”. Un discorso spietato, chiuso con un caloroso consiglio: “Fatevi Curare!”. E poi ancora, in una uscita pubblica, riferendosi a scandali vaticani esclama “io mi vergogno!”. Insomma, la curia non godeva della sua stima. 

Poi mise mano allo IOR. Ne epurò i vertici, lo fece uscire dalla black list dei paradisi fiscali, tolse l’immunità ai cardinali. Angelo Becciu, ex sostituto della Segreteria di Stato, fu processato e condannato nel 2023 per peculato e abuso d’ufficio. Non tutto, però, funzionò. Le resistenze interne non si placarono mai. La Commissione COSEA dopo poco affondò tra scandali e fughe di notizie (Vatileaks 2). 

E ora? Il prossimo Papa avrà il coraggio di continuare questa battaglia? O torneremo a una Chiesa sontuosa e potente; anzi a dirla con le parole del papa “malata”?. Una cosa è certa, “Morto un Papa, se ne fa un altro”, una formula cinica che, in fondo, significa solo una cosa: il potere non conosce lutto, tira dritto senza pause. Un ultimo dettaglio, Papa Francesco, per sua volontà, ha chiesto di essere sepolto fuori dal Vaticano e che il suo funerale non fosse  pagato dalla Santa Sede, ma da un benefattore. Anche nell’ultimo gesto ha rifiutato i privilegi, restando lontano da quel palazzo che ha provato, forse invano, a bonificare.

24 Aprile 2025 0 Commento
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Sociale

PERCHÉ ESSERE FAVOREVOLI ALLA LEGALIZZAZIONE DELLE DROGHE

di Vincenzo MUSACCHIO 22 Aprile 2025
Scritto da Vincenzo MUSACCHIO

Non sono a favore della liberalizzazione delle droghe, ma sono fermamente contrario a tutti i proibizionismi, che ottengono come risultato soltanto quello di arricchire la criminalità organizzata. Precisiamo immediatamente, per chi ci ascolta e chi ci leggerà, cosa significhi il termine “legalizzazione”. Vuol dire regolamentazione, controllo e vigilanza. Premesso questo, con il passare degli anni, ho ragionato, senza pregiudizi di sorta, su riforme volte a rendere legale, sotto il controllo diretto dello Stato, la vendita e la coltivazione delle sostanze stupefacenti privando della gestione assoluta del mercato le mafie. La mia teoria si regge su una “libertà condizionata” nella produzione, nella vendita e nel consumo delle sostanze stupefacenti escludendo, ovviamente, la nascita di un libero mercato. Impostando il ragionamento su tale direttrice, consentire la produzione, il commercio e il consumo, nel pieno rispetto della legge, produrrebbe alcuni benefici incontestabili. Credo che qualunque sia l’opinione sulla legalizzazione delle droghe, il tema debba essere discusso senza tabù insormontabili. Molti Stati (per tutti il Portogallo) stanno rivedendo le loro politiche sulle droghe, approvando riforme che possono far discutere ma che, di fatto, funzionano (legalizzazione della cannabis, accolta da un numero sempre maggiore di Paesi). Una soluzione per rimediare ai tantissimi danni causati dalle droghe può essere quella di legalizzarle tutte. So che in tanti sobbalzeranno dalla sedia e diranno il professor Musacchio è impazzito. Proverò invece a dimostrare che tale tesi non solo possa essere sostenuta, ma porterò a supporto della stessa argomenti oggettivamente non contestabili. Il primo in assoluto è la riforma attuata in Portogallo. Sono state depenalizzate tutte le droghe. Grazie ai soldi risparmiati dal mantenimento del proibizionismo più radicale, il governo portoghese ha investito su educazione, riabilitazione e reinserimento dei tossicodipendenti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Sono crollati il consumo di droga, i decessi per tossicodipendenza, la criminalità e tutto quello che era connesso a questa piaga sociale. Un ulteriore aspetto positivo da considerare sarebbe il conseguente crollo del mercato nero delle droghe e degli utili da parte delle mafie. Non potrebbero più arricchirsi poiché verrebbe meno la loro maggiore entrata economica. Se le droghe potessero essere facilmente e legalmente acquistate in farmacia, chi si rivolgerebbe ancora ai criminali? Finché ci sarà una sostanza stupefacente venduta illegalmente esisterà sempre qualcuno disposto a lucrare grazie a questo business. Se fossero legalizzate le droghe invece il mercato nero scemerebbe. Questo nuovo approccio verso le droghe può essere visto, in parte, anche negli Stati Uniti. Per quanto siano ancora pochi gli Stati ad aver legalizzato l’uso della cannabis e della marijuana, i cartelli messicani (principale fonte d’approvvigionamento) hanno subito un durissimo colpo di natura economica (Fonte: DEA). Non è da sottovalutare neanche il fatto che le “droghe di Stato” diventerebbero molto più sicure. Se venissero regolamentate, i produttori sarebbero costretti a rispettare specifici e rigorosi standard di purezza, garantendo a tutti i consumatori un prodotto di qualità. Le sostanze stupefacenti di oggi sono tagliate quasi sempre con sostanze tossiche, veleno per topi, polvere di mattoni, gesso e altri tipi di additivi. La tossicodipendenza, inoltre, è più legata alla situazione in cui vive una persona che agli effetti della droga stessa. Le nostre forze dell’ordine, attualmente, dedicano gran parte del loro tempo ad arrestare tossicodipendenti e piccoli spacciatori. Se le droghe fossero legali, questo aspetto non sarebbe più un problema. Il sistema giudiziario e quello penitenziario diventerebbero molto più efficienti. Un’altra conseguenza del proibizionismo è l’elevato numero di detenzioni (sovraffollamento carcerario) di consumatori di droghe, il che provoca inevitabilmente il collasso dell’intero sistema penale. Con la legalizzazione gran parte di queste aberrazioni scomparirebbe. Non facciamo come lo struzzo che mette la testa sottoterra per non vedere ciò che gli accade intorno. Molte droghe sono già utilizzate in modo responsabile da tutti i ceti sociali (e ci stiamo riferendo sia alle droghe legali che illegali). Molte persone fanno uso di sostanze come la cocaina, in modo responsabile, senza che ciò influisca negativamente sui loro normali ritmi di vita. Allora perché considerarle illegali, mentre sostanze come l’alcool e le sigarette sono vendute legalmente in tutto il mondo? Lo Stato è ipocrita quando continua ad essere proibizionista sulle droghe e lascia completamente libera la vendita di tabacco (che provoca oltre 40mila morti all’anno) e di alcol, che ne causa ancora molte altre. Messico, Colombia, Perù, Afganistan con simili riforme smetterebbero di essere narco-Stati. I grandi cartelli della droga non avrebbero più gli attuali profitti incommensurabili. Migliaia di vite verrebbero salvate poiché il proibizionismo sta costando più vite di quelle che riesce a salvare. Credo che un mercato legale della droga potrebbe persino educare, garantendo al consumatore la purezza del prodotto acquistato, oltre a prevenire e a ridurre le morti per overdose e le tossicodipendenze. Legalizzare questo mercato potrebbe fermare la violenza tra le bande criminali, colpire duramente i profitti dei cartelli e delle squadre armate, ridurre gli omicidi e la corruzione di tutte le persone coinvolte. A mio parere questi dati rappresentano una ragione sufficiente per riflettere e procedere verso la legalizzazione delle droghe. La cosa più importante in assoluto credo sia quella di salvare il maggior numero di vite possibili. Siamo consapevoli, ovviamente, di quanto possa essere complicato legalizzare tutte le droghe o di quanti problemi possa generare. Sappiamo che, se mai dovesse succedere, non sarà un processo immediato. Crediamo però che si possa e si debba aprire perlomeno una discussione scevra da pregiudizi su questo argomento.

