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Politica

IL LEVIATANO DELLA SANITÀ MOLISANA: POTERE, INERZIA E DIRITTI NEGATI

di Matteo FALLICA 29 Ottobre 2025
Scritto da Matteo FALLICA

Ronald Reagan, nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca, disse: “Nella crisi presente, il Governo non è la soluzione al nostro problema; il Governo è il problema”.

E questa frase torna alla mente ogni volta che si parla di sanità molisana.

Dopo sedici anni di commissariamento e 130 milioni di debito sanitario, mentre le criticità continuano ad aumentare, una domanda sorge spontanea: sono tutti incompetenti o, più semplicemente, i problemi non si vogliono risolvere perché non si devono risolvere?

Mentre i cittadini cercano un conoscente “con qualche aggancio politico” per ottenere una visita urgente, arriva un’altra notizia inquietante: il rischio concreto di perdere i fondi del PNRR destinati alla sanità regionale.

Il PNRR, infatti, ha stanziato 15,63 miliardi di euro per la Missione 6 “Salute”, di cui 7 miliardi dedicati alla sanità territoriale.

Un progetto ambizioso e necessario, ma sottoposto a una regola ferrea: se i fondi non vengono spesi in tempo, evaporano.

La piattaforma Regis (il sistema del Ministero dell’Economia che monitora la spesa del PNRR) parla chiaro: per gli Ospedali di Comunità del Molise, i pagamenti effettuati si fermano a un misero 1,7%, mentre il 98,3%dei fondi resta bloccato.

Stessa sorte per le Case di Comunità: pagamenti fermi all’1,6%.

Non è mancata la risposta dell’assessore, che ha precisato che i dati sono “vecchi”: ora non saremmo più all’1,6%, ma addirittura al 14%. Tutto bene, insomma. Temo che, a volte, la toppa sia peggio del buco.

Ognuno ha la sua lettura della verità; i numeri diventano opinioni di partito.

Ma la realtà è che le liste d’attesa restano interminabili, i reparti e gli ospedali pubblici chiudono, mentre il privato convenzionato cresce e si consolida, occupando gli spazi lasciati vuoti da un sistema pubblico in collasso.

In Molise è nata una nuova malattia amministrativa: il commissarismo.

Perché quel “-ismo” è la sigla di ogni potere che schiaccia la libertà e incarna il Grande Leviatano di Hobbes, sempre più bulimico di diritti e sempre meno capace di garantire i bisogni essenziali.

E così, tra fondi che non si spendono, ospedali che non si costruiscono e un commissariamento che sembra eterno, resta un dubbio sospeso ma sempre più pesante: e se, alla fine, questo commissariamento e questo collasso del pubblico facessero comodo a qualcuno?

Ecco, in fondo, l’attualità bruciante del pensiero di Ronald Reagan.

29 Ottobre 2025 0 Commento
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Politica

PER UNA PALESTINA LIBERA E PACIFICA

di Pino D'ERMINIO 28 Ottobre 2025
Scritto da Pino D'ERMINIO
  1. La quasi tregua nella Striscia di Gaza non è la pace

L’accordo di Sharm el-Sheikh del 13 ottobre 2025 non è la pace nella Striscia di Gaza e, men che meno, in tutta la Palestina. Nella Striscia si è instaurata una quasi tregua, con il ritiro delle forze armate israeliane da circa metà del territorio occupato, dietro la “linea gialla”, e “solo” qualche morto al giorno tra i palestinesi che superano o soltanto si avvicinano a tale linea. Per la popolazione della Striscia non c’è invece alcuna tregua alla fame ed alla sete, alla carenza di medicine e di presidi sanitari, alla perdita delle case e dei servizi più elementari. I cosiddetti aiuti umanitari vengono centellinati con esasperante lentezza ed in misura insufficiente ad una popolazione di oltre due milioni di abitanti, escludendo dalla loro distribuzione addirittura l’Agenzia dell’ONU per la Palestina (UNRWA) [1].

La situazione è drammatica anche in Cisgiordania ed a Gerusalemme Est, dove sono quotidiane le azioni squadristiche dei cosiddetti coloni, appoggiati e protetti dai militari israeliani, contro le persone ed i beni dei palestinesi. Omicidi, pestaggi, espropri, demolizione di case, abbattimento di oliveti ed altre colture, furto di acqua, limitazioni agli spostamenti, intimidazioni: questa è la quotidianità in Cisgiordania ed a Gerusalemme Est.

  1. Qual è lo scopo del progetto sionista

Il progetto sionista – nato ufficialmente con il primo congresso sionista, tenuto a Basilea nel 1897, allo scopo di creare uno stato ebraico in Palestina [2] – prevede la creazione in Palestina di una colonia di insediamento ebraica e la sostituzione etnica e culturale della popolazione autoctona, cioè il genocidio dei palestinesi. All’inizio del XX secolo la popolazione della Palestina era composta all’80% da mussulmani, al 10% da cristiani ed al 10% da ebrei, i quali si consideravano tutti indistintamente palestinesi, benché di diversa fede religiosa, e convivevano pacificamente. C’è anche stata unacorrente minoritaria del sionismo che proponeva parità di diritti per tutti gli abitanti del nuovo stato di Israele, indipendentemente dal credo religioso e dalla matrice culturale. Tale corrente è stata soffocata dal sionismo storicamente realizzato, che ormai non cerca neanche di nascondere l’intento genocidario dei palestinesi, il cui destino sarebbe di venire uccisi, con le armi e di stenti, o “sfollati”, cioè deportati, o di sopravvivere come subumani in regime di apartheid.

  1. Isolare e battere il progetto sionista è possibile

Isolare e battere il progetto sionista non sarà facile e richiederà decenni di caparbio impegno, affinché la Palestina torni ad essere una terra multietnica e multiculturale, una terra di libertà e di pace. Ciò può avvenire se lo stato di Israele viene isolato politicamente, economicamente, culturalmente e diplomaticamente, se l’intento genocidario ai danni dei palestinesi è denunciato e condannato, moralmente dai popoli, giudizialmente dalla Corte penale internazionale e fattivamente dalle istituzioni pubbliche. Due iniziative di contenuto economico e politico che andrebbero assunte immediatamente: l’Unione europea dovrebbe sospendere l’Accordo di associazione UE-Israele, il cui articolo 2 prevede l’obbligo per le parti di rispettare i diritti civili e democratici; l’Italia dovrebbe interrompere qualunque interscambio di armi con Israele.

Vittime del sionismo non sono solo i palestinesi, ma anche gli ebrei in generale, di cui Israele vorrebbe assumere la rappresentanza mondiale. L’identificazione degli ebrei con i sionisti non solo non corrisponde alla realtà, ma può stimolare pericolose spinte antisemite. Nella diaspora ed anche tra una coraggiosa minoranza di ebrei israeliani, esiste un movimento antisionista che rifiuta l’identificazione di tutti gli ebrei con i sionisti e che considera il sionismo un’aberrazione dell’ebraismo. Tale movimento va aiutato e valorizzato. La Palestina libera e pacifica sarà possibile se i palestinesi e gli ebrei antisionisti sapranno unirsi, affinché gli abitanti della Palestina siano tutti indistintamente palestinesi, senza discriminazioni confessionali, come è stato per secoli, prima che nel XX secolo cominciasse l’infiltrazione sionista.

