ANCHE SE VI CREDETE ASSOLTI, SIETE LO STESSO COINVOLTI

di Domenico PALAZZO

Parlare di giovani e politica significa guardare all’oggi senza rinnegare la speranza. Significa riconoscere che una generazione sente il peso del presente, ma vuole progettare il futuro. E che se restiamo incapaci di tradurre le loro aspirazioni in politica concreta, sprechiamo una risorsa preziosa. 

Negli ultimi dieci anni, la partecipazione elettorale nella fascia 18-30 anni ha mostrato tassi inferiori rispetto alle fasce più adulte, ma non un disinteresse totale: piuttosto, una diffidenza strutturata. Secondo il rapporto Giovani, democrazia e partecipazione politica dell’Osservatorio Giovani-Istituto Toniolo, emerge che molti giovani vedono la politica distante, poco capace di parlare ai loro problemi reali. (rapportogiovani.it) 

Un confronto: alle politiche del 2022, la partecipazione dei giovani 18-34 anni è stata stimata intorno al 57,3 %, contro valori simili nelle fasce 35-49 anni e oltre, ma con dinamiche di astensione maggiori nei più giovani. (Wikipedia) In concreto: tra 31 e 50 anni, si registra una maggiore stabilità nel voto; tra 51 e 70 anni i tassi sono spesso più elevati (anche per ragioni socioeconomiche, radicamento, presenza nelle urne). 

Alcuni studi mostrano che la differenza non è enorme nelle elezioni politiche generali, ma diventa significativa se si guarda agli under-25: prima delle politiche 2018, un giovane su due tra gli under-25 avrebbe scelto di non votare. (Demopolis). 

Allora, cosa ci dicono questi numeri? Che molti giovani non votano, non perché non abbiano idee o passione, ma perché non vedono un’offerta politica che li rappresenti davvero. Quando la politica parla solo con linguaggio vecchio, con discorsi lontani dalle loro esigenze, con gerarchie immutabili, il risultato è che i giovani restano fuori. 

Eppure la questione del genocidio palestinese ha spalancato spazi di mobilitazione giovanile. Le piazze si sono riempite di studenti e under 30 che hanno manifestato solidarietà, capacità di indignarsi e di esigere: «non è normale che si muoia così». In quel momento, molti hanno ritrovato la percezione che la politica è anche un orizzonte di senso, non solo un meccanismo da cui sentirsi esclusi. 

Quella sensibilità – dolorosa, forte – potrebbe essere amplificata e trasposta in altri ambiti: nei temi dell’inclusione sociale, nei diritti LGBTQ, nella politica industriale (la delocalizzazione selvaggia che svuota territori e sfrutta lavoratori), nella cura delle aree interne che si spopolano. Quella stessa attitudine a non restare muti quando si uccidono civili può diventare attivismo stabile anche su questioni più “quotidiane”. 

Ma serve una politica che sappia ascoltare e coinvolgere. Non basta lamentarsi che “i giovani non votano” — occorre cambiare la chiave di lettura: pensare le politiche da giovani, con linguaggio, pratiche, strumenti loro congeniali. Voti digitali? Consultazioni nelle scuole? Proposte politiche co-costruite? Orizzonti territoriali vicini alle loro vite? Tutte queste sono strade da esplorare con coraggio. 

Va detto, però: non è solo colpa della politica. Spesso i giovani non fanno nulla per appassionarsi. Restano inchiodati nel quotidiano, nelle paure, nei meccanismi che scoraggiano. Ma è un circolo vizioso: se non cercano vie per partecipare, la politica non impara a includerli; se la politica non li include, loro non vedono motivo per entrare. 

E allora la speranza è che rompano quel circolo. Che sperimentino la partecipazione, che si avvicinino anche con piccoli atti: associazioni, movimenti, campagne locali, consigli di quartiere, leghe studentesche. Che si misurino con il fare concreto: proporre, protestare, costruire. 

In questi anni difficili e con lo spettro di un conflitto mondiale che aleggia sulle nostre teste, ai giovani serve coraggio — quello di non accettare l’ovvio, quello di rimettersi in gioco, quello di credere che cambiare le cose, se non vanno bene, è non solo possibile, ma urgente. 

  • Domenico Palazzo è nato a Campobasso il 2 settembre 1984; Guardiese dalla nascita, Termolese d’adozione dal 1998. Ha vissuto a Bologna e nel 2011 è tornato a vivere a Termoli, con una breve parentesi milanese.

    È laureato in chimica e tecnologia farmaceutiche. Ha lavorato in azienda fino al 2019, ricoprendo ruoli di direzione. Ad oggi insegnante di Scienze Naturali specializzato sul sostegno. Consigliere Federale di Europa Verde per il Molise, pubblica sul periodico L’Eguaglianza.

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