Ci sono momenti in cui la storia bussa alla porta e ci chiede di essere presenti. L’8 e 9 giugno 2025 non si vota solo un referendum, si decide se vogliamo continuare ad abitare un Paese fondato sull’ingiustizia sociale e sulla precarietà permanente, o se siamo davvero pronti a rovesciare l’ordine delle cose.
Non ci giriamo intorno: siamo stati governati – da destra come da una certa sinistra moderata – da chi ha svenduto i diritti in nome del mercato, della competitività, dell’austerità e della logica aziendalista che vede nel lavoratore solo una variabile da comprimere. In questi anni ci hanno detto che non c’erano alternative. Noi siamo qui per ricordare che un’altra società è non solo possibile, ma assolutamente necessaria.
Il prossimo referendum chiama tutte e tutti a scegliere. Vuoi che il lavoro sia ancora un diritto o solo una merce? Vuoi che la cittadinanza sia piena, universale, reale, o preferisci un’Italia a due velocità, in cui i diritti dipendono dal censo, dalla provenienza, dal colore della pelle?
I quesiti referendari toccano nodi cruciali: dall’abolizione dell’uso indiscriminato dei contratti a termine divenuto un vergognoso strumento di precariato che oggi inchioda un’intera generazione all’instabilità e alla ricattabilità, all’estensione delle tutele per il posto di lavoro – reintegra o congruo risarcimento nelle piccole aziende – fino alla maggiore sicurezza negli appalti quale strumento reale di liberazione del lavoratore sfruttato. Fondamentale inoltre il riconoscimento dei pieni diritti di cittadinanza alle persone migranti, perché nessuno è illegale e nessuno deve vivere come invisibile.
Chi si astiene, dunque, consegna il potere a chi vuole continuare a privatizzare, a licenziare, a sfruttare. Chi vota sì rompe l’ingranaggio.
Noi non abbiamo padroni e non abbiamo paura, ma non basta indignarsi, non basta postare sui social, non basta lamentarsi al bar e non basta neanche scrivere editoriali. Serve azione, servono una scelta chiara e una presa di coscienza collettiva.
Votare sì l’8 e 9 giugno non è un atto rituale, è un atto di resistenza e di costruzione. È l’inizio di una battaglia più ampia per la dignità, per la solidarietà, per un nuovo orizzonte politico che rimetta al centro il comune, il pubblico, l’umano.
Facciamoci trovare pronti.