[1] United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in Near East, in italiano: Agenzia delle nazioni Unite per il soccorso ed il lavoro dei profughi palestinesi in Medio Oriente.

[2] Inizialmente il focus era sulla creazione di uno stato ebraico, non necessariamente in Palestina; infatti Theodor Herzl, “padre” del sionismo, aveva pensato anche all’Argentina ed altri addirittura all’Uganda.

28 Ottobre 2025 0 Commento
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Politica

NEOLIBERISMO: TUTTO PROPAGANDA E FALSITÀ

di Michele BLANCO 26 Ottobre 2025
Scritto da Michele BLANCO

Sempre più abbiamo la sensazione di fare fatica a comprendere e discernere la realtà politica, economica e sociale che ci circonda, di vivere in un mondo falsificato, pieno di notizie false, esagerate, non verificate, che vengono sempre ripetute, all’infinito, in televisione e sui maggiori quotidiani e settimanali. Intanto intorno a noi troviamo masse di persone che sembrano completamente ipnotizzate da decenni di continue e mai smentite falsità e senza nessuna capacità critica di distinguere la realtà effettiva.

L’attuale sistema dominante è fondato sulla più assoluta e forte ideologia liberista che per la sua stessa fondamentale essenza si incardina sullo sfruttamento delle persone e sulle differenze di reddito, anche le più vergognose e ingiustificabili. Il neoliberismo accetta e vuole le grandi differenze di sociali e economiche, accetta la fame per miliardi di persone, incoraggia e implementa l’ignoranza che diventa necessaria per fare in modo che nessuno si ribelli alle sempre più diffuse ingiustizie.

L’intero apparato economico-politico che detiene il potere nel mondo occidentale fa continuamente ricorso alla menzogna, alle false notizie, come strumento di controllo della stragrande maggioranza della popolazione delle nostre “democrazie” dove non va più a votare nemmeno la metà degli aventi diritto.

In questo contesto triste gli Stati Uniti d’America sono la nazione dove le falsità, la manipolazione e le menzogne sono create e diffuse, più che in ogni altro Paese. Il Paese di Hollywood, del cinema, della finzione che crea, in continuazione false realtà parallele, dell’eterno racconto della frontiera americana, dove riescono a nascondere la verità, perché si è compiuto il grande Genocidio e il furto dei terreni ai nativi americani, del possesso libero delle armi, della violenza diffusa e del mito americano della continua ricerca di territori da colonizzare. Esattamente come, più di cento anni fa, ci ha mostrato l’analisi del capitalismo parassitario, fondamento dell’economia statunitense, fatta da Rosa Luxemburg: «il capitalismo, per proliferare, ha bisogno di sfruttare sempre nuovi territori in cui poter espandersi, ma poi, come succede ai parassiti che non possono alimentarsi senza distruggere le condizioni della propria sopravvivenza, non appena realizza l’obiettivo, esaurisce anche la fonte del proprio nutrimento».

Ma parlare della società degli Stati Uniti oggi equivale, per molti versi, anche alla società europea e soprattutto delle sue “classi dirigenti”. Noi tutti siamo cresciuti con i film hollywoodiani, con i progetti angloamericani di appiattimento culturale che presero il via già dagli anni cinquanta e che hanno attuato una progressiva sostituzione dei riferimenti di una cultura egemone su un’altra, a partire dalla lingua, e i cui effetti sono purtroppo sempre più evidenti. Questo avviene nel quadro di un progressivo annullamento degli Stati nazionali europei e in una continua sottomissione al potere delle grandi oligarchie che ci governano non tenendo conto della volontà effettiva dei popoli europei. Infatti l’Unione Europea, non è più percepita dai suoi cittadini come portatrice della giustizia sociale e dei diritti di cittadinanza. Tutto questo è accaduto negli ultimi decenni a partire dal momento topico in cui l’idea di democrazia “rappresentativa” ha vacillato non solo sotterraneamente, a in maniera palese. È accaduto poco prima della nascita dell’euro. Nel 1998, il presidente della Banca centrale tedesca, Hans Tietmeyer, dichiarò che: a decidere è il “plebiscito permanente dei mercati”, invece degli elettori. Nel 2007 Greenspan disse che “grazie alla globalizzazione sono i mercati mondiali a prendere le decisioni politiche”. Mario Monti espose tesi analoghe, da presidente del Consiglio, quando disse che non poteva negoziare il salvataggio dell’euro a Bruxelles “tenendo pienamente conto” del proprio Parlamento (in Spiegel intervista del 6.08.2012).

Nel mondo occidentale la democrazia reale, anche grazie alla profonda, continua e totale manipolazione propagandistica delle opinioni pubbliche, si riduce costantemente, resta solo formalmente in vigore. Infatti le elezioni si svolgono a scadenze regolari, e gli schieramenti politici che sembrano apparentemente opposti si presentano regolarmente al giudizio degli elettori. In questo modo si ha l’illusione che i cittadini eleggano liberamente le persone a cui affidare la gestione della cosa pubblica, nell’interesse delle comunità nazionali. Ma oggi tutto è inesorabilmente cambiato. La propaganda, fenomeno sempre esistito, è divenuta monopolio assoluto di un apparato mediatico strettamente intrecciato, asservito, per proprietà e incarichi, ad una esigua minoranza di persone ricchissime.

Viviamo tutti sotto il dominio del pensiero unico. Basti vedere come nei mass media poter criticare le politiche degli Stati Uniti d’America, di Israele, il capitalismo finanziario e le élite burocratiche che dominano l’Unione Europea è diventato chiaramente impossibile. Il dissenso sulle cose indicibili fatte dalla NATO (come ad esempio bombardamenti dei civili, ingerenze nella politica di Stati sovrani) viene sempre etichettato come antiamericanismo e collocato, sempre, al di fuori dell’arco costituzionale e del consesso civile. Chi esprime critiche, anche se vere e giustificate di fronte al terribile genocidio di un popolo intero, nei confronti di Israele, viene accusato di antisemitismo o, peggio, di sostegno al terrorismo, con implicazioni anche giudiziarie. Chi mette in discussione il capitalismo finanziario è subito tacciato di populismo o ingenuità, come se il capitalismo fosse il fine ultimo dell’umanità, mentre invece è solo una costruzione storica, neanche riuscita tanto bene viste le gravissime disuguaglianze che provoca e le enormi ingiustizie che ha sempre causato.

In questo contesto la menzogna è l’unica cosa di cui un sistema liberista non potrà mai veramente fare a meno. E ben sappiamo che un sistema liberista si autoregola nel distribuire le risorse solo tra chi le risorse le possiede già favorendo sempre i più ricchi. Il dibattito politico è reso volutamente superficiale e mai incisivo, diventa uno spettacolo, che mette a tacere la coscienza di popoli resi dipendenti, costretti a pensare ai loro bisogni più elementari, che con l’austerità, le privatizzazioni e la riduzione dello Stato Sociale diventano sempre più difficili da soddisfare.