22 Aprile 2025 0 Commento
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Politica

BISOGNA ESSERE CONTRO IL RIARMO, PERCHÉ É INUTILE E PERICOLOSO

di Michele BLANCO 20 Aprile 2025
Scritto da Michele BLANCO

Il mondo contemporaneo lo si può osservare a partire dalla guerra in Ucraina, ai massacri indiscriminati in Medio Oriente e in molte altre parti del mondo, la vittoria elettorale di Trump, la Germania con l’esito delle sue elezioni, l’inesorabile “avanzata delle destre” un po’ ovunque, la ormai certa e constatata inesistenza politica dell’Europa, con il “dibattito” unidirezionale a favore del riarmo, voluto dai mass media che sono di proprietà di chi possiede e fa profitti con l’industria bellica.

Il “nuovo ordine mondiale” immaginato da alcuni e temuto da altri non è che il disordine di un capitalismo neoliberista che da cinquant’anni continua a essere l’ideologia dominante sempre tra alti e bassi, impennate e sprofondamenti, senza apparente via d’uscita, che oggi vorrebbero propinarci con la preparazione propagandistica alla guerra e alle inutili spese militari.

Questa forsennata accelerazione subito impressa dal nuovo governo USA alla politica interna e internazionale non è frutto della volontà di potenza del Presidente Trump e dei suoi miliardari accoliti. In questi ultimi anni l’imperialismo USA ha visto progressivamente erodere il proprio passato totale predominio mondiale, a favore di altri poteri e forze statali e alleanze, come la Cina e i paesi BRICS. Lo scontro diretto ha visto confrontarsi da anni gli eserciti della Russia e quelli dell’Ucraina spalleggiata, con gradi diversi di coinvolgimento economico e militare, dai vari Stati della NATO, con in prima fila Regno Unito e – fino alla fine dell’amministrazione Biden – degli USA. L’Unione Europea si è dimostrata in questo contesto nient’altro che un mercato economico e tutt’altro che una entità politica unitaria, democratica e indipendente. La sudditanza europea agli USA si manifesta anche nella scopiazzatura dello slogan trumpiano “Make America Great Again” (MAGA), che diventa, “Make Europe Great Again” (MEGA). Tra MAGA e MEGA c’è davvero poco da scegliere!

È appunto su questo scenario che si prepara una nuova possibile guerra con l’aumento delle spese militari.

Le misure annunciate e praticate dalla nuova amministrazione USA, che tanto scandalizzano e impauriscono le “anime belle” dei presunti democratici di tutto il mondo sono l’espressione delle reali esigenze nazionali dell’economia degli Stati Uniti d’America. Al tempo stesso, quelle misure mostrano e dimostreranno l’insolubile contraddittorietà delle ricette economiche per “uscire dalla crisi”: liberismo|protezionismo, globalizzazione|nazionalismo, eterno vicolo cieco di inflazione-deflazione-stagflazione, ecc. In un modo o nell’altro, presto o tardi, sono sempre le leggi del capitale, che consistono sempre nella spasmodica ricerca del profitto, la necessità di rimettere in moto l’accumulazione, la “regola aurea” della competizione fra capitali nazionali, la legge dello sviluppo ineguale ad affermarsi e a esigere il conto finale. Ricordiamo che alla cerimonia d’insediamento di Trump, lo schierarsi di magnati dell’industria (soprattutto hi-tech) alle spalle del neo-presidente è stata interpretata da tutti i media come l’accorrere dei grandi nomi dell’economia USA a rendere omaggio. Ma nella realtà erano lì piuttosto a ricordargli chi fossero i veri padroni e quale fosse il copione da interpretare.

Nel sistema capitalistico i crediti vanno riscossi, i debiti vanno pagati, magari sotto forma di metalli preziosi per l’industria e terre rare.

In tutti questi anni, l’industria delle armi non ha mai smesso di crescere, il commercio internazionale di armamenti, alla luce del sole o sottobanco, non ha mai smesso di funzionare a pieno regime, e tutti i conflitti più o meno recenti hanno sempre visto impegnati in prima linea i colossi dell’industria militare. Oggi ancor di più, con il calo dell’industria automobilistica, cresce a dismisura quella militare.

Nell’Unione Europea, poco unita e composta da tanti Stati, schiacciata dalle grandi potenze come USA, Russia e Cina, si torna a parlare di una forza armata unitaria, sovranazionale. Il rischio reale è che nell’interesse del grande capitale assisteremo alla riconversione delle economie nazionali in economie di guerra, e questo rappresenta il vero pericolo perché potrà capitare che, da un giorno all’altro, il primo cannone cominci a sparare. Non a caso, il neo cancelliere tedesco, Merz, dichiara di volersi svincolare dalla sudditanza agli Stati Uniti.

In 50 anni hanno sempre più limitato la redistribuzione sociale della “ricchezza”, con la manipolazione delle coscienze voluta dall’ideologia neoliberista, arrivando a cancellare ogni possibilità di aspirare ad avere una diversa organizzazione sociale. Oggi più che mai i cittadini europei devono tornare a difendere nell’immediato le proprie condizioni economiche (salari, stipendi, pensioni…) e sociali (casa, salute, vivibilità dei quartieri, degrado ambientale) e contemporaneamente non accettare in nessun modo l’idea della guerra che come l’esempio del Medio Oriente ha portato a mattanze al fronte, stragi nelle retrovie e a fine di Stati dove prima della guerra si viveva in modo dignitoso almeno dal punto di vista economico e sociale come la Siria e la Libia.

20 Aprile 2025 0 Commento
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Politica

SECONDO L’ISTAT: “L’ABOLIZIONE DEL REDDITO CITTADINANZA HA FATTO AUMENTARE LE DISUGUAGLIANZE”

di Michele BLANCO 19 Aprile 2025
Scritto da Michele BLANCO

In un interessante libro, ovvero “La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi. Vero!” Laterza, 2014, di Marco Revelli si certificava già nel 2014 che «le diseguaglianze hanno continuato a crescere, la crisi economica globale è gravissima e lo stato ambientale del pianeta continua a peggiorare».
La sostituzione del Rdc con l’Assegno di inclusione ha ridotto le disponibilità economiche per 850mila famiglie. L’incide Gini è passato dal 30,25% del 2023 al 30,40% del 2024. Ma con le attuali politiche del Governo Meloni hanno prodotto un aumento, certificato dall’istituto nazionale di statistica, delle disuguaglianze in Italia: nel nostro Paese l’indice Gini – utilizzato a livello internazionale per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito – è aumentato dal 30,25% del 2023 al 30,40% del 2024. Lo certifica l’Istat nel suo “rapporto sulla redistribuzione del reddito in Italia” pubblicato il 17 marzo 2025. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, «le modifiche al sistema di tasse e benefici introdotte nel corso del 2024 diminuiscono in lieve misura l’equità della distribuzione dei redditi disponibili delle famiglie». In particolare, la sostituzione del Reddito di cittadinanza con l’Assegno di inclusione ha ovviamente e in modo significativo ridotto le disponibilità economiche per circa 850mila famiglie e questo peggioramento, nel complesso, non è stato compensato, in nessun modo, dagli interventi effettuati dal governo sul sistema fiscale e contributivo. Inoltre, sempre secondo l’Istat, a fine 2023 in Italia si contavano 2,2 milioni di famiglie in povertà assoluta, pari a 5,7 milioni di individui, ossia il 9,7% dell’intera popolazione italiana. Si tratta di persone che non hanno denaro sufficiente per comprare beni di prima necessità, cioè cibo e vestiti. I fatti ci dicono che dal primo gennaio 2024 il Reddito di cittadinanza è stato sostituito da una nuova misura di contrasto alla povertà denominata Assegno di inclusione (Adi): in questo modo sono state escluse dal sussidio le persone “occupabili” secondo i parametri adottati dal Governo, ossia tutti coloro che vivono in un nucleo familiare in cui non ci sono disabili, minorenni o persone sopra i 60 anni e che non sono seguiti da programmi di assistenza socio-sanitaria. Gli esclusi, se non arrivano ai 6mila euro di Isee, hanno diritto al Supporto per la Formazione e il Lavoro (Sfl): un contributo di 350 euro mensili (saliti a 500 euro dal 2025) che si può percepire per un massimo di 12 mesi non rinnovabili a condizione di iscriversi a programmi di politiche attive del lavoro. Il Reddito di cittadinanza raggiungeva tra gli 1 e gli 1,5 milioni di nuclei familiari, mentre oggi l’Assegno di inclusione arriva a poco meno di 760mila nuclei, a cui vanno sommati i circa 100mila individui che hanno diritto al Supporto per la Formazione e il Lavoro. Secondo i dati dell’Istat, nel 2024 l’abolizione del Reddito di cittadinanza, che peraltro era già stato depotenziato nel corso del 2023, con la misura sostitutiva dell’Assegno di inclusione ha comportato un grave peggioramento dei redditi disponibili per circa 850mila famiglie, pari al 3,2% delle famiglie residenti in Italia. La perdita media annua per queste famiglie è stata di 2.664 euro e ha interessato esclusivamente le famiglie che appartengono alla fascia più povera della popolazione. In tre quarti dei casi, circa 620mila famiglie, il nucleo familiare ha totalmente perso il diritto al sussidio, mentre il restante quarto di nuclei, composto da circa230mila famiglie, è risultato svantaggiato dal nuovo metodo di calcolo del sostegno economico.