Naturalmente il potere storicamente ha sempre raccontato cose non vere, ha sempre deformato la realtà per mantenere i suoi privilegi. Ma, negli ultimi cento anni tutto questo è diventato esageratamente sistematico. È nata una vera e propria scienza del falso e della propaganda, con i suoi studiosi e politici.

Oggi migliaia e migliaia di agenzie, fondazioni, associazioni finanziate dai governi occidentali, capillarmente diffuse in tutto il mondo, operano una costante azione di distorsione e manipolazione della realtà.

In questo contesto falso e manipolato i neoliberisti ci hanno fatto credere che il nostro nemico erano i poveri, gli ultimi, i migranti che “ci tolgono il lavoro”, tutti quelli che non hanno niente o molto poco, ci hanno fatto credere che il nostro nemico erano le persone come noi di altre nazioni solo perché credeva in un’altra religione o parlava un’altra lingua.

Le nazioni occidentali si dichiarano a favore del diritto internazionale, ma fanno continuamente invasioni e guerre illegali; gli Stati Uniti, con la complicità di alcuni Stati occidentali, hanno permesso e istigato sostituzioni etniche, hanno ispirato colpi di stato sanguinari e l’instaurazione di regimi sanguinari e fascisti; in alcuni casi con colpi di stato guidati dai loro servizi segreti (come la CIA) definiti rivoluzioni colorate.

La falsa informazione in questi anni ci ha spaventato con le bombe e le stragi; ci ha spaventato con le malattie e lo spread. La stampa e i telegiornali ci hanno detto che noi italiani eravamo degli spendaccioni impenitenti, mentre, esattamente al contrario, per decenni abbiamo soltanto finanziato gli interessi passivi su un debito pubblico voluto e deciso altrove, senza ricevere niente in cambio, al contrario ci hanno imposto austerità e la continua e totale distruzione di uno stato sociale costruito in decenni di lotte; ci hanno fatto credere “che non c’era alternativa, che la presenza dello Stato era un problema”.

La percezione della realtà da parte della stragrande popolazione ovviamente è altamente alterato e falsificato, Tutte le società inserite in un sistema liberista si riducono a un grande mercato con l’unico scopo del profitto per i sempre più poche e senza nessuna morale: Tutto si può comprare, di conseguenza tutto si vende, tutto diventa merce e, nella stesso modo in cui si comprano e si vendono i beni e i servizi, si comprano e si vendono i sentimenti, la cultura, i titoli e le lauree, l’onestà, la libertà, la dignità.

La realtà si deve semplificare e massificare. In questo contesto sociale e politico ogni dissenso o ribellione viene normalizzata, ogni sentore di risveglio viene manipolato e inibito.

In Italia e in Europa abbiamo avuto da decenni partiti che si autodefiniscono “progressisti” e sindacati che sono stati complici e servi del neoliberismo che esporta morte, guerra, dittature e sopraffazione per i deboli nel mondo intero.

Oggi c’è un più che oggettivo e necessario bisogno della rinascita di partiti con programmi esplicitamente socialisti democratici ma definitamente senza le inutili scorie neoliberali di derivazione blairiana, che hanno fatto in modo che un sistema che genera sfruttamento ed ingiustizie sia stato incredibilmente accettato, a partire dagli anni 80 del secolo scorso, anche dai governi che si definivano di sinistra soprattutto nell’Europa occidentale. Quindi una vera e propria socialdemocrazia che ritrovi la sua vera missione originaria di lotta per l’emancipazione delle classi lavoratrici, degli eslusi e di tutti i ceti popolari. Questi nuovi partiti socialisti e veramente progressisti devono portare avanti un forte progetto assolutamente finalizzato alla profonda trasformazione in meglio dell’esistente per assicurare benessere, istruzione e educazione gratuita, sanità accessibile a tutti. Una forza politica impegnata in prima linea per la pace e la lotta contro le forze neoliberiste e reazionarie. 

26 Ottobre 2025 0 Commento
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Politica

COME LA GRECIA

di Michele BLANCO 19 Ottobre 2025
Scritto da Michele BLANCO

La decisione del governo greco sembra oggi un’enormità, ma avviene nel contesto di politiche europee che vanno incredibilmente nella stessa direzione

Tredici ore di lavoro al giorno e la Grecia torna cavia d’Europa. Ma il rischio e pericolo è per tutti i lavoratori europei, andiamo tutti dalla stessa parte.

Eppure più di un secolo fa l’11 Novembre 1917 il Paese dei Soviet, l’Unione Sovietica, decretò l’abolizione totale del lavoro minorile e la giornata lavorativa di 8 ore. Poi ridotta ulteriormente a 6 ore negli anni 30.

Più di un secolo dopo nell’Unione Europea “libera e democratica” il Parlamento di uno Stato membro vota per allungare la giornata lavorativa a 13 ore.

Il reale rischio è che una volta sdoganato, dopo la Grecia toccherà all’Italia e piano piano a tutti gli altri.

I liberisti, che come al solito si credono i più furbi, ci spiegano che la giornata lavorativa “può estendersi a 13 ore solo se il lavoratore è d’accordo!”

Con lo stesso principio si potrebbe anche ripristinare la schiavitù “a patto che il lavoratore acconsenta”.

E grazie ai ricatti padronali, alla crisi economica e alla disperazione sempre più diffusa in molti sono disperati.

Nel 1973 gli USA dei Chicago Boys fautori del neoliberismo affidarono alla CIA l’ordine di abbattere il Governo di Salvador Allende e le sue misure di giustizia sociale e di sostituirlo con il dittatore sanguinario Pinochet e con una politica economica ferocemente ultraliberista imposta alla popolazione con la forza coercitiva della tortura e dei desaparecidos.

Oggi non è più necessario fare i colpi di Stato, come in Cile.

Il liberismo ti leva ogni diritto – si pensi che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è stato abolito da Renzi segretario del PD e presidente del consiglio dei ministri di centrosinistra – ti umilia, ti tende precario, ti riduce in miseria ma poi non ti impone forzatamente nulla.

Sarai Tu a scegliere “liberamente e democraticamente” di essere “sfruttato e schiavizzato”.

Attenzione perché non viene ricordato a sufficienza, dieci anni fa la Grecia fu la cavia delle peggiori sperimentazioni delle politiche di austerità, in obbedienza ai famigerati “Memorandum” imposti, al governo di sinistra di Tsipras, dalla “Troika”, di cui era figura centrale Mario Draghi come presidente della Bce e guida reale il ministro delle finanze della Germania, Schauble.

Ora quel ruolo di sede di sperimentazioni antisociali feroci, la Grecia lo assume di nuovo con il governo di destra di Mitsotakis.