Calcolando in valori assoluti, con le leggi dell’attuale governo hanno avuto benefici maggiori le fasce della popolazione più benestanti: il quinto più ricco delle famiglie italiane ha potuto ricevere 866 euro in più. In valori percentuali, invece il quinto più ricco ha visto migliorare il proprio reddito dello 0,9%. Inoltre certifica l’Istat che poco meno di 1,2 milioni di famiglie hanno registrato una perdita che è stati pari in media a circa 2mila euro. La stragrande maggioranza di questi nuclei rientra nel quinto più povero della popolazione italiana. La sostituzione del Reddito di cittadinanza con l’Assegno di inclusione ha prodotto, stando sempre ai calcoli dell’Istat, un aumento di oltre 0,2 punti dell’indice di Gini. Questo impatto negativo sulle disuguaglianze solo parzialmente è stato compensato dal lieve effetto positivo connesso alla riforma dell’Irpef e al taglio dei contributi, che complessivamente avrebbero ridotto l’indice di Gini di 0,05 punti. In conclusione, quindi, nel 2024 in Italia l’indice di Gini è aumentato da 30,25% a 30,40%. Con una sola chiara e certa affermazione non confutabile: con il Governo della “patriota e cristiana” Meloni, le disuguaglianze inesorabilmente aumentano. 

19 Aprile 2025 0 Commento
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Politica

GLI ARGENTINI SONO NEI GUAI

di Michele BLANCO 18 Aprile 2025
Scritto da Michele BLANCO

Purtroppo, come volevasi dimostrare, in Argentina i lavoratori hanno perso potere d’acquisto con i prezzi alle stelle. Il tutto dovuto al circolo vizioso di un’economia progettata per arricchire chi è già ricco, non i semplici cittadini.

Si è passati dall’austerity alla miseria sempre più diffusa in soli 15 mesi di governo presieduto da Javier Milei in Argentina.

L’economia argentina in caduta libera sta diventando un caso di studio emblematico degli effetti distruttivi di un neoliberismo dogmatico e slegato alla effettiva realtà economica e sociale. I dati sul consumo interno, riportati dal quotidiano argentino Pagina|12, dipingono un quadro piu che drammatico, costantemente in 15 mesi consecutivi di caduta libera delle vendite, con un calo del 5,4% su base annua a marzo 2024. Un tracollo senza precedenti, persino peggiore dei periodi più duri del governo Macri (2015-2019), che segna il totale inappellabile fallimento delle assurde politiche economiche di Milei.

Il crollo dei consumi, riflette un vero e proprio impoverimento accelerato della popolazione. Ipermercati (-7,1%) e piccoli negozi di quartiere (-3,7%) sono deserti, la gente non ha più liquidità nemmeno per gli acquisti essenziali. Settori come le bevande alcoliche (-18%) o la pulizia della casa (-2%) rivelano una società costretta a rinunciare per prima ai beni non strettamente necessari alla sopravvivenza. La vecchia e inutile retorica della “libertà economica” si scontra con una realtà effettiva in cui i salari, negoziati al ribasso su pressione governativa, non coprono più i prezzi dei generi alimentari, già schizzati dopo la svalutazione del 2023 incautamente imposta dal Fondo Monetario Internazionale.

Milei ha cercato di mascherare il disastro con una mossa degna di un manuale di manipolazione statistica: modificare la formula di calcolo dell’inflazione, riducendo artificiosamente il peso degli alimenti (in picchiata al rialzo) a favore dei servizi (meno dinamici). Una truffa politica, non ovviamente una soluzione economica.

Il governo ha festeggiato la rimozione del “cepo cambiario” (controllo cambiario), condizione posta dal FMI per accedere a prestiti miliardari. Ma a quale prezzo? Le riserve della Banca Centrale argentina, gonfiate artificialmente da un +50% grazie ai primi fondi FMI, nascondono una trappola: l’accordo vincola il Paese fino al 2029, con ulteriori tranche di debito (3.000 milioni nel 2024 e 5.000 milioni fino al 2029) subordinati al rispetto di tagli fiscali suicidi. Intanto, settori chiave come l’edilizia e l’automotive registrano aumenti di prezzi a doppia cifra, mentre il potere d’acquisto dei cittadini evapora.

L’ex presidente Cristina Fernández de Kirchner ha colto nel segno definendo queste politiche una “estafa” (truffa): un déjà-vu dei fallimenti storici, dal “blindaje” di De la Rúa (2001) alle ricette del FMI che hanno sempre solamente storicamente aggravato le crisi. Milei ripropone sempre lo stesso copione: svalutazione, inflazione importata, contrazione della domanda interna e dipendenza totale da creditori esteri. Un circolo vizioso che trasforma il debito in una camicia di forza, strangolando qualsiasi prospettiva di crescita economica.

La narrativa di Milei, centrata sull’equilibrio fiscale ottenuto sempre a scapito del benessere sociale e delle spese per il benessere dei cittadini, proprio come accade in questi anni in Europa, ignora volutamente che la recessione autoinflitta è il vero motore inarrestabile del deficit. Senza consumi, senza produzione, senza domanda, l’economia ovviamente si contrae, riducendo drasticamente gettito fiscale e rendendo insostenibile qualsiasi aggiustamento contabile. Oggi l’Argentina è un Paese in cui i poveri superano il 50% della popolazione, l’industria locale soffoca e l’unico “successo” è l’inutile e dannosa approvazione di istituzioni finanziarie internazionali complici della devastazione.

Il neoliberismo fuori tempo massimo di Milei non è solo fallimentare: è un vero e proprio atto criminale. Prometteva libertà e ha solo portato povertà; vantava stabilità e ha scatenato caos inflazionistico; celebrava il libero mercato mentre svendeva il Paese al Fondo Monetario Internazionale. L’Argentina, ancora una volta, dimostra che il fanatismo neoliberista, con il suo odio per gli interventi dello Stato, il suo culto dell’austerity e la sua subordinazione alla finanza globale, non è una politica economica, ma un atto di assurda violenza sociale e odio per i cittadini meno ricchi.

Infatti il calo del reddito della popolazione non è stato per nulla omogeneo, per il 20% più ricco la flessione dei redditi in termini reali è stata molto minore rispetto alla media, mentre il 20% più povero ha subito il calo più significativo. Solo nel primo anno della presidenza Milei nel periodo la disuguaglianza (misurata con l’indice di Gini) nella distribuzione del reddito è aumentata. Quasi due bambini su tre sotto i 14 anni vivono in condizioni di povertà, ma il governo ha comunque ridotto le risorse destinate all’infanzia. Milei si è “distinto” solo perché ha eliminato i sussidi che venivano gestiti da organizzazioni sociali.

Anche la sanità pubblica è sotto forte pressione. Oltre ai tagli di bilancio, soprattutto agli stipendi dei lavoratori degli ospedali che dipendono dal governo federale, si è verificato un aumento di domanda di prestazioni. Infatti, l’aumento dei prezzi delle assicurazioni sanitarie private dopo la liberalizzazione ha spinto molti argentini a rivolgersi all’assistenza pubblica.

L’istruzione ha registrato una riduzione di risorse che è stata circa del 50% su base annua. L’amministrazione Milei ha eliminato il Fondo nazionale per l’incentivazione degli insegnanti, ha sospeso gli interventi infrastrutturali alle scuole e ha tagliato drasticamente i programmi di borse di studio per gli studenti, ovviamente i più colpiti sono gli studenti provenienti dalle classi sociali più povere.

18 Aprile 2025 0 Commento
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Politica

L’INUTILE  ALLEANZA

di Michele BLANCO 17 Aprile 2025
Scritto da Michele BLANCO

Trump ha introdotto i dazi sulle merci importate, ma la Cina aumenterà il suo PIL del 5,6%, in netto aumento, addirittura smentendo le previsioni precedenti, mentre il mondo è a rischio recessione, il nostro paese l’Italia si è visto ridurre le previsioni del suo PIL dall’OCSE allo 0,7% nel 2025 e allo 0,9% nel 2026, con una riduzione rispettivamente di 2 e 3 decimi rispetto alle previsioni di appena pochi mesi fa a dicembre 2024.

E in questo contesto bisogna ricordare l’effetto delle sanzioni alla Russia che incredibilmente ha visto far schizzare in alto il Pil di quel paese e incrementare in modo massiccio l’export verso Cina e India, con queste nazioni con tre miliardi di abitanti circa, che comprano dalla Russia a prezzi stracciati e poi vendono gas e petrolio all’Europa, a prezzi ovviamente aumentati.

Un aumento del PIL cinese di questa portata ha del portentoso visto la stagnazione dell’economia mondiale. Tutti i paesi esportatori che hanno buon senso vedendosi bloccate le loro merci, prodotti e servizi verso l’ USA si sono rivolte altrove, in primis, Cina e India ma anche tutti gli altri paesi Brics. E questo Trump non lo aveva capito?

Al momento è un fenomeno di breve durata, dovuto una reazione legata al buon senso e istintiva, ma tutto questo non significa che non possa avere anche una durata maggiore e, in prospettiva, divenire strategica. Non sempre i giochetti al massacro di Trump e le sue intemperanze possano avere risposte del tipo “lui è cosi, poi si calmerà”; i mercati, è una legge del capitalismo, hanno bisogno di certezze, per permettere agli investitori di investire i loro capitali ed è strano che Trump non la conosca. Nel caso contrario non investono. E nel lungo periodo i paesi come Cina e India possono rendere stabile lo scambio commerciale che oggi sembra assumere aspetti non definitivi, di transitorietà. Molto modestamente ritengo che oggi l’unica via giusta, o quantomeno razionalmente possibile, per paesi come l’Italia e i tutti paesi UE è cercare alternative per le esportazioni al mercato statunitense, questa è la logica del mercato, possa piacere o meno. Se gli Usa non sono più affidabili non significa che dobbiamo entrare in recessione economica per colpa di Trump.