In Germania il cancelliere Merz annuncia la necessità di aumentare l’orario di lavoro nel paese ove i metalmeccanici avevano conquistato le 35 ore. Victor Orban in Ungheria si è mosso prima, con una legge che imponeva 400 ore di straordinario obbligatorie all’anno senza la certezza della retribuzione. Anche questa è stata definita legge schiavitù, ma la Corte Costituzionale ungherese nel 2021 l’ha bocciata.

Allora il pericolo per il mondo del lavoro è attuale e incombe su tutti. Se esiste o può rinascere una sinistra italiana ed europea è questo il momento della lotta e della mobilitazione per salvare i diritti sociali e dei lavoratori.

19 Ottobre 2025 0 Commento
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Politica

LA PROPAGANDA DISTRUGGE

di Michele BLANCO 19 Ottobre 2025
Scritto da Michele BLANCO

L’Unione Europea sta restando vittima della sua stessa propaganda. Oggi la situazione reale dei fatti vede da una parte l’UE impegnata in una guerra, inutile e evitabilissima, fatta per procura contro la Russia sul territorio ucraino, dall’altra parte viene umiliata e sconfitta dal confronto sui dazi con gli Stati Uniti.

Oggi nell’UE: i fatti vengono travisati e si considera vera la propria propaganda.

La guerra che si combatte sul territorio ucraino in realtà è dovuta, come l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel ci ha ben spiegato in più interviste, alla violazione ucraina degli accordi di Minsk ed è apparsa sin da subito, agli osservatori neutrali e informati, una “guerra per procura” (la definizione è di Lucio Caracciolo). L’invio da anni di consiglieri e addestratori militari americani, inglesi, francesi; enormi aiuti in armamenti, intelligence, protezione satellitare, continue e reiterate sanzioni economiche alla Russia (dirette e indirette) con blocco di enormi capitali russi nelle banche occidentali, da parte USA, UE e Regno Unito, dimostra chiaramente che questo è il modo di far guerra nel tempo presente, colpendo l’economia per prima e poi con le armi. Ma la narrazione dei  mass media occidentali, che si continua a scrivere e a ripetere in ogni sede e in ogni forma, è che si tratta di una guerra tra Davide (Ucraina) e Golia (Russia).

Nessuno ormai capisce l’utilità e nemmeno il destinatario di una tale manipolazione autoreferenziale, visto che l’opinione pubblica è stufa della guerra e ne patisce sempre più gli effetti nell’economia, per primo tracollo del valore reale dei salari per effetto del crescente costo della vita determinato dai costi ingigantiti dell’energia.

Da registrare che la nuova amministrazione USA pretende che il costo delle armi regalate agli ucraini sia tutto pagato da noi europei, mentre gli utili saranno delle industrie della morte statunitensi.

Inoltre il Regno Unito è sul campo il leader della condotta bellica dell’UE (dalla quale il Regno Unito si è separato da molti anni). La UE si lascia ormai pilotare dal primo ministro britannico su di un tema così scottante e altamente pericoloso.

L’altra guerra, quella dei dazi con gli Stati Uniti, ha determinato, giustamente, non soltanto crescente sfiducia verso la Commissione UE ma anche frantumazione nelle reazioni dei vari paesi, nonché l’effetto tragicomico della coatta euforia della stampa, costretta a proclamare che “tutto sommato è andata bene”. Bene cosa ? Non soltanto le esportazioni, per esempio italiane, tra le nazioni più colpite dai dazi USA, verso gli Stati Uniti diminuiranno del circa 20%, ma l’UE dovrà acquistare dagli USA combustibili fossili e nucleare per 750 miliardi di dollari in 3 anni e investire in USA circa 600 miliardi di dollari. Inoltre gli USA hanno imposto a tutti i 27 paesi UE di spendere il 5% del PIL in armi, ma queste armi dovranno essere acquistate in USA: il che significa un altro flusso di denaro UE verso il vero e proprio “padrone”. Per fare un esempio è come se avessimo perso una guerra e ci venissero imposte clausole di “riparazione” analoghe a quelle che la pace di Versailles impose alla Germania sconfitta.

Invece di cedere e farsi umiliare da Trump l’Unione Europea doveva respingere su tutta la linea le assurde pretese della amministrazione statunitense.

Basti ricordare che la popolazione dell’Unione Europea è di 450 milioni di persone, gli USA hanno 347 milioni di abitanti.

Persino un quotidiano, che si distingue per una posizione guerrafondaia, come La Repubblica, il 7 settembre 2025, pubblica una intervista di Francesco Manacorda al professore Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia 2001, in cui lo stesso non usa giri di parole: “L’Europa deve imparare a vivere senza gli Stati Uniti, o almeno a fare sempre meno affidamento su Washington. È la sola strada perché conquisti una vera sovranità economica e politica”. E a fronte delle grandi e giustificate preoccupazioni mondiali sul ruolo attuale degli USA e delle Big Tech propone soluzioni molto drastiche. Sostiene che “Trump è il caos”. E alla domanda su come si possa resistere alla nuova amministrazione Usa, Stiglitz risponde: “La lezione è chiara: non si può capitolare. Chi ha resistito, come la Cina, ha visto Trump fare marcia indietro. Chi ha ceduto, come ha fatto l’Europa sui dazi, dopo pochi giorni si è trovato di fronte a nuove pretese; ad esempio l’abolizione delle tasse digitali. Bisogna sempre ricordare che un accordo con Trump non vale la carta su cui è scritto: il suo è un mondo di fatto, è senza legge, difficile da comprendere per chi è abituato allo Stato di diritto”.

19 Ottobre 2025 0 Commento
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Politica

ITALIA, POVERTÀ DA RECORD

di Michele BLANCO 15 Ottobre 2025
Scritto da Michele BLANCO

Italia la situazione reale diventa sempre più preoccupante, i dati reali ci restituiscono una Italia con  povertà da record.

L’Italia affonda nella povertà assoluta. Nel 2024, 5,7 milioni di persone – il 9,8% dei residenti – vivono sotto la soglia minima. Sono 2,2 milioni le famiglie indigenti, il numero più alto mai registrato.

La fine del Reddito di cittadinanza, l’assenza di un salario minimo e il mancato sostegno alle famiglie con figli stanno scavando un solco sempre più profondo tra chi ha e chi non ha. Le cifre dell’Istat mostrano un aumento della povertà anche tra operai, genitori single e famiglie numerose, con picchi al Sud e tra i 35-64enni.

Tra le famiglie con tre o più figli, una su cinque è povera. Tra gli stranieri, la povertà tocca punte del 35%, e oltre 1,3 milioni di bambini crescono senza risorse adeguate. Anche chi lavora non è al sicuro: l’8,7% dei lavoratori dipendenti è povero, una quota che sale al 15,6% tra gli operai.

La promessa della “ripresa” si è tradotta in tagli sociali e precarietà. Il Paese è senza ombre di dubbi più fragile, dove il lavoro non basta per vivere e la disuguaglianza cresce.

L’Italia non è solo ferma: arretra. E lo fa sulle spalle dei più deboli, mentre la politica discute di bonus e cantieri.

Dati in sintesi:

5,7 milioni di poveri assoluti

2,2 milioni di famiglie indigenti

+13,8% povertà tra i minori

+35% tra famiglie di soli stranieri

Povertà record tra operai e al Sud

“Un Paese dove il lavoro non basta più per vivere”.

Vi sembra normale tutto questo?

15 Ottobre 2025 0 Commento
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Politica

PICCOLA CONSOLAZIONE MA GRANDE SPERANZA

di Michele BLANCO 14 Ottobre 2025
Scritto da Michele BLANCO

Una notizia buona, finalmente la Destra è stata sconfitta. Ma ancor di più si è verificata la catastrofica sconfitta della lega di Vannacci, un militare prestato alla politica, che ha perso ogni onore dal momento che ha patteggiato per l’esercito israeliano, i cui cecchini sparavano ai bambini palestinesi.

Purtroppo la notizia cattiva: la caduta inarrestabile della partecipazione al voto. Anche in una regione con una lunga storia di democrazia partecipativa, sono inesorabilmente dilagate indifferenza, se non aperta, ostilità verso i partiti. La gravità di tutto questo è che i partiti pensano che tutto sommato l’astensionismo sia tollerabile, non vogliono fare i conti con questa onda di grave ma giustificata insoddisfazione sociale.

Alla base di questa faglia che progressivamente spacca la democrazia c’è la mancanza di una vera e reale alternativa.

Purtroppo si tratta della dannazione del Campo Largo, che perseguita il centro-sinistra, anche quando vince. In Toscana la polarizzazione è più che evidente, con il 9% a Casa Riformista; Avs + M5S (che nella passata consiliatura erano all’opposizione) 11,5%. A centro il PD (34%, il primo partito pur perdendo 126 mila voti) che riassume in se le gravi contraddizioni dello schieramento del cosiddetto “campo largo”, essere di sinistra e insieme di destra su tutto, dalle grandi questioni nazionali (lavoro, riarmo, Palestina) a quelle sul territorio , dalle infrastrutture all’acqua pubblica.

Nella minoranza che va a votare si possono contare le relazioni di interesse, i gruppi di pressione, la rete dei sindaci e questo dà forza, in tutte le elezioni regionali, ai Presidenti uscenti come Giani in Toscana, che infatti prende più voti dell’insieme dei partiti che lo sostengono.

È probabilmente ragionevole pensare che questo metodo faccia vincere il Campo Largo in Campania e in Puglia. Ma alle elezioni politiche sarà convincente un insieme di partiti senza un vero progetto di governo, senza una chiara base progressista programmatica?

Intanto molti giovani e meno giovani che hanno la Palestina nel cuore hanno votato Toscana Rossa e, nonostante la tagliola della legge elettorale, questa è una bella novità, che dovrebbe fare riflettere una sola lista di sinistra, senza nessuna possibilità di vincere, che prende, malgrado il grande astensionismo degli elettori di sinistra, quasi gli stessi voti della “casa riformista”.

14 Ottobre 2025 0 Commento
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Politica

LA DIFFICILE PACE IN UCRAINA SI GIOCA SU DIVERSI TAVOLI

di Gianni PRINCIPE 13 Ottobre 2025
Scritto da Gianni PRINCIPE

Nelle analisi degli esperti più rigorosi e “terzi” resta ancora un’incognita il possibile esito della guerra in Ucraina stando alla ricostruzione della situazione nei suoi tratti essenziali.

Un dato acquisito, che la propaganda delle parti in gioco non può contestare, è che la Russia sta vincendo la guerra ma non l’ha vinta. E che l’Ucraina, al momento, non mostra alcuna volontà di arrendersi. Il quadro di contorno vede un ampio fronte di paesi occidentali dichiarare la volontà di assicurare il massimo appoggio all’Ucraina, mentre negli USA la posizione di Trump è poco decifrabile, e probabilmente poco consolidata, sia quanto all’ipotesi di una resa dell’Ucraina che quanto al nodo della sua adesione alla NATO, che era stato per il suo predecessore il motivo dirimente per non avallare un’intesa tra Russia e Ucraina.

A fronte di questo quadro si può ritenere (ricorrendo a un’espressione rozza ma efficace di Trump) che “le carte” da giocare siano, al momento, in mano alla Russia: che stia, cioè, a Putin decidere se offrire all’Ucraina un’intesa risolutiva che possa accettare o, in alternativa, perseguire la vittoria sul campo e la resa dell’Ucraina. Le mosse attuali della Russia di Putin mostrano che una decisione tra queste alternative non è stata presa.

Putin è chiamato a soddisfare due esigenze che sono tra loro in netto contrasto. Deve evitare di giungere a una situazione sul campo che si configuri come uno stallo tale da implicare il ricorso all’arma atomica o nucleare: una simile mossa rappresenterebbe un enorme azzardo, non solo per gli equilibri globali del pianeta considerate le possibili ritorsioni delle potenze nucleari in campo avverso, ma anche per la reazione che innescherebbe nel fronte (BRICS e SCO) che al momento rappresenta, con la sua posizione di equidistanza, la maggiore copertura politica per la Russia. Sull’altro piatto della bilancia deve però porre le possibili ripercussioni interne, connesse all’aspettativa che la guerra ha suscitato nell’opinione pubblica russa per il modo in cui Putin stesso ha inquadrato l’invasione dell’Ucraina, come questione vitale per l’esistenza della nazione. A questo proposito un dato a cui non si dà rilievo adeguato è che, stando alle rilevazioni indipendenti dell’istituto russo Levada, a fine 2021 il consenso popolare per Putin aveva toccato il livello più basso di sempre, dalla sua investitura nel secolo scorso, a causa dell’andamento disastroso dell’epidemia da Covid (un livello record di decessi in rapporto alla popolazione) che andava a sommarsi a un quadro economico negativo. E che, viceversa, dopo il fallimento della controffensiva ucraina, nel 2023, ha raggiunto il massimo di sempre. La narrativa “occidentale”, che descrive un conflitto esistenziale tra la democrazia liberale e le autocrazie, riduce l’opinione pubblica di un paese come la Russia a puro contorno, fondale di una scena dominata dall’autocrate, trascurando invece elementi che hanno invece un peso decisivo nelle scelte di governo, come il rischio che “l’orgoglio della nazione russa” non sia abbastanza gratificato.

Appare da rivalutare, in questo quadro incerto, il contenuto dell’intesa raggiunta nel 2022 qualche settimana prima dell’invasione: nessuna pretesa territoriale da parte russa, nessun veto sull’adesione all’UE ma la garanzia di una rinuncia definitiva all’ingresso nella NATO. Il rappresentante ucraino si esprimeva allora in termini assai favorevoli mentre il negoziatore russo appariva molto meno ottimista: in effetti, un attore importante era rimasto fuori. Più che la NATO – il cui segretario Stoltenberg dichiarava che la sola via di soluzione della crisi incombente era un accordo – l’asse USA-UK. Tant’è che in contemporanea l’ambasciatore USA a Mosca consegnava una dichiarazione con cui gli USA respingevano l’ipotesi di rinunciare all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, su cui lavoravano sin dal 2008. Dunque, in base agli atti formali si può affermare che l’ingresso della Ucraina nella NATO era una condizione irrinunciabile per gli USA ma non per gli ucraini; e che per la Russia la condizione irrinunciabile non era l’annessione delle regioni del Donbass ma l’attuazione degli accordi di Minsk, che stava a cuore alla UE ma non agli USA. Del resto, la Merkel avrebbe confessato in seguito di aver “preso tempo” firmando quel trattato, conoscendo la posizione USA.