Oggi nel mondo ci sono tutte le premesse per un equilibrio geopolitico multilaterale con la fine  delle nazioni sotto protettorati, come è stato per l’Italia, la Germania e il Giappone dalla fine della seconda guerra mondiale. Sarebbe auspicabile, per chi ci governa, invece di andare con il cappello in mano a chiedere pietà e misericordia, prendere atto della nuova realtà effettiva e pensare finalmente al bene dei cittadini.

Sull’argomento il famoso economista francese Thomas Piketty ritiene senza mezzi termini che: «Usa non più affidabili, l’Europa promuova un altro modello di sviluppo»

L’analisi dell’economista francese pubblicata su Le Monde: «Da un punto di vista storico, c’è un solo precedente analogo ad oggi, il deficit commerciale delle principali potenze coloniali tra il 1880 e il 1914».

Sui dazi che vuole introdurre Trump, Piketty dice che per certi versi non siamo di fronte a una novità: la campagna militare contro l’Iraq all’inizio nei primi anni Duemila ha creato una destabilizzazione nell’intera regione con cui dobbiamo ancora fare i conti, scrive per fare un esempio. Ma, aggiunge, «la crisi attuale è nuova, perché mette in discussione il cuore stesso del potere economico, finanziario e politico del paese [gli USA], che appare come confuso, governato da un capo instabile e irregolare, senza alcuna forza di richiamo democratico».

Il cuore della questione, scrive Piketty, è il fatto che il Pil della Cina ha superato quello degli Stati Uniti già nel 2016 e attualmente è più alto del 30%. Non solo. In base ai calcoli di economisti di varia provenienza, Pechino raggiungerà il doppio del Pil degli Usa entro il 2035. «La realtà è che gli Stati Uniti stanno perdendo il controllo del mondo», è la ovvia conclusione di Piketty. Ma cosa ancora più grave, aggiunge, è l’accumulo di deficit commerciali che ha portato il paese a un debito estero pubblico e privato di una portata senza precedenti: 70% del Pil nel 2025. Con «l’aumento dei tassi di interesse potrebbe portare gli Stati Uniti a dover versare al resto del mondo flussi di interessi considerevoli, a cui erano finora sfuggiti grazie alla loro presa sul sistema finanziario mondiale».

Inoltre continua Piketty: «Da un punto di vista storico, va notato che l’enorme deficit commerciale degli Stati Uniti – circa il 3-4% del Pil in media ogni anno dal 1995 al 2025 – ha un solo precedente per un’economia di queste dimensioni: è approssimativamente il deficit commerciale medio delle principali potenze coloniali europee (Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi) tra il 1880 e il 1914». E su Trump, aggiunge, «è in fondo solo un leader coloniale impedito come l’Europa del passato, vorrebbe che la pax americana fosse ricompensata con sussidi versati dal resto del mondo riconoscente, in modo da finanziare eternamente i suoi deficit. Il problema è che il potere statunitense è già in declino, e che l’epoca non si presta più affatto a questo tipo di colonialismo brutale e senza ritegno».

E l’Europa, di fronte a tutto questo? L’Europa, dice Piketty, deve sostenere una profonda riforma della governance del Fmi e della Banca Mondiale, in modo da uscire dall’attuale sistema e dare il giusto posto a paesi come il Brasile, l’India o il Sudafrica. «Se continua ad allearsi con gli Stati Uniti per bloccare questo processo irrimediabile, allora i Brics costruiranno inevitabilmente un’architettura internazionale parallela, sotto la guida della Cina e della Russia». L’Ue – aggiunge – ha commesso un grave errore nel 2024 opponendosi alla proposta di giustizia fiscale promossa al G20 dal Brasile, e votando contro l’istituzione all’Onu di una convenzione quadro sulla tassazione equa, ancora una volta con gli Stati Uniti, «tutto questo per preservare il monopolio dell’Ocse e del club dei paesi ricchi su queste questioni ritenute troppo importanti per essere lasciate ai più poveri».

L’Europa, conclude il ragionamento Piketty, deve finalmente riconoscere il suo ruolo negli squilibri commerciali mondiali. «È facile stigmatizzare le eccedenze oggettivamente molto eccessive della Cina, che come gli occidentali prima di lei abusa del suo potere per sottopagare le materie prime e inondare il mondo di beni manifatturieri». Ma il fatto è che l’Europa tende anche a sottoinvestire sul suo territorio: «Ci vorrà molto di più del rilancio militare e di bilancio tedesco o della mini-tassa sul carbonio alle frontiere attualmente previste perché l’Europa contribuisca finalmente a promuovere un altro modello di sviluppo, sociale, ecologico ed equo». 

17 Aprile 2025 0 Commento
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Politica

MATTARELLA FIRMA LA LEGGE LIBERTICIDA

di Michele BLANCO 12 Aprile 2025
Scritto da Michele BLANCO

Il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, ha sempre giustificato e sostenuto i decreti per invio di armi in Ucraina. Ma se era giusto inviare le armi all’Ucraina “perché si doveva difendere da un invasione” allora si dovrebbero inviare le armi anche ai palestinesi di Gaza e Cisgiordania perché continuamente invasi, e bombardati da Israele, che ha ucciso 15 operatori sanitari della croce rossa. Invece Mattarella ha ricevuto per due volte al Quirinale il presidente di Israele Isaac Herzog mentre era in corso un vero e proprio genocidio del popolo Palestinese.