Quanto consenso rischia di perdere Putin tornando al 2022? Entro quali margini l’Ucraina può cedere sulla sua integrità territoriale? Quali probabilità di riuscita avrebbe un ritorno a Minsk nelle condizioni attuali? A queste domande risponderanno i prossimi eventi, su cui sarebbe un esercizio vano formulare previsioni. Al di là dei diretti contendenti, le incognite riguardano, da un lato, il peso che Trump e il deep state annettono alle contropartite economiche (vendita di armi per “garantire la sicurezza” ucraina, ricostruzione, risorse minerarie) rispetto all’allargamento della NATO; dall’altro, fino a che punto la Cina e i suoi interlocutori al tavolo dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai sono disposti a “coprire” una guerra a oltranza della Russia che finisca per indebolire la strategia tendente a un ordine mondiale multipolare basato sulle regole anziché sulla legge del più forte, condivise (statuto ONU) anziché interpretate dai pretesi gendarmi del mondo, se a questo davvero mirano. A maggior ragione se questo tornasse ad essere (contrariamente all’attuale posizione ancillare) l’orizzonte entro cui va a collocarsi un’Europa di nuovo protagonista: quindi, con ben altri leader rispetto a quelli attuali. 

Di protagonismo si può parlare, piuttosto, per il popolo europeo che ha fatto scoccare la scintilla della mobilitazione che ha portato allo scoperto, oltre a tutta la nefandezza e la disumanità che era alla base dell’eccidio in corso a Gaza, la sua fragilità. La vicenda non è chiusa ma ora si è raggiunta una chiarezza che prima mancava: nessuno potrà più dire “io non capivo”. La stessa chiarezza serve per la vicenda ucraina ma, purtroppo, né in Russia né in Europa è ancora scoccata quella scintilla: eppure, parliamo di una vicenda che sta comportando morti e distruzioni per i due popoli direttamente coinvolti nella guerra ma anche un degrado delle condizioni di vita di gran parte dei popoli europei. La Marcia Perugia-Assisi ha visto uniti i simboli di Russia e Ucraina, come le bandiere di Israele e Palestina. La partecipazione è stata incoraggiante, anche per l’ampia presenza giovanile: ma la strada da compiere è ancora lunga. 

13 Ottobre 2025 0 Commento
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Politica

IL CASO MACRON: COME LE ÉLITE NEOLIBERISTE SCELGONO “CAPI INADEGUATI” E CERCANO DI ESCLUDERE LE PERSONE CAPACI

di Michele BLANCO 12 Ottobre 2025
Scritto da Michele BLANCO

Negli ultimi anni sembra affermarsi un paradosso che caratterizza la storia contemporanea e le sorti della politica, dell’economia e perfino lo sviluppo delle grandi aziende. Si nota che più il potere, economico e politico, si concentra in poche persone, più tende a circondarsi di persone palesemente inadeguate, se non del tutto incapaci.

In realtà non è un errore, è un metodo “scientifico”.

Le élite nella storia raramente hanno scelto leader troppo competenti, o liberi e autonomi. Una persona ai vertici, politici o di una grande azienda multinazionale, molto capace è anche un capo potenzialmente pericoloso, tra le altre cose, può pensare con la propria testa, essere imprevedibile, disobbedire, rompere gli equilibri, agire fuori dagli schemi, dai programmi prestabiliti, insomma non rispettare le indicazioni date da chi effettivamente detiene il potere. Quindi molto meglio allora avere ai vertici figure mediocri che eseguono gli ordini, attoriali, estremamente docili e riconoscenti, oltre che non troppo intraprendenti.

Infatti l’incompetente non minaccia o combatte il sistema: lo accetta e lo protegge. Lo aveva intuito già C. Wright Mills ne “The Power Elite” (1956), dove affermava che il potere reale non risiede nei ruoli visibili, ma nelle strutture che li selezionano.

Allo stesso modo, i sociologi italiani Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, padri della teoria delle élite, descrivevano un meccanismo di autoriproduzione delle classi dirigenti, dove la lealtà conta estremamente di più del merito.

Sosteneva Alexis de Tocqueville, osservando la società statunitense dell’ottocento, che “La mediocrità è la vera sicurezza del potere.”

Il risultato odierno è un sistema in cui i vertici visibili, come politici, manager, amministratori, diventano interfacce relazionali: parlano, firmano, si espongono, si indignano, pronunciano discorsi senza valore reale, recitano ma raramente decidono davvero. Tantomeno i politici tengono in considerazione quello che vorrebbero gli elettori che gli hanno votati.

Dietro di loro agiscono reti di potere, oggi neoliberista, che preferiscono restare invisibili, ma che dettano le regole del gioco, sempre con metodo antidemocratico.

Così la mediocrità non è più un difetto: diventa una strategia di sopravvivenza del potere per il potere.

E chi è stato scelto per obbedire, finirà per scegliere, a sua volta, altri obbedienti, mediocri e incapaci. Infatti Karl Kraus sosteneva che “Le persone più pericolose sono gli incapaci pieni di potere”.

L’incompetenza e l’incapacità al potere non è un incidente della storia, ma la sua più sofisticata invenzione. Il mondo non è governato veramente da chi sembra governarci è governato da chi ha avuto il genio di metterli lì perché dietro ogni leader inetto c’è sempre qualcuno che ha capito perfettamente come trarre vantaggio dalla sua inettitudine.

Emmanuel Macron sembra incarnare perfettamente la figura di chi pur avendo la maggiore carica politica francese, nella realtà, esegue degli ordini e un programma rigorosamente neoliberista, con l’imprimatur principale di togliere le tasse ai supericchi, prestabilito dai suoi sponsor delle élite del potere. Egli cerca un governo che possa tenerlo al potere, ma non ci riesce, l’ultimo primo ministro incaricato è Sébastien Lecornu, suo fedelissimo, incaricato per tre volte. Ma i partiti di centro, liberali e ultraliberisti, che lo sostengono sono sempre più minoritari, nell’Assemblea nazionale e molto di più nel paese. La politica macroniana antipopolare e liberista è stata chiaramente sconfitta alle elezioni del 2024 e se Macron avesse un minimo di dignità personale si sarebbe già dovuto dimettere.

In realtà egli resta al potere per compiere la sua “missione”, fare in modo che le proprie scelte neoliberiste non vengano eliminate dalla politica democratica francese: in modo particolare la sua scelta di proteggere dal fisco le grandi ricchezze, infatti gli unici che l’hanno sempre sostenuto sono i superricchi francesi. Per fare questo Macron difende la sua antipopolare riforma delle pensioni che gli elettori francesi a stragrande maggioranza, di estrema destra e di sinistra, respingono totalmente. Questa “riforma” colpisce le classi medie e basse e salvaguardia i soliti pochi ultraricchi. 

Macron è “solo davanti alla crisi”, affermano i maggiori giornali e reti tv, ma la realtà è diversa, molto diversa. 

Macron è appoggiato dai possessori dei grandi patrimoni, le multinazionali, tutte le imprese raggruppate nella confindustria francese (Medef). Macron è la loro espressione politica, egli è il loro pupazzo, senza di loro, con il forte appoggio dei loro giornali e i loro finanziamenti non sarebbe riuscito a manipolare per tanti anni l’opinione pubblica francese. Infatti ai potenti dell’economia lui promette, e mantiene le sue promesse, con regali fiscali fin da quando fu eletto nel 2017. Oggi solo il 13-14% dei francesi lo approva, malgrado giornali e televisioni lo incensano come sempre scrivendo che “non c’è alternativa”, come affermava la Margaret Thatcher, Ex Primo ministro del Regno Unito, che per prima abbassò le tasse ai ricchi e buttò sul lastrico milioni di lavoratori inglesi.

Sempre i soliti giornali e televisioni insistono sulla riforma delle pensioni che l’80% dei francesi disapprova, infatti la sinistra e l’estrema destra la vorrebbero abrogare. 

Ma Macron resta al potere perché l’establishment economico-finanziario teme la tassa giusta sui redditi degli ultraricchi, conosciuta come tassa Zucman, dal nome dell’economista suo ideatore Gabriel Zucman. 

Si tratta di un’imposta minima, applicata solo ai patrimoni di chi ha redditi annui superiori a 100 milioni di euro. Con gli introiti di questa tassa minima ai supericchi si salverebbe lo stato sociale e anche le pensioni, grazie a un introito certo di 15-25 miliardi annui. Ma la confindustria erige le barricate a difesa dei regali fiscali di Macron e preme in prima linea sui deputati dell’Assemblea nazionale. L’organizzazione imprenditoriale ha diffuso nelle settimane scorse un opuscolo confidenziale che spiega ai singoli deputati la catastrofe che potrebbe derivare dalla tassa Zucman o tasse somiglianti: fuga di capitali, instabilità, caos infine. Ma nel compilare questo opuscolo si cita, con grande falsità e inesattezze, l’esodo dei capitali in Norvegia, quando fu approvata una tassa simile. Ma nell’opuscolo non si dice la verità infatti quell’imposta norvegese colpiva i redditi annui superiori a 1,7milioni di euro, non i 100 milioni annui indicati da Zucman. La tassa viene descritta, sempre mentendo, come “predazione della ricchezza”.

Ma per fortuna la maggioranza assoluta dei francesi sostiene la proposta di tassazione Zucman, si tratta dell’86%, la maggioranza dei francesi non si fa abbindolare dalla propaganda manipolatoria delle grandi lobby economiche e finanziare.

Per capire qualcosa del caos francese occorre andare indietro nel tempo e individuare il momento in cui l’idea di democrazia “rappresentativa” ha vacillato non solo sotterraneamente, ma in maniera palese. È accaduto poco prima della nascita dell’euro. Nel 1998, il presidente della Banca centrale tedesca, Hans Tietmeyer, dichiarò che: a decidere è il “plebiscito permanente dei mercati”, invece degli elettori. Nel 2007 Greenspan disse che “grazie alla globalizzazione sono i mercati mondiali a prendere le decisioni politiche”. Mario Monti espose tesi analoghe, da presidente del Consiglio, quando disse che non poteva negoziare il salvataggio dell’euro a Bruxelles “tenendo pienamente conto” del proprio Parlamento (in Spiegel intervista del 6.08.2012). 

Incredibilmente da allora chiunque sinceramente sostenitore della democrazia e della sovranità popolare viene accusato di populismo guarda caso, in Italia come in Francia, dai grandi giornali e dalle televisioni di proprietà dei soliti ultraricchissimi. Nella strategia di Macron e dei suoi sponsor della confindustria francese la sinistra francese doveva essere sfasciata ed il tentativo di unione nelle Legislative del 2024 andava affossato. È quello che è accaduto.

Infatti Macron allora ha reso esplicito il suo rifiuto di dare l’incarico a un esponente della sinistra, affermando che “i mercati avrebbero reagito male”, notiamo l’assoluta mancanza di rispetto della volontà popolare espressa con voto democratico, e avviando consultazioni il cui scopo è stato quello di favorire la costituzione di un’altra maggioranza relativa, anche contro il chiaro responso delle urne. Macron ha cercato nell’Assemblea nazionale una nuova maggioranza che sia omogenea rispetto alle politiche neoliberiste, invise dalla stragrande maggioranza del popolo francese, che nella legislatura precedente erano state portate avanti dal governo di minoranza guidato dal suo partito. Dopo alcune settimane, e lunghe “consultazioni”, arriva l’incarico a Michel Barnier, uomo della destra gollista tradizionale, che non dispiace affatto a Le Pen.

L’aspetto più grave della situazione francese è che il Presidente Macron ha fatto chiaramente capire di non essere disposto a riconoscere la legittimità di indirizzo politico, chiaramente voluto dai cittadini attraverso il voto democraticamente espresso. 

Naturalmente questo è il risultato tendenzialmente paternalista del presidenzialismo alla francese, non a caso modellata sulla figura di un leader sui generis come Charles de Gaulle, che si sta evolvendo dunque in una direzione chiaramente antidemocratica e esplicitamente autoritaria. In questo autoritarismo si vede la chiara impronta di uno dei capisaldi dell’ideologia neoliberale, che consiste sempre nel mettere la politica economica, guidata solo da principi di favore per il capitale, a favore dei ricchi, al riparo dalle interferenze che possono derivare dalla formazione di maggioranze parlamentari democraticamente elette che potrebbero perseguire indirizzi redistributivi dei redditi e delle ricchezze.

Un principio del neoliberismo che in tutto il mondo favorisce le disuguaglianze economiche. In fondo è il solito modo di fare, “spezzare le reni alla sinistra”, anche attraverso la forza, in questa insana e antidemocratica prospettiva che persegue l’obiettivo di subordinare il lavoro all’impresa, l’eguaglianza all’efficienza. Tanto peggio se questo vuol dire restringere la libertà di scelta o di manifestazione delle opinioni.

Quello che è accaduto dalle ultime elezioni legislative (Luglio 2024) ad oggi in Francia, ci dice come viene elusa la democrazia non rispettando la volontà del popolo liberamente espressa in libere elezioni. Ma in contesto del genere si può ancora parlare di democrazia?