Il presidente Mattarella che condanna la Russia sempre e, spesso, a sproposito, non ricorda che finora gli unici a lanciare due bombe atomiche su città abitate da civili sono stati gli Stati Uniti d’America.

Invece il presidente Mattarella non ha mai condannato esplicitamente il criminale di guerra Netanyahu, ricercato per crimini orrendi dal tribunale penale internazionale, ma ha paragonato la Russia al Terzo Reich. Infatti per lui in Giappone a Hiroshima davanti 200 mila morti della bomba atomica statunitense, il problema atomico è solo rappresentato dalla Russia senza mai menzionare gli unici veri carnefici nucleari della storia dell’umanità.

Ora Sergio Mattarella ha appena firmato il decreto sicurezza, la legge più liberticida mai avuta nell’Italia repubblicana, dal 1945 ad oggi. Ora chiunque dissente dal governo è letteralmente un criminale. Chi protesta per qualsiasi motivo, anche giustissimo, viene considerato un nemico dello Stato da perseguire penalmente. Questo decreto, sicuramente anticostituzionale, vuole distruggere qualsiasi tentativo di qualsiasi cittadino italiano di dire al potere politico, a chiunque detenga il potere politico, che non è semplicemente d’accordo con le sue scelte.

Il decreto in questione attacca, negandoli, i principali diritti costituzionali al dissenso, come la libertà di manifestazione del pensiero e di manifestazione, e assurdamente legittima gli abusi di potere. Fa totalmente a pezzi l’uguaglianza, anche formale, dei cittadini davanti alla legge e limita le stesse libertà di riunione e associazione, che venivano riconosciute da secoli in tutti gli stati di diritto, persino nella Prussia del diciottesimo secolo.

In questo decreto, inoltre, è previsto che gli agenti dei servizi segreti possano entrare e comandare le organizzazioni criminali. Purtroppo nella storia dell’Italia, dove tra strategia della tensione, stragi, poteri occulti, sabotaggi, illegali dei servizi segreti si è addirittura arrivati a “legalizzare” queste pratiche reazionarie, a questo punto è in pericolo reale l’intera vita democratica del nostro Paese.

È assolutamente evidente che questo decreto non andava firmato. Ma Mattarella l’ha incredibilmente firmato nonostante il chiaro contenuto non costituzionale. Molti dubbi sorgono, a questo punto, perché l’articolo 91 della Costituzione dice: “il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione…”, ora dobbiamo chiederci, visto che Mattarella era anche professore di diritto pubblico, a quale Costituzione presta osservanza? Di uno Stato Costituzionale di diritto o a una costituzione di uno stato autoritario diverso dalla repubblica italiana?

12 Aprile 2025 1 Commento
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Politica

L’UE È UN GATTINO DI CARTA

di Pino D'ERMINIO 10 Aprile 2025
Scritto da Pino D'ERMINIO

Ai tempi della guerra in Vietnam – conclusa il 30 aprile di 50 anni fa con la vittoria dei vietcong – uno slogan antimperialista definiva gli USA una tigre di carta. Se guardiamo allo smarrimento delle capitali europee, a seguito della guerra pseudocommerciale scatenata da Trump, viene da dire che l’UE è un gattino di carta.

Esaminiamo preliminarmente le motivazioni e gli scopi che hanno spinto il presidente degli States a scatenare una guerra mondiale economico-politica, camuffata da commerciale, che mette nel mirino principalmente la Cina e l’UE. La bilancia delle partite correnti comprende gli scambi dei prodotti fisici (bilancia commerciale), dei servizi e dei cosiddetti trasferimenti (rimesse degli emigranti, pensioni, donazioni, contributi). Il saldo della bilancia delle partite correnti degli USA è negativo dal 1982, con l’eccezione del 1991, quando ha registrato un lieve attivo (pari allo 0,05% del loro PIL), incluso il quadriennio 2017-2020 della precedente presidenza Trump.

Secondo le teorie economiche basate sul mercato, lo squilibrio negativo delle partite correnti è corretto “naturalmente” dalla mano invisibile, con il deprezzamento della valuta del paese deficitario, il che equivale ad una riduzione dei prezzi delle sue esportazioni ed al fenomeno contrario per le importazioni, con conseguente aumento delle prime e riduzione delle seconde. Tale processo non è senza costi per il paese interessato, che peggiora le ragioni di scambio ed importa inflazione. Per gli USA tale aggiustamento “naturale” non è avvenuto, nonostante più di 40 anni di disavanzo del saldo delle partite correnti, perché essi sono il paese egemone economicamente, finanziariamente, politicamente, militarmente ed il dollaro statunitense è la valuta di riferimento delle transazioni mondiali di beni e servizi e del mercato dei capitali. Da oltre 40 anni gli USA “non pagano dazio” e sfruttano la maggiore convenienza di prodotti importati, senza subire ricadute inflattive e deprezzamento della loro valuta. L’esatto contrario di quanto sbraita Trump, che accusa il mondo intero di approfittare degli USA.