12 Ottobre 2025 0 Commento
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Politica

PALESTINA LIBERA E PACIFICA: UTOPIA POSSIBILE 

di Pino D'ERMINIO 8 Ottobre 2025
Scritto da Pino D'ERMINIO

L’intento genocidario, essenza dell’ideologia sionista, ha avuto negli ultimi due anni la più limpida e tragica manifestazione. Dopo il 7 ottobre 2023, nella Striscia di Gaza sono stati rasi al suolo l’80% degli edifici – inclusi ospedali, scuole ed università – distrutte le reti idriche e fognarie, divelti gli oliveti, più di due milioni di abitanti sono stati ridotti alla fame ed alla sete, ne sono stati uccisi almeno 70.000 e feriti 170.000. In Cisgiordania, nello stesso periodo, si stimano 1.300 palestinesi uccisi ed almeno 10.000 feriti, gli sfollati sono stati centinaia di migliaia e migliaia gli arresti indiscriminati, senza accuse né processi. 

Tutto ciò non è “soltanto” una reazione sproporzionata all’attacco terroristico di Hamas, che ha ucciso 1.138 israeliani e ne ha sequestrati più di 200. Tutto ciò non è neanche la conseguenza del desiderio di autodifesa di un popolo che nei campi di sterminio nazifascisti ha patito sei milioni di vittime, perché la colonizzazione sionista della Palestina era già in atto da tempo, con tanto di approvazione formale del governo del Regno Unito, con la dichiarazione Balfour del 2017, a favore di «un focolare nazionale per il popolo ebraico» in Palestina. Tutto ciò è l’esito di un programma di annientamento fisico, culturale ed economico dei palestinesi e di appropriazione della loro terra. Un programma che nasce da molto lontano, ufficialmente nel 1897, con il primo congresso sionista tenuto a Basilea.

Qual è la legittimazione dello stato di Israele; chi o cosa gli dà il diritto di perpetrare tali e tanti crimini contro l’umanità? Nell’ideologia sionista è dio stesso, che ha assegnato al suo popolo prediletto le terre dal fiume Giordano al mare Mediterraneo. Quale più alta e incontrovertibile legittimazione? Non nuova nella storia delle infamie umane. Gott mit uns (dio è con noi) era scritto sulle fibbie delle cinture dei soldati del III Reich. Deus vult (dio lo vuole) era il richiamo delle crociate. Sfrondato dalle superfetazioni ideologico-bibliche, Israele non è altro che una colonia di popolamento di occidentali, in prevalenza europei, in Medio Oriente. Una colonia anomala, perché non creata da uno stato, ma da una parte di un popolo disperso in più stati. Esso è comunque una colonia, che si regge grazie al decisivo sostegno economico, militare, politico e diplomatico degli USA, con la benevola connivenza degli stati satelliti di Washington.

Ora i dirigenti israeliani ed i sionisti di tutto il mondo credono matura la soluzione finale, credono di potere finire quello che loro stessi chiamano il “lavoro sporco”: annientare fisicamente i palestinesi, oppure espellerli, e ridurre i rimanenti in condizioni subumane, secondo lo schema dell’apartheid, che nega non solo i diritti civili, ma anche quelli umani. Ormai i palestinesi non hanno più territorio, sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania, e quel tanto di tessuto amministrativo e di servizi che vi erano presenti sono cancellati. In Palestina restano però circa 2,3 milioni di palestinesi in Cisgiordania e 2,1 milioni nella Striscia di Gaza, più 1,8 milioni di palestinesi con cittadinanza israeliana, presenti per lo più nel Golan; in totale si arriva a circa sei milioni di palestinesi, contro otto milioni di israeliani ebrei. Nonostante tanto orrore e dolore, il popolo palestinese resiste ed è ancora possibile l’utopia di una Palestina libera e in pace. Non penso a due popoli e due stati, che può anche mettersi in conto come fase di passaggio, ma ad un solo paese, multiculturale e multietnico, dove ciascuno sia libero di professare qualunque religione oppure nessuna, e di convivere sulla medesima terra.

Affinché questa utopia si realizzi è necessario molto tempo ed un paziente ed ostinato lavoro su due direttrici strategiche. 

La prima direttrice strategica consiste nell’appoggiare e mobilitare gli ebrei antisionisti e nel contrastare qualunque rigurgito antisemita, basato sulla falsa uguaglianza ebreo=sionista. Lo sforzo propagandistico dei sionisti è proprio quello di identificare sionismo con ebraismo e tutto il popolo ebraico con lo stato di Israele. Si tratta di una mistificazione che danneggia e insulta gli ebrei in generale, che vengono impropriamente tutti responsabilizzati del genocidio dei palestinesi. Già molti intellettuali ebrei si sono ribellati a tale sovrapposizione: come il linguista e filosofo Noam Chomsky e lo storico Ilan Pappé; anche in Italia si sono spesi la storica Anna Foa e l’attore, musicista e scrittore Moni Ovadia. Occorre che i gentili (non ebrei) si impegnino a sostegno degli ebrei antisionisti e contro qualsiasi rigurgito antisemita. Può sembrare strano, ma la difesa del popolo palestinese è strettamente intrecciata alla difesa del popolo ebraico dalla deriva sionista.

La seconda direttrice strategica è isolare Israele economicamente, politicamente e diplomaticamente. La colonia sionista può contare sul pesantissimo sostegno politico, diplomatico, economico e militare degli USA, ma anche l’Europa, se volesse, potrebbe condizionare fortemente Israele. Tra UE ed Israele è in vigore dal 1° giugno del 2000 un Accordo di associazione, che abolisce quasi tutte le barriere doganali reciproche (con qualche eccezione per gli alimentari) e consente alle imprese manifatturiere e di servizi di ciascuna parte di operare con l’altra parte come imprese domestiche. L’art. 2 dell’Accordo di associazione prevede l’obbligo per le parti di rispettare i diritti civili e democratici; pertanto, esiste una precisa disposizione che imporrebbe all’UE di sospendere da subito l’efficacia dell’accordo. Anche senza attendere la sospensione dell’Accordo di associazione UE-Israele, i singoli stati europei possono assumere provvedimenti economici restrittivi, quantomeno a livello del mercato bellico, che non riguarda solo le armi in senso stretto, ma sempre più i sistemi informatici di gestione dello spionaggio e delle azioni belliche. Non è importante bloccare solo le esportazioni belliche verso Israele, ma anche le importazioni, che costituiscono un sostegno all’industria bellica israeliana. Nel 2024 Israele ha importato armamenti per 2/3 dagli USA e per 1/3 dalla Germania; ma le esportazioni di armi di Israele nel 2024, che ammontano a quasi 15 miliardi di dollari (13 miliardi di euro), sono state assorbite per il 54% da stati europei, per un valore economico di 8 miliardi di dollari (7 miliardi di euro). Sempre nel 2024, l’Italia ha importato armi da Israele per 133 milioni di euro, corrispondenti al 21% dell’import militare italiano.

La recente coraggiosa impresa della Flotilla, se non ha rotto l’assedio militare di Gaza, ha aperto varchi sui silenzi complici degli stati e dell’informazione mainstream; essa ci ha anche insegnato la parola araba “sumud”, che vuol dire “resistenza testarda”. SUMUD fino alla realizzazione di una Palestina libera e pacifica!

8 Ottobre 2025 0 Commento
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