Allora perché Trump e gli ambienti economico-sociali che lo circondano hanno deciso di scatenare una guerra mondiale dei dazi? Il vero obiettivo è invertire il fenomeno della delocalizzazione delle unità produttive verso paesi con costi di produzione più bassi. Più fabbriche e più uffici in patria vogliono dire più occasioni di lavoro per i residenti e maggiore autonomia strategica dagli altri paesi. Credo che l’obiettivo principale sia l’autonomia strategica, figlia delle paranoie di un impero in lento declino, che vede minacciata la sua supremazia dalla Cina, ma anche dall’amica UE. Da un punto di vista strettamente economico, le mosse dell’amministrazione Trump sono un suicidio, oltre che un danno all’economia mondiale. Riportare la produzione delle Nike dal Vietnam in patria vuol dire raddoppiare o triplicare il loro costo di produzione, con conseguenze disastrose sulle vendite, sul conto economico e sui profitti dell’impresa; nel breve periodo si genera un incremento delle entrate fiscali USA, ma a prezzo di danneggiare la capacità competitiva di una multinazionale “di casa” e, a cascata, del sistema paese. Medesimo discorso vale per le Tesla prodotte in Cina e per le attività all’estero di tutte le multinazionali made in USA. Le retribuzioni pagate in patria cresceranno ed anche questo porterà un maggiore prelievo fiscale, ma tali incrementi saranno erosi dalla crescita dell’inflazione, spinta dal maggiore costo sia delle produzioni nazionali che delle importazioni.

Nel 2024 il disavanzo delle partite correnti USA ha raggiunto 926 miliardi US$, con un saldo negativo di 1.210 miliardi US$ nella bilancia commerciale, positivo di 293 miliardi US$ nei servizi e negativo di 9 miliardi US$ nei trasferimenti. Ai primi due posti del suddetto disavanzo USA si trovano la Cina (inclusa Hong Kong), con 273 miliardi US$ (29,5% del totale), e l’UE con 236 miliardi di US$ (25,5% del totale). All’interno dell’UE i paesi con maggiore avanzo delle partite correnti sugli USA sono l’Irlanda (87 MldUS$), la Germania (85 MldUS$) e l’Italia (46 MldUS$), che sommati rappresentano il 92% dell’avanzo dell’UE verso gli USA. La situazione è particolarmente grave per l’Irlanda, che indirizza negli USA il 46% delle sue esportazioni, ma difficile anche per la Germania e l’Italia, che collocano negli USA entrambe il 22% delle loro esportazioni (per l’Italia il primo mercato è la Germania, seguita dagli USA e dalla Francia).

La Cina ha immediatamente deciso di rendere agli USA pan per focaccia e si può essere certi che manterrà la posizione. L’UE invece … La Commissione europea dice di avere un piano A ed un piano B; fa sapere di avere addirittura un bazooka, che per il momento non imbraccia, ma che “è sul tavolo”; raccomanda di evitare prima di tutto il panico (che è il modo migliore per scatenarlo). Il piano A propone agli USA di azzerare i dazi reciproci sui prodotti industriali. Considerato che il disavanzo USA è principalmente sui prodotti industriali, mentre sui servizi essi sono in avanzo, perché Trump dovrebbe gradire il piano A? Una proposta da cretini, alla quale gli USA non si sono peritati neanche di rispondere. Il piano B consiste nello stilare una lista a più stadi di beni e servizi da gravare con dazi ritorsivi. D’intesa con la Commissione europea, la lista è stata approvata il 9 aprile da un comitato “tecnico” dei 27, con il voto contrario dell’Ungheria. Il primo elenco dovrebbe valere 3,9 miliardi di US$ di incremento dei dazi, il secondo ed il terzo sono stimati in 13,5 miliardi US$ ed il quarto 3,5 miliardi US$; in totale 20,9 miliardi US$, non proprio un colpo sonoro. I tre stadi dovevano entrare in vigore rispettivamente il 15 aprile, il 16 maggio ed il 1° dicembre, ma la Commissione europea li ha congelati il giorno successivo all’approvazione, dopo che il 9 aprile Trump ha annunciato a sorpresa che, bontà sua, applicherà a tutti la tariffa del 10%, sospendendo per 90 giorni le aliquote maggiori. Fanno eccezione i dazi verso la Cina, elevati al 125%. Su una cosa però l’UE si dichiara allarmata: bisogna evitare che la Cina sposti su di noi l’interscambio bloccato con gli USA. Hai visto mai che ci propongano condizioni di import-export vantaggiose? Morbidi con gli USA, duri con la Cina! Notare che in tutto questo parlare e straparlare non è neanche contemplata una discussione in seno al Parlamento europeo.

Trump, con la consueta arroganza e malagrazia, ha detto che aspetta che i governanti degli altri stati vadano uno ad uno a “baciarmi il culo” (letterale). Il Governo italiano raccomanda prudenza. Meloni – anche lei in coda per andare personalmente da Trump – dice di essere ideatrice del piano A – quello da cretini, che chiama “zero per zero” – e che per aiutare le aziende patrie in difficoltà bisogna allentare il patto di stabilità (fare più debito pubblico) e rinviare sine die il Green Deal. Quest’ultimo – l’Accordo verde – andrebbe piuttosto accelerato, sia nelle batterie per auto, dove scontiamo uno svantaggio tecnologico di almeno 10 anni rispetto alla Cina, sia nelle tecnologie energetiche rinnovabili, dove in UE esistono già delle eccellenze. La Germania è il paese più intenzionato a rispondere a tono agli USA. Speriamo che riesca a trainare anche l’Italia e l’UE, altrimenti finiremo “cornuti e mazziati”.

10 Aprile 2025 0 Commento